giovedì 30 aprile 2015

Birra al popolo!

No, non ho fatto partire la campagna per sostituire lo Kvas - altra bevanda a base di crereali fermentati - con la birra nella grande madre Russia: è lo slogan del birrificio Sant'Andrea - BSA per gli amici - di Vercelli, che si definisce "un'azienda rivoluzionaria" perché vuole "regalare nuovi piaceri al modo di interndere la birra". Il tutto, come lascia intuire un altro loro slogan, "Puri e crudi", senza desiderio di stupire a tutti i costi: "Noi per definizione no aggiungiamo né miele né altri fronzoli, al massimo le spezie quando è richiesto dallo stile - ha sottolineato il buon Armando (che anche se non è il birraio ma il responsabile commerciale, ha assicurato che ci lavora gomito a gomito) -: la vera sfida è mantenere il prodotto stabile nel tempo, affinandolo".

Dai fermentatori del BSA escono birre di stile anglosassone e belga: dalla Rossa del Gallo, una bitter ale che si è classificata seconda per la categoria sia nel 2011 che nel 2012 a Birra dell'Anno; alla Fog, una witbier che ha invece ottenuto il primo posto; alla Enigma, definita "belgian ipa" perché usa lieviti da saison. Undici birre in tutto di cui ho assaggiato prima la Mozkito, una golden ale pensata - come lascia intuire il nome stesso - per essere bevuta nei climi caldi: arima fresco e floreale, con note di agrume che ritornano nel corpo quasi acidulo e assai dissetante. Chiusura sull'amaro discreto, tendente al citrico.

La seconda è stata la Riot, una belgian strong ale in pieno stile: otto gradi e sentirli tutti, con un aroma che pur esaltando il caramellato del malto fa trasparire anche qualche nota resinosa, che prosegue anche nel corpo dolce ma equilibrato in cui si distingue anche frutta secca. In chiusura il pizzicorìo dell'alcol si fa ben sentire, e non la definirei certo una birra dissetante: certo un corpo tanto ricco fa la felicità degli amanti del genere - tipo mio padre che mi accompagnava, che se l'è bevuta con estrema soddisfazione. Perché, ebbene sì, ho definitivamente convertito un ex bevitore di birre da supermercato: quando si dice che anche i figli possono "educare" i padri....(sì papà, lo so che mi leggi. Però anche tu sai che scherzo, e allora non prendertela...).

Ultima nota di merito alla Ipa "Hey Ho! To go!": non perché l'abbia assaggiata, ma perché i proventi della vendita sono destinati alla costruzione di un pozzo in Togo. E se birra e solidarietà vanno insieme, non c'è che da esserne compiaciuti.

mercoledì 29 aprile 2015

Dalla Franconia con furore

Chi legge questo blog sa che, tendenzialmente, io e la Germania non andiamo troppo d'accordo; e non sto parlando del rigorismo austero della Merkel, ma del fatto che preferisco di gran lunga le birre di stile belga o anglosassone. Ho trovato però una piacevole smentita a questo mio pregiudizio allo stand di Weiherer Bier, sempre a santa Lucia di Piave. A presidiarlo era Antonia Conficoni della Compagnia del Fermento, che distribuisce il marchio a Pordenone e dintorni; un marchio che si vanta di portare la più pura tradizione della Franconia, e non a caso lo slogan della campagna marketing italiana è è "semplicemente birra".


Antonia mi ha fatto iniziare con la Keller, descritta come una delle punte di diamante della casa, nonché medaglia d'oro 2011 European Beer Star: una birra dall'aroma intenso che io e il buon Miro - aka Truk Drake - di Accademia delle Birre che mi accompagnava ci siamo trovati a definire scherzosamente "macedonia", tanto erano notevoli i profumi di pera, pesca, banana e frutta in generale. Come prevedibile a fare la parte del leone è quindi il lievito in sospensione, che dona un sentore fresco di crosta di pane anche al corpo. In tutto e per tutto una birra assai originale per il genere, fresca e piacevole, che ha sfidato con successo la mia tradizionale diffidenza.

Un po' meno mi ha entusiasmata la seconda birra proposta, la Bock - medaglia di bronzo allo stesso concorso: aromi dolci di malto ben percepibili che trovano il loro corrispettivo al palato, con un lieve tostato in chiusura. Non ho invece percepito un granché le "note fruttate di luppolo" di cui la scheda parlava: mea culpa, forse, ma è così. Intendiamoci, è una buona birra, però non mi ha colpita.

Interessante ho trovato invece la Urstoffla, una rossa da agricoltura biologica prodotta secondo l'editto di purezza del 1516: curiose le note dolci all'aroma, quasi di caramella mou, che virano poi verso la frutta secca al palato per chiudere con una luppolatura leggera e fresca. Una birra che "evolve", si direbbe, passando dal dolce netto all'amaro leggero.

Da ultima ho tenuto la Rauch, visto che è difficile assaggiare qualcosa dopo un'affumicata; ma si tratta in questo caso di un'affumicato del tutto equilibrato, che non va a pregiudicare né i sentori di frutta secca né il luppolo in chiusura. D'altronde, se le Rauch non le sanno fare in Franconia - è infatti la birra tipica di Bamberga e dintorni -, chi altro dovrebbe saperle fare?

martedì 28 aprile 2015

La ninna nanna del chicco di caffè

Eh già, il titolo è per intenditori; ma non ho potuto non pensare a questa vecchia canzone delo Zecchino d'oro (lo ammetto: sono cresciuta a pane e Antoniano di Bologna, senza comunque tralasciare Battisti, De André, Vivaldi e Cajkovskij senza soluzione di continuità) quando, alla fiera di Santa Lucia, mi sono trovata davanti alla spina della Black Lullaby del birrificio Retorto: "Ninna nanna nera" - nera appunto come il caffè -, per cui l'associazione è stata spontanea.


Ammetto che ero curiosa di provare le loro birre, in particolare questa e la Daughter of Autumn, dati i i riconoscimenti ottenuti - entrambe primi premi nel 2014 nelle rispettive categorie al Campionato italiano birre artigianali dell'Associazione degustatori birra, e la Daughter of Autumn anche per Unionbirrai nella categoria strong ale angloamericane -; e appunto dalla Black Lullaby ho cominciato, per quanto a rigor di logica avrei dovuto fare il contrario.

Trattasi infatti di una belgian strong ale scura, come il nome stesso suggerisce; e che il buon birraio mi ha anticipato avere una forte base maltata con l'aggiunta di avena e fave di cacao, nonché vaniglia sia in bollitura che a freddo. Insomma, c'era di che incuriosirsi. Per quanto il tostato dell'aroma non sia più intenso che in altre birre, e la vaniglia sia sì percepibile ma comunque discreta, al primo sorso il palato viene letteralmente invaso da un tostato tanto forte da risultare amaro e perfettamente amalgamato col cacao, con una punta di acido da malto - che personalmente ho colto anche all'aroma; per poi virare verso la cremosità dolce della vaniglia, e chiudere con un amaro - sempre da malto tostato - assai netto. Devo dire che l'ho apprezzata molto a livello di gusti personali; certo non è una birra semplice - data anche la gradazione alcolica elevata, ben otto gradi - né nei canoni, e i fanatici dell'editto di purezza avrebbero di che ridire: ma se proprio bisogna sperimentare almeno facciamolo bene, e per quanto mi riguarda Retorto ci è riuscito, facendo una birra che si fa amare nonostante la complessità.

Dopo cotanta roba - passatemi l'espressione -, persino una scotch ale sembra delicata: e infatti nella Daughter of Atumn, dagli aromi caramellati, ho trovato un corpo caldo e decisamente morbido per il genere, in cui il malto torbato si fa sentire in maniera discreta e tutt'altro che invasiva, per chiudere con un sentore alcolico e quasi di whisky nel finale. Buono anche l'equilibrio tra il dolce e l'amaro nella persistenza, che quasi "giocano" a chi ha la meglio.

Il prossimo passo in casa Retorto, per quanto mi riguarda, potrebbe essere il barley wine Malalingua, o la sua versione barricata Malanima - invecchiata nove mesi in botti di vinsanto avute da un produttore locale: arrivederci su questi schermi...

giovedì 23 aprile 2015

I vecchi amici...e uno nuovo

Data la presenza del birrificio Acelum a Santa Lucia, non potevo non togliermi la curiosità di assaggiare la loro Bela Lugosi, una dark Ipa che si è aggiudicata il secondo gradino del podio per la categoria al concorso "Birra dell'anno" di Unionbirrai. Già l'aroma, dai toni erbacei particolarmente intensi ad acri - con anche una punta di caffè data dai malti - lasciano presagire che si tratti di qualcosa per palati forti; soprattutto per quanto riguarda l'amaro, grazie al connubio tra quello dato dai malti nel corpo ben pieno in cui dominano i sapori di caffè e di tostato, e quello del finale, data la luppolatura da amaro particolarmente decisa. Indubbiamente una birra che si fa ricordare per la sua intensità sotto tutti i profili, e che ho trovato discretamente dissetante a dispetto dei sapori forti e del grado alcolico importante. Ad incuriosirmi è stata anche la Sour Germana (ha-ha-ha....), una berliner weisse servita con sciroppo di lampone agguinto al momento. L'ho provata prima al naturale, e devo ammettere che, essendo particolarmente delicata per il suo genere, l'ho apprezzata di più così: l'acidità non è affatto invasiva nel corpo e si fa sentire di più, ma sempre con discrezione, nel finale, lasciando un sentore di "pulito" che non è affatto sgradevole. Insomma, se proprio siete dei neofiti delle berliner weisse, partite da questa, e poi si andrà in crescendo.

Altri amici che ho rivisto con piacere sono stati quelli del Benaco 70, di cui a Rimini avevo apprezzato soprattutto la Honey Ale (leggi qui): e anche questa volta hanno confermato di saper brassare bene con la loro Porter - a cui ha reso giustizia anche la spillatura a pompa -. In realtà la si direbbe quasi una stout, perché il corpo ben pieno con note intense di caffè e cioccolato ricorda la versione più forte - stout, appunto - delle porter; ma il grado alcolico è comunque contenuto (4,5) e la beva discretamente facile, per cui non andiamo a cercare il pelo nell'uovo sulle questioni di stile. Notevole anche il finale amaro, di buona persistenza.

Ho poi ritrovato il Bradipongo, che mi ha questa volta proposto la loro Saison: un'ambrata che è una vera girandola di spezie, con il coriandolo che spicca nell'aroma, e il pepe sia rosa che nero che dà un pizzicorino al palato nel finale, in contrappunto curioso con la camomilla che invece dona un tono delicato al corpo. Complessa ma equilibrata, e anche questa piacevolmente fresca.

Altra vecchia conoscenza è il birrificio di Quero, di cui ho provato la weisse scura Stein Ziegen: il corpo ben pieno di cereale, in cui il malto si fa sentire con toni discretamente dolci, la rende forse meno rinfrescante della sua parente classica - con cui ha comunque in comune l'arome di banana dato dal lievito; vi troveranno però soddisfazione gli amanti dei sapori più forti e non troppo dolci, dato che la luppolatura spicca molto meno che nelle weizen chiare.

Nuovo amico conosciuto a Santa Lucia è invece il birrificio di Fiemme. Veramente mi era stata magnificata la Nòsa, una ale ambrata brassata secondo un'antica ricetta utilizzata nella valle, che però non mi ha particolarmente colpita in quanto non ho trovato corrispondenza tra i toni particolarmente forti sia sul fronte dei malti tostati che su quello dell'amaro del luppolo che venivano descritti nella scheda; assai di più ho invece apprezzato la Lupinus, anche questa una ale ambrata, aromatizzata con una particolare varietà di lupino coltivata d Anterivo - detta "caffè di anterivo" - che dona un peculiare sapore di nocciola - ancor più che di caffè. Certo una particolarità, e i cultori della "purezza" apprezzeranno sicuramente di più la Nòsa: ma che vi devo dire, a me il caffè di Anterivo è proprio piaciuto...

mercoledì 22 aprile 2015

#iostocolratto

No, non è una nuova campagna animalista in favore dei roditori, ma lo sogan del birrificio Rattabrew di Lendinara: nome scelto ironicamente perché "di tipico in Polesine ci sono i ratti", come scherza il mastro birraio Mirko Borghesan, anche lui conosciuto a Santa Lucia di Piave. Un amore per la birra, il suo, che è partito da una Westvleteren 12 tappo oro, è passato per una cotta pubblica del birrificio Mastino - di cui ho parlato in questo post - che gli ha poi ceduto il proprio impianto, e si è concretizzato nel 2013 con la nascita del birrificio.

Caratteristica delle birre Rattabrew è quella di avere tutte nomi femminili, ciascuno con la sua storia: dalla Joska la Rossa, una belgian red ale ispirata al noto canto degli alpini; alla Ottavina, una german helles che ha preso il nome dal "matto del villaggio" Ottavio; alla Marilyn, una light Ipa, a tutti gli affetti una "bionda americana"; fino alla più irriverente Bernarda, una fruit sour con albicocche, chiamata a quel modo perché "è così che dalle nostre parti vengono soprannominati i genitali femminili", ha riferito la ragazza al banco. Unica eccezione la Bluff, una belgian golden strog ale, perché - mascherando bene i suoi 8 gradi alcolici - "come tutte le donne, inganna". Nota di merito anche in questo caso alle etichette, conuna grafica che "assegna" a ciascuna birra una fiugura distintiva: le labbra per la Marilyn, le carte da gioco per la Bluff, e via discorrendo.

Ho provato per prima la Jessie White - che prende il nome dalla moglie di Alberto Mario, importante figura del Risorgimento italiano citata da Carducci -, una belgian wit: già all'aroma, ai tipici toni di frumento ed erbacei, si nota lo speziato del pepe rosa che caratterizza questa birra; e che ritorna in forze nel finale, dopo aver lasciato spazio nel corpo ai sapori di buccia d'arancia dolce - altra peculiare aggiunta. Una birra assai gradevole e rinfrescante, che ha il merito di saper equilibrare bene lo speziato del pepe per renderlo un "fattore dissentante" - invece che far tossire il povero malcapitato che beve un sorso.

Mi aveva poi incuriosita la Francesca, una blanche all'ibisco e rosa canina, il cui nome è ispirato al celebre verso del sesto canto dell'inferno di Dante - protagonisti appunto Paolo e Francesca - "amor ch'al cor gentil ratto s'apprende" (quando si dice che la letteratura incontra l'ironia...). A spiccare è soprattutto l'ibisco, sia all'aroma che al palato; tanto da sovrastare - soprattutto nel corpo, in cui si fa sentore bene anche la rosa canina - la birra di partenza, almeno a mio parere. Anche questa comunque molto gradevole e dissetante grazie al connubio tra i due fiori, adatta alle giornate estive, e indubbiamente assai originale.

Non ho poi potuto resistere alla tentazione di assaggiare una loro birra sperimentale che ancora non commercializzano in bottiglia, e che è stata per ora battezzata "Experimental grappa": una belgian brune maturata in botti di grappa per otto mesi, in cui sia i profumi che i sapori "alcolici" - definiamoli così - della grappa sono ben evidenti, e che lascia una persistenza lunga e calda. Una birra da bere in una fredda serata d'inverno, davanti al fuoco, come fosse un barley wine - anche la carbonatazione è praticamente assente: sempre che vi piaccia la grappa, beninteso, nel qual caso diventerà uana delle vostre birre preferite...

martedì 21 aprile 2015

Una birra "di famiglia"

No, non nel senso che a farla sono due o più fratelli; ma nel senso che a ispirare il nome del birrificio, "Tempesta", è stato quello della nobile famiglia veneziana che possedeva la Rocca di Noale: cittadina in cui ha sede il ristopub "Il cortivo" da cui nel 2010 è nato anche il birrificio, su iniziativa di Claudio Pigozzo e Pierluigi Ceola. Tecnicamente si tratta di un beerfirm, ma mi sento di consigliare di superare i pregiudizi: sarà perché si affidano ad un birrificio di provata esperienza come l'Acelum, sarà perché i nostri ragazzi sanno fare (e testare) bene le ricette, il risultato finale è di tutto rispetto.


Anche loro sono una conoscenza fatta a Santa Lucia di Piave, dove i due ragazzotti mi hanno accolta con la massima simpatia. Mi hanno così raccontato come tutto sia partito nel 2010 da una strong ale speziata al miele di tiglio e pensata come birra di Natale - battezzata "La Rocca", in onore ai trascorsi storici del luogo -: che però ha avuto tra gli amici e al pub un successo tale non solo da essere mantenuta oltre le feste, ma anche da spingere i due giovani su questa strada. Sono così seguite la bitter "Secca" e la pale ale "Ultra", la Ipa "Nemesi" e la stout affumicata "La Nera". Il tutto in un rigoroso stile inglese - pur con qualche reinterpretazione -, dalla bassa carbonatazione e preferibilmente spillate a pompa.

Non potendole assaggiare tutte di botto ho chiesto quale fosse, a loro giudizio, il pezzo forte della casa: la Secca, "ma assaggiala domani, perché oggi abbiamo un problema tecnico e non possiamo spillartela a pompa". L'attesa ha pagato: per quanto le bitter non siano il mio genere devo ammettere che questa mi ha colpita, con una luppolatura tanto generosa e agrumata - con qualche nota di frutta tropicale - da far pensare ad una Ipa, che fa da contrappunto ad un corpo leggero - ma non annacquato - e dissetante che chiude con un amaro netto e secco in onore al nome. A una birra così indubbiamente la spina non avrebbe reso giustizia, perché la bassa carbonatazione consente di apprezzare al meglio i vari aromi e sapori. Nota di merito anche a chi l'ha spillata, che ha saputo mettermi davanti un cappello di schiuma ben spesso, fine e persistente.

Naturalmente però il giorno precedente i ragazzi del Tempesta non mi avevano lasciata a bocca asciutta, prononendomi la Nemesi: una Ipa rispettosa dell'antico stile inglese, più delicata e amara in quanto a luppolatura rispetto a quelle oggi in voga, risultando assai più equilibrata della media dello stile. Interessanti anche le note resinose che si percepiscono appena nel corpo, e una punta speziata in chiusura.

Ultima nota di merito alle etichette: delle vere opere d'arte, realizzate da Monica Stievano. Se anche l'occhio vuole la sua parte...

lunedì 20 aprile 2015

Tra Palazzolo sull'Oglio, Belgio e...Lapponia

 Altra conoscenza fatta a Santa Lucia di Piave è il Palabrauhaus - Phb per gli amici -, birrificio di Palazzolo sull'Oglio (Brescia) con annesso brewpub. A capitanare lo stand era il buon Nicola Vitali, birraio e biersommelier - o cervisier, gli appellativi si sprecano - che si è formato alla Doemens Akademie di Monaco. Scuola tedesca, dunque: dalla helles First Lady, alla weizen President, alla bock Drulù, alla dunkles bayrisch ("bavarese scura", per i non germanofoni) backstage.

Particolarità in questo panorama è la Lapponia, una berliner weisse - birra di frumento originaria del berlinese, a cui i lactobacilli e i brett usati in fermentazione conferiscono un'acidità molto spiccata - con aggiunta di sciroppo di lampone: quello di aggiungere sciroppi (quello classico è l'asperula) è infatti un escamotage utilizzato tradizionalmente per rendere di più facile beva "la più acida tra le acide", e lo si fa di solito direttamente nel bicchiere dopo averla spillata. Qui, trattandosi di una bottiglia, per forza di cose lo sciroppo è stato aggunto in precedenza: e in quantità discretamente generosa - notare il colore ben carico -, dato che il profumo di lampone sovrasta nettamente gli altri aromi e anche nel corpo predomina allo stesso modo, dando quasi l'impressione di bere un succo di frutta a dispetto dei quasi 5 gradi alcolici. La sorpresa arriva dopo, quando compare una persistenza acidula in cui si distinguono anche le note di frumento: quasi a ricordare che rimane comunque una birra, e che se volevate il succo di frutta c'è la Zuegg che serve benissimo allo scopo.

Non mancano comunque altri stili, dalla Ipa Stephen, alla Belgian Golden Ale Fiandra: una birra in pieno stile fiammingo che trova la sua originalità nell'uso dell'anice stellato, che va a controbilanciare con freschezza il corpo caldo e ben maltato, e si fa notare anche all'aroma donando un sentore speziato a quello tipico di frutta secca e crosta di pane delle belghe. Giusto per aggiungere una nota di colore, va detto che ho avuto l'onore di assaggiare quest'ultima birra insieme a Lorenzo Dabove, meglio noto come Kuaska, a Santa Lucia per tenere una conferenza e un laboratorio: per un attimo, insomma, ho avuto l'impressione di capirci anch'io qualcosa di birra essendo in contanta compagnia...

venerdì 17 aprile 2015

Sour beer e pomelo, quando si dice....l'acido

Proseguendo con la carrellata delle vecchie conoscenze ritrovate a Santa Lucia, arriviamo al birrificio Pentra, che avevo descritto in questo post: anche qui ottimi ricordi soprattutto della Pantanai Piistiai, la birra al mosto d'uva falanghina. Questa volta gli amici del Pentra mi hanno proposto la loro ultima novità battezzata Sour Beer, "birra acida": una birra che hanno ammesso essere nata praticamente per sbaglio, da una cotta infettata, ma che sono riusciti poi a "salvare" per questa creazione dal peculiare retrogusto agrumato che la rende particolarmente adatta a "ripulire" la bocca da sapori forti - tanto che uno dei nomi proposti era "reset". Intendiamoci, è da bere con la coscienza che non stiamo parlando di un lambic, ma di una birra sui generis: però devo ammettere che, se è per rinfrescare e "sgrassare" specie in abbinamento con cibi corposi, serve allo scopo. A livello di gusti personali ho però apprezzato di più l'altra loro novità, la Herenta - dal nome della dea del raccolto -, una golden ale dalle calde note di mandorla al palato: indubbiamente molto "ruffiana", come alcuni amano definire le birre che catturano e si fanno bere con facilità, e che va nel senso della volontà espressa dai birrai del Pentra di avere anche una linea meno "sperimentale" che vada incontro ai gusti di una platea più allargata.

Altra vecchia conoscenza ritrovata è stato L'Inconsueto, che avevo peraltro visto l'ultima volta il mese scorso a Milano per Fa' la cosa giusta. In quell'occasione il birraio Valentino mi aveva fatto assaggiare la birra alla cannella e quella al miele: due ale dall'aromatizzazione assai decisa in entrambi i casi, che personalmente avevo trovato quasi eccessiva nel caso di quella alla cannella - mentre in quella al miele, pur rimanendo forte e dolce, il connubio con i malti era ben giocato. Questa volta ho quindi provato quella al pomelo: agrume che direi indovinato per aromatizzare questa ale chiara e delicata, rimanendo quasi impercettibile inizialmente nel corpo - dopo essersi fatto sentire all'aroma -, ma che ritorna poi con una persistenza fresca.

Ultima nota godereccia in chiusura: il Bad Guy, di cui avevo parlato in questo post, oltre a due birre per me nuove - la porter natalizia "Alice sotto terra", e la stout "Notte Imbecille" - ha portato i brownies alla Foxy Lady, la loro California Common Beer. Credo mi abbiano odiata per quanti glie ne ho mangiati, ma spero la pasticcera l'abbia preso come un complimento: del resto, gli ingredienti esposti in bella vista erano un invito a chiedere una bottiglia, la ricetta e provare a rifarli...

giovedì 16 aprile 2015

Un ritorno in Brasseria Alpina

Un altro felice ritrovo in quel di Santa Lucia è stato la Brasseria Alpina, che già avevo descritto con dovizia di particolari in questo post. Il ricordo della Genepi era positivo, per cui ho approfittato del fatto di trovarmi lì con mio padre e con Enrico per condividere un assaggio di tre birre diverse.

Mi ha incuriosita per prima la Irish Ale: un'ambrata dalla schiuma fine e compatta il cui aggettivo più calzante è secondo me "delicata", perché pur presentando sia aromi che sapori che di per sé tendono ad essere abbastanza robusti - su tutti il torrefatto - in realtà rimangono molto morbidi e ben amalgamati - a sentire i birrai anche grazie all'avena, che ha appunto questa peculiarità. Una birra in cui predominano nettamente i malti, ma che chiude con una tocco di amaro erbaceo altrettanto delicato del luppolo. D'altronde, leggera lo è anche come grado alcolico - 5 gradi.


Mio papà e Enrico sono invece andati su tutt'altro genere. Al primo, conoscendo i suoi gusti, ho consigliato la Lingero: una golden strong ale che ho trovato abbastanza insolita, perché anche qui mi sarei aspettata sapori di malto, crosta di pane - e note alcoliche, dati i sette gradi - ben più forti. Invece anche qui si rimane sulla linea del "non strafiamo": l'aroma è tra il floreale e il fruttato ma non particolarmente intenso, e anche il corpo rimane fresco e decisamente beverino per il genere grazie alla miscela di erbe e luppoli che equilibra il malto e lascia un finale ben pulito.

Enrico invece ha fatto da sé e ha scelto la Gran Truc, un'ambrata doppio malto che è invece di tutt'altra scuola: qui sia l'aroma che il corpo sono ben intensi, miscelando in una complessità notevole forti toni di malto, resina, frutta secca, frutta esotica e un sentore liquoroso. Sette gradi e sentirli tutti anzi di più, data questa complessità; che lascia peraltro una persistenza lunga, calda e dolce, senza note percepibili di luppolo.

Alla fine della carrellata direi che si conferma un birrificio originale e che ama sperimentare; con l'accortezza di accostare alle birre più particolari e complesse anche altre di più facile beva, senza cadere nel banale.

mercoledì 15 aprile 2015

Un tris di Jeb

A Santa Lucia ho ritrovato anche una vecchia conoscenza, il birrificio Jeb; è quindi stato un piacere incontrare di nuovo la mastra birraia Chiara Baù - che tiene alta la bandiera delle quote rosa nel settore, perché per quanto non siano poi così poche le donne che vi lavorano, assai meno sono invece quelle ad essere titolari di un birrificio e di un brewpub.

L'offerta alla spina era peraltro assai varia, per cui sottrarsi sarebbe stato un vero peccato. Pur essendo passata la Pasqua erano ancora disponibili le birre di Natale - che comunque, a mia modesta opinione, con la colomba vanno benissimo -: la Stella e la Cometa (sì, siete liberi di ridere), una ale ambrata di orzo, segale e frumento aromatizzata con zenzero e vaniglia la prima, e una ale scura di orzo, farro e frumento la seconda. Compensibile che mi abbia incuriosita di più la Stella, essendo un'amante dello zenzero: spezia che si fa sentire con forza sia all'olfatto che in bocca, pur senza risultare eccessivo né male armonizzato con i malti, e che rende assai dissetante una birra che, dato lo stile, probabilmente non lo sarebbe un granché. Quasi nascosta invece la vaniglia, che ritorna a sorpresa con una punta di dolce quando ormai avete deglutito e non vi aspettereste più nulla.

Sempre per rimanere in tema invernale mi sono poi diretta sulla Brulé, un'altra ale ambrata, questa volta però aromatizzata con le spezie tipiche del vin brulé - cannella, chiodi di garofano, arancia dolce e anice stellato. Assolutamente da bere a temperatura ambiente, per apprezzarla meglio: il freddo mi ha inizialmente impedito di sentire tutta la rosa di profumi di cui sopra, così come i primi due sorsi sono purtroppo morti in bocca per lo stesso motivo. Su tutti spicca indubbiamente la cannella - tanto che ho trovato quasi sovrastasse il resto -, ma anche l'anice, pur senza farsi notare né all'olfatto né nel corpo, lascia una punta di freschezza finale.

A sentire Chiara, però, il suo pezzo forte è la Maya, una ale bionda con miele di rododendro. L'ho assaggiata fiduciosa in quanto lei stessa ha assicurato di condividere la mia opinione secondo cui, se bere un sorso è come mettere in bocca un cucchiaio di miele, allora prendo il vasetto e non il boccale: e in effetti devo riconoscere che è ben equilibrata, tra note floreali, erbacee e di miele all'olfatto, e un corpo dolce ma non stucchevole che non lascia una persistenza da melassa sul palato . Anche il fatto che il miele sia di una varietà meno consueta come il rododendro conferisce una sua particolarità.

In tutto e per tutto un tris da ricordare, e che si fa riconoscere all'interno del panorama delle birre speziate e di quelle al miele: terreno non facile per il rischio di strafare, ma su cui Chiara pare sapersi muovere con competenza.

martedì 14 aprile 2015

Il basilico no...

....non l'avevo considerato. Sul serio: di birre con le spezie o aromatizzazioni più audaci ne avevo sentite, ma che si potesse usare anche il basilico non mi era proprio mai passato per la testa. Così, lo ammetto, quando alla Fiera di Santa Lucia i due simpatici ragazzotti genovesi del birrificio La Superba mi hanno proposto la loro birra - indovinate un po'? - "Genova", una lager chiara con basilico della riviera ligure, non ho potuto non pensare: ecco, i soliti esibizionisti fanatici del "famola strana" (la birra, naturalmente). Che poi finiscono per ottenere risultati che piacciono solo a loro perché, così come ogni scarrafone è bello a' mamma sua, ogni birra è buona al suo creatore - peccato che gli tocchi poi bersi l'intero lotto da solo, perché nessun altro gli fa compagnia.

Invece devo ammettere che ho dovuto ricredermi. Il profumo di basilico che sale dalla Genova è fresco e delicato, e ben armonizzato con l'erbaceo del luppolo; e anche nel corpo leggero non è affatto invasivo, lasciando il giusto spazio al cereale, per poi ritornare con una persistenza fresca e dissetante. Insomma, così come avevo dovuto ammettere che il simpatico proprietario del chiosco delle limonate sul lungotevere - sosta obbligata sulla via del ritorno a casa nelle calde estati romane quando vivevo lì - aveva visto giusto nell'aggiungere il basilico alla sua ricetta, così devo dirlo dei ragazzi de La Superba.

Coerentemente con la volontà comune a numerosi birrifici artigianali di testimoniare il legame con il proprio territorio, La Superba utilizza prodotti locali in buona parte delle sue birre. La Regina, ad esempio, è una lager con miele millefiori della Valle Scrivia: miele che all'olfatto sovrasta nettamente tutti gli altri aromi e che personalmente ho trovato un po' eccessivo,ma che in bocca lascia inaspettatamente spazio ad una breve nota di amaro ben netto per poi ritornare in piena forza con una persistenza che mescola i due sapori. Interessante poi la Castagna, che non usa le castagne arrostite ma la farina, lasciando in bocca un sentore che mi sono trovata a definire "pastoso" e robusto, e indubbiamente molto più "grezzo" rispetto a quello delle birre che utilizzano castagne cotte.

Nota godereccia, le spine de La Superba sono arrivate a Santa Lucia in accoppiata con una nutrita - perdonate l'ironia - offerta di focacce liguri, a cui è difficile resistere: come tipicità mi è stata consigliata quella non lievitata con ripieno di stracchino, e non mi sono pentita di aver accettato il suggerimento.

Devo ammettere che di curiosità su La Superba me ne sono rimaste: ad esempio la Serena, una Lager ai petali di rosa; la Puro Sangue, una lager doppio malto; o La Superba, una nera ad alta fermentazione con cinque tipi di malto. Che dire, prima o poi spero di togliermela....

venerdì 10 aprile 2015

E Beer attraction rispose

No, non sto sarcasticamente sottintendendo che Beer attraction sia una "sventurata" di mamzoniana memoria; anzi, il loro ufficio comunicazione è stato di fatto molto cortese, inviandomi la risposta che leggete qui sotto in merito al mio post sull'Homebrewing contest. Buona lettura!

Gentile Chiara,

abbiamo letto con vivo interesse il suo dettagliato e davvero garbato post intitolato “Questo concorso non s’ha da fare?”, incentrato sull’Homebrewing Contest di Beer Attraction.

Lei raccoglie commenti e opinioni estrapolati da blog e social network che sollevano alcune perplessità in merito al concorso di cui sopra:

ci permetta di dire che sul web non girano solo critiche all’iniziativa, bensì anche apprezzamenti sinceri ma non vogliamo naturalmente sottrarci alle critiche.

Anzi, le abbiamo sempre accettate e soppesate attentamente per farne tesoro.

Ecco perché già oggi possiamo dirle che le sue riflessioni hanno anticipato un cambiamento già deciso e che renderemo noto a breve proprio sulle modalità di partecipazione: ovvero, non saranno più previste quote di iscrizione per partecipare al concorso.

Una precisazione sulla seconda fase: i partecipanti, se rientranti nei parametri fissati dalla giuria di qualità (definiti con l'associazione Unionbirrai sulla base dell'esperienza del concorso “Birra dell'anno”), potranno accedere alla competizione senza restrizioni numeriche.

E veniamo al premio. L'impianto Simatec è stato pensato per chi possiede già una certa dimestichezza con l’homebrewing e voglia quindi migliorare e accrescere la propria passione, cimentandosi ad un livello superiore, benché non ancora professionale. Siamo sicuri che il vincitore gradirà.

Per concludere, e rispondere così al suo interrogativo d’apertura, a nostro giudizio il concorso s’ha da fare: domani e sempre, verrebbe da dire. Gli amanti delle birre artigianali e speciali sono sempre più numerosi e meritano un’iniziativa di tale profilo. E risponderanno, ne siam certi… ovviamente non come la sventurata di manzoniana memoria!

Molto cordialmente

L’Ufficio Comunicazione di Rimini Fiera.

giovedì 9 aprile 2015

Questo concorso non s'ha da fare?

In diverse occasioni ho scritto del Beer Attraction, la manifestazione organizzata dalla Fiera di Rimini e Unionbirrai, che ho visitato due volte con grande piacere. Novità del 2015 è stato il coinvolgimento degli homebrewers con lo Homebrewing Contest che è stato lanciato durante la fiera: una competizione in tre fasi ad eliminazione, alla fine della quale uscirà quello che potrebbe essere considerato "il miglior homebrewer d'Italia". Ma ora che il regolamento è uscito pare che gli homebrewers non abbiano gradito poi così tanto, almeno a giudicare dai commenti che girano su social network, forum e affini.


La prima fase prevede che ciascun concorrente possa presentare fino a tre birre a sua scelta, al costo di 30 euro per la prima e 10 per le altre due; chi accederà alla seconda fase dovrà cimentarsi in quattro stili predeterminati - porter, blanche, belgian ale e Ipa - al costo di 250 euro; da questa usciranno dieci finalisti che dovranno confrontarsi ad armi pari su un impianto professionale della Simantec (sponsor che fornisce anche il premio per il vincitore, un impianto da 300 litri) nel brassare una pils. Facile intuire come la prima perplessità riguardi l'impegno economico: a conti fatti si tratta di trecento euro - perché è pur vero che nella prima fase si può presentare anche una birra sola, ma in questo modo si risulta penalizzati rispetto a chi ne presenta tre (almeno da un punto di vista puramente probabilistico). La seconda perplessità riguarda poi la chiarezza del regolamento stesso, dato che non è specificato quanti homebrewers accedano alla seconda fase; mentre la terza è di carattere più logistico, e attiene alle difficoltà di brassare su un impianto che non si conosce e magari lontano da casa - non potendo così controllare di persona le fasi successive alla cotta se non al prezzo, letteralmente, di alloggiare nei paraggi. Insomma, c'è già chi si definisce scoraggiato in partenza.

Un'altra perplessità riguarda poi il premio: un impianto da 300 litri è, diciamo così, "abbondante" per un homebrewer - anche sotto il profilo logistico, tanto che uno di loro commenta "e dove lo metto, nella rotonda sotto casa?" -, ma "stretto" per chi volesse avviare una propria attività: né carne né pesce dunque, almeno secondo alcuni dei potenziali partecipanti. Sorvolo sulle polemiche relative al fatto che rimanga comunque da acquistare di tasca propria il resto dell'attrezzatura necessaria a brassare con un impianto del genere, alla vera o presunta volontà di Unionbirrai di lucrare da questo concorso, e illazioni di vario genere: fatto sta che il malumore è palpabile, tanto che c'è chi propone addirittura una "Boicott Ale".

Non sono homebrewer né tantomeno birraia: però in questi due anni di attività nel mio blog ho visto come l'homebrewing sia un fenomeno in crescita, ed è quindi inevitabile pensare che, accanto a chi - sicuramente anche all'interno di Unionbirrai - vuole sostenerlo nelle sue peculiarità rispetto ai birrifici in quanto tali, ci sia anche chi ha intenzioni meno nobili. Gli homebrewer però a questi concorsi pare ci tengano, e intendono farsi sentire: l'auspicio non può che essere quello che alla fine si arrivi ad un chiarimento.

martedì 7 aprile 2015

Un viaggio sui colli senesi

Si sa che una delle doti dei cronisti è la velocità; e devo ammettere che stavolta su questo fronte ho lasciato a desiderare, dato quella di cui sto per parlare è una conoscenza che risale a Fa' la cosa giusta - la fiera del consumo critico, chi non sapesse di che cosa si tratta clicchi qui - gli scorsi 13, 14 e 15 marzo. Poco male comunque in questo caso, dato che il birrificio in questione è (fortunatamente) ancora in attività; e la bella stagione in arrivo potrebbe costiture un ottimo incentivo alla visita.

Trattasi infatti di un birrificio agricolo, La Stecciaia, adagiato sulle crete senesi a Rapolano Terme e nato da poco all'interno dell'azienda agricola Podere del Pereto: questo è stato la base perché l'agricoltore e mastro birraio Claudio D'Agnolo (nella foto) mettesse a frutto la sua lunga esperienza di homebrewer partendo dai cereali coltivati in azienda secondo il metodo biologico da quasi vent'anni, così che La Stecciaia può vantarsi di essere il primo birrificio agricolo ad ottenere la certificazione biologica in Toscana. Il nome stesso, del resto, vuol essere segno del legame con la terra: le "stecce", in quel di Siena, stanno ad indicare i resti della paglia piantati nel terreno dopo il taglio dei cereali.

Mastro Claudio ha - almeno per ora - tre birre all'attivo, ma tutte quante con la loro caratteristica peculiare che le lega al podere in cui nascono. Alla Farzotta, una ale dal colore quasi ramato e dagli aromi intensi di banana e pera, viene aggiunto il farro dicocco coltivato al Pereto: il risultato è una birra che in bocca è un tripudio di cereale, con sentori che vanno dalla crosta di pane al miele; e che riserva una sopresa nel finale, in cui il luppolo arriva in maniera inaspettata a bilanciare la dolcezza del corpo pur senza soverchiarla.

Ancor più peculiare è la Senatrice, una saison di ispirazione belga, con l'aggiunta di una particolare varietà di grano duro - la "Senatore Cappelli", da cui prende il nome: all'olfatto mi ha ricordato quasi una blanche, con la schiuma abbondante a racchiudere i profumi di chiodi di garofano, fiori e agrumi; in bocca e nel finale risulta però nettamente più secca e con toni speziati che Claudio ha spiegato essere dati dal lievito, per chiudere con quelli erbacei dei luppoli.

Da ultima ho provato la Mandarina B., ispirata alle Golden Ale, con l'aggiunta di avena e il tocco del dry hopping con la varietà di luppolo Mandarina Bavaria: luppolo che le dà non solo il nome ma anche le intense note agrumate che questo suggerisce, e che oltre ad essere ben presenti all'aroma ritornano soprattutto nel finale; lasciando un amaro acre ma assai dissentante, dopo i brevi tocchi di malto del corpo.

Nel bilancio finale, direi che non posso non spezzare una lancia a favore de La Stecciaia: non solo perché le birre sono di qualità - complice, oso credere, quella delle materie prime -, ma anche perché il mastro birraio è riuscito a dare il suo tocco di unicità partendo da queste ultime senza strafare. Un equilibrio che, come già più volte mi sono trovata a dire, non tutti riescono a raggiungere e mantenere.

giovedì 2 aprile 2015

E' arrivata #accisanera

Già da inizio anno se ne parla, e ora siamo venuti al dunque: homebrewers e birrifici artigianali hanno iniziato a stappare le prime bottiglie - o mettere alla spina i primi fusti, a seconda dei casi - di Accisa Nera, la birra ideata come forma di protesta contro l'aumento delle accise - chi non sapesse o non si ricordasse di che cosa sto parlando, clicchi qui. E il primo aprile - e non è uno scherzo - il Mastro Birraio di Trieste ha ospitato la prima "serata Accisa Nera" in regione, con due versioni della birra in questione: quella del birrificio Antica Contea di Gorizia - che per non smentirsi l'ha messa in cask - e quella del Grana 40 di Ipplis e birrificio di Meni in collaborazione.

La ricetta di base, elaborata da Emanuele Beltramini del Grana 40, non impedisce a ciascun birraio di mettere il suo tocco: e in effetti così è stato, dato che ne sono uscite due birre completamente diverse. Quella di Grana 40 & Meni è, come comprensibile, più fedele alla ricetta originale: una luppolatura all'americana - come da definizione di "hoppy amercan porter" - assai generosa che stupisce l'olfatto su una birra scura e fa presagire un corpo paragonabile a quello di una Apa; salvo poi far rimanere quasi perplessi una volta che in bocca rimane ben poco rispetto al previsto trattandosi di una birra volutamente "watery", come si usa dire - ossia: del tutto inconsistente sia sotto il profilo del corpo che del grado alcolico, facendo quattro gradi scarsi. Insomma, il messaggio è chiaro: se le tasse aumentano, i birrai saranno costretti a fare birre sempre meno "cariche" in quanto ad ingredienti per tagliare sui costi - e sul grado plato, su cui l'accisa è calcolata.

Tutt'altra birra è invece la versione proposta in cask dall'Antica Contea, che ha leggermente modificato la composizione dei malti della ricetta originale, puntando più sui malti scuri e diminuendo quelli base - quelli che danno il corpo, per intenderci. Ne è uscita un'Accisa Nera assai più fedele allo stile canonico delle porter, in cui i luppoli sono praticamente assenti all'olfatto e il corpo leggerissimo dà sentori di liquirizia uniti ad altri tra il metallico e l'acido - che il fondatore di Accademia delle Bire Paolo Erne mi ha spiegato essere dovuti ai malti in questione, se non siete d'accordo vedetevela con lui. Anche il fatto di essere stata messa in cask - nonché spillata dall'abile Daniele Stepancich, come si può vedere nella foto sotto - ha dato il suo tocco, consentendo di spillare una birra meno gasata e con il tipico "ossidatino" - come ho avuto scherzosamente a soprannominarlo una volta - che caratterizza le birre conservate così. Una birra ancor più "watery" della versione precedente - anche il grado alcolico è più basso, 3,5 - di cui due pinte possono scendere ad occhi chiusi: la classica "birra da facchino", da bere senza paura per dissetarsi e rinfrancarsi un po', perché "tanto fa poca sostanza".


Quale delle due versioni piaccia di più è naturalmente questione di gusti: chi preferisce il classico e il "pulito" - o più banalmente le porter - probabilmente apprezzerà di più l'Accisa Nera di Antica Contea; mentre gli adepti dei luppoli, delle sperimentazioni e degli aromi più forti preferiranno quella della premiata ditta Grana 40 + Meni. Certo una luppolatura così su una porter, per dirla terra terra, non c'entra nulla; ma del resto si tratta dichiaratamente di una fuori stile, per cui va da sé che i canoni non siano stati rispettati.

Un'ultima nota va per la terza versione di Accisa Nera che ho assaggiato, questa volta non di un birrificio ma di un homebrewer, Paolo Erne: anche qui con un tocco personale, dato che l'ha resa ancor più "ruffiana" - parole sue - aggiungendo un bacello di vaniglia, creando un aroma che a me ha ricordato la crema dei dolci. A quanto pare, fortunatamente, le tasse stimolano la fantasia degli italiani non solo quando si tratta di trovare la maniera di evaderle...