venerdì 27 marzo 2020

Birra artigianale e pensieri in quarantena

Sicuramente vi sarà capitato in questi giorni di leggere diverse analisi su come la quarantena per il coronavirus stia impattando sul settore della borra artigianale - segnalo in particolare quella di Lelio Bottero e quella di Andrea Turco. Pur condividendo buona parte di quanto affermano, azzardo qualche considerazione in più anch'io.

La prima riguarda l'impennata nel numero di birrifici artigianali che si è organizzata per fare consegna a domicilio, cosa prima assai meno frequente. I risultati sono stati diversificati, ma c'è stato chi mi ha riferito di essere riuscito a compensare così fino al 50% delle mancate vendite - magra consolazione, certo, ma abbastanza da garantire la sopravvivenza. È verosimile, quindi, che anche dopo la fine della quarantena - sia quando sia -, sarà significativamente più diffuso di prima il fatto di farsi portare a casa le bottiglie. E qui si gioca, a mio avviso, un'importante partita per i birrai: se questi consumi in casa riusciranno, almeno in parte, a sommarsi e non a sostituirsi a quelli al pub e in tap room - con una motivazione al consumo quindi diversa da quella di uscire -, il coronavirus avrà lasciato un'eredità interessante. I birrifici potrebbero così contare da un lato sui consumi in tap room, che sono quelli a più alta marginalità, e dall'altro su consumi domestici che vanno al di là (e soprattutto sono più continuativi) del semplice portarsi a casa qualche bottiglia quando si va di persona in birrificio. Insomma, il famigerato aumento dei consumi che tanto cerchiamo in Italia, sfruttando il fatto che avere in casa in maniera regolare qualche bottiglia del proprio birrificio artigianale preferito sia diventata un'abitudine più di prima e per più persone.

Non è poi peregrina l'osservazione di ReporterGourmet secondo cui, essendo verosimile che anche il telelavoro rimarrà più diffuso, ed essendoci una correlazione tra il lavorare da casa e farsi consegnare le cose a casa (qualunque merce sia), anche cibo e bevande beneficeranno di questa tendenza: del resto, chi di noi non approfitterebbe la prossima estate di mettersi al computer - magari controvoglia - con una birra in mano, cosa che non potrebbe mai fare sul posto di lavoro?

Sarà poi interessante vedere se e come tutte le varie soluzioni messe in campo per consegnare a domicilio (chi lo fa direttamente, chi tramite piattaforme come per l'iniziativa lanciata dal birrificio War) consentiranno di aggirare l'annoso problema della presenza o meno dei birrifici artigianali nella gdo: ok, realisticamente parlando non lo aggireranno, però sicuramente si sarà creato il potenziale per una presenza più capillare che possa colmare almeno in parte il divario distributivo.

Altra potenzialità che può essere interessante sfruttare è quella, su cui tanto ama insistere Teo Musso, del legame territoriale di tanti birrifici artigianali italiani - vedasi l'impennata degli agribirrifici. Anche quando si riapriranno gradualmente le porte delle attività commerciali, è ragionevole credere che la gente non tornerà subito in massa ad affollare i locali in preda all'entusiasmo, ma permarrà una certa diffidenza. Verosimilmente torneremo prima a dare sostegno a quelle attività legate al territorio prossimo, cosa su cui peraltro stanno facendo campagna pressante le associazioni di categoria dell'agroalimentare e dell'artigianato: e, sotto questo profilo, i birrifici che possono vantare una sorta di "identità territoriale" avranno una carta in più da giocare. Per contro, le numerose iniziative nate via web - degustazioni in diretta Facebook, viedoparty e affini -, se portate avanti, potrebbero avvicinare il pubblico a birrifici che stanno magari all'altro capo d'Italia, e che difficilmente si andrebbe a visitare di persona.

Cruciale sarà in tutto questo vedere fino a che punto i numerosi appelli a bere birra artigianale italiana, comprare locale e affini, lanciato da Unionbirrai e da molti altri, si tradurrà in effettivi comportamenti di consumo sul lungo termine. Cosa al momento difficile a dirsi, essendo ancora arduo prevedere in che misura il potere e la propensione all'acquisto verranno influenzati dalle ripercussioni sul reddito che molti patiranno nei prossimi mesi.

Da ultimo, voglio citare le numerose iniziative di solidarietà di cui diversi birrifici si sono resi protagonisti - birre create ad hoc per raccogliere fondi per ospedali o protezione civile, o incassi devoluti in parte a questo scopo: che, pur in un momento di sofferenza per il settore, sia stata fatta questa scelta, è un segnale molto importante, che conferma come nel settore della birra artigianale stiamo parlando di un modello di business che ancora pone la persona al centro.

Naturalmente, con ciò non intendo  dire che vada tutto bene e che questa crisi sia soltanto un benefico stimolo a ripartire: molti birrifici sono fermi, chi produce lo fa a ritmo ridotto e con canali di vendita ristrettissimi essendo chiusi pub e tap room, il rinvio delle scadenze fiscali non è risolutivo, e il rischio che per alcuni esercizi la chiusura diventi definitiva è concreto. Però è un fatto che nei momenti di blocco forzato ci si ferma a pensare a soluzioni a cui mai si avrebbe pensato prima. Se queste saranno di utilità non solo nel limitare i danni, ma anche nel trovare un nuovo equilibrio dopo questo sconvolgimento - perché per forza di cose un equilibrio nuovo dovrà essere -, ben venga.

martedì 3 marzo 2020

Al Cucinare e al Beer Attraction...meglio tardi che mai, parte seconda

Venendo al Beer Attraction, si impone in primo luogo una considerazione di base - che del resto non sono la prima né l'unica a fare. Per quanto sia il classico evento a cui "bisogna esserci", al di là della reale o presunta motivazione che ciascun espositore o visitatore possa avere,devo dire che quest'anno (nella mia pur breve visita) ho notato come, in generale, ci sia stata una "maturazione" dell'offerta: sì tante "chicche" fatte o presentate per l'occasione, ma senza cercare improbabili effetti speciali, e puntando piuttosto a dare il meglio di sé rimanendo nei ranghi. Un'evoluzione, si dirà, che è lo specchio di quella già avvenuta nei birrifici negli ultimi anni.

Venendo alle birre che ho assaggiato, quella che propongo è naturalmente una selezione di quelle che ho trovato più interessanti. Inizio dalla Extra Ipa Brut Black Rye di Curtense: già dal nome sembrerebbe contraddire ciò che ho detto appena sopra, invece a dispetto di questo trova un equilibrio notevole - pur rimanendo sui toni forti - tra la luppolatura agrumata e resinosa e il cereale tostato, ulteriormente sostenuto dalla segale, tanto da dare l'impressione finale di una birra decisa ma non sopra le righe. Manco a dirlo, 7 gradi e non dargliene neanche la metà.

Sempre all'insegna dell'equilibrio, ma questa volta tra acido e fruttato, la Pin Up di Cittavecchia: una fruit sour all'ananas, in cui l'acidità della birra e quella del frutto si amalgamano diventando un tutt'uno - decisamente gradevole anche per chi si approcciasse ad una sour per la prima volta. Anche nel caso della Good Morning Chianti, Berliner Weisse al caffè dei Chianti Brew Fighters, l'intento è quello di sposare la naturale acidità dell'aggiunta - il caffè - con quella della birra: forse in questo caso un po' più slegata rispetto all'esempio precedente, ma comunque l'intento nel complesso è riuscito con originalità.

Tutt'altra storia la Ghiria, imperial stout del birrificio Sothis, che veniva proposta anche con lo Stacheln - il procedimento di origine tedesca (e generalmente praticato con le Bock) di caramellizzare gli zuccheri della birra immergendovi un ferro rovente. Curioso incrocio di tradizioni birrarie, dunque, e che applicato ad una imperial stout ha ulteriormente evidenziato - almeno a mio avviso - i toni di torrefatto. Sempre in tema di stout e affini, da segnalare la Trifoglio di Barbaforte, oatmeal stout, per l'occasione nella versione maturata in botti di rum.

Ho poi avuto il piacere di fare finalmente la conoscenza di Siemàn, dopo averne tanto sentito parlare in virtù della reputazione che si sta guadagnandonell'ambiente birrario. Ho provato la Negà, definita "wild sour ale with grapes" (e non semplicemente Iga), in quanto dopo 12 mesi di fermentazione spontanea in botti di rovere viene aggiunta uva Garganega, e lasciata maturare per altri tre mesi. Per quanto la componente del vitigno sia, almeno per chi come me è particolarmente "sensibile", discretamente pungente, il risultato è comunque una birra nell'insieme elegante e calibrata, per quanto la descrizione farebbe presumere aromi e sapori ben più "selvaggi". Bravi anche i ragazzi di Siemàn nello spiegare le loro birre agli avventori allo stand, con semplicità e precisione.

Naturalmente ringrazio anche tutti gli altri che non ho nominato e che mi hanno ospitata ai loro stand.