venerdì 19 dicembre 2014

Una visita a casa del Meni

Cogliendo il gentile invito del buon Giovanni, qualche giorno fa ho fatto visita al birrificio del "vecchio" Meni: alias Domenico Francescon, di cui - e delle cui birre - avevo già parlato in questo e questo post. E' stato quindi un piacere andare a vedere il luogo di produzione in quel di Cavasso Nuovo, piccolo paesino in provincia di Pordenone.

Il birrificio è ciò che si dice un'aziendina a conduzione familiare: intenti a brassare una cotta speciale per la Vecchia Osteria di Maniago c'erano infatti Domenico e il figlio Giovanni, mentre la moglie del capostipite era occupata ad inscatolare le bottiglie. Saranno pure in pochi, ma si danno da fare: lavorano infatti in doppia cotta, gestendo i tempi con estrema meticolosità dato che caldaie miracoli ancora non ne fanno. Annesso al birrificio c'è poi un piccolo spaccio che, per quel che abbiamo avuto modo di vedere nell'ora e poco più in cui siamo stati lì, è discretamente frequentato dai locali e non solo: tra i clienti abituali ci sono anche i militari statunitensi di stanza ad Aviano, in cerca - data la vasta gamma di birre proposte, tra cui diverse aromatizzate - di qualche "pezzo originale" che ricordi loro i gusti un po' più estremi in voga oltreoceano.

Avendo già provato la Siriviela, la Candeot e la Pirinat - come descritto nei post di cui sopra -, questa volta la scelta è caduta sulla Grava: una Ipa dal colore ramato e dalla schiuma densa, persistente e pannosa, in cui dominano all'aroma le note di resina del luppolo chinhook. Addentata - letteralmente, data la consistenza - la schiuma, mi è arrivata in bocca una sferzata di amaro: il corpo robusto lascia infatti ben poco spazio ai toni agrumati ed erbacei che di solito la fanno da padroni nel genere, prediligendo nettamente quelli amari - per quanto nel primo sorso abbia sentito una leggera punta di caramello, subito svanita. Anche la chiusura è altrettanto amara e secca, lasciando da principio la bocca pulita, per poi ritornare in piena forza con una persistenza discretamente lunga.

Per quanto l'abbia trovata sbilanciata verso l'amaro a livello di gusti personali, indubbiamente è una birra che ha del carattere; e che probabilmente fa la felicità di tutti coloro che si dicono perplessi davanti alla moda delle Ipa fin troppo spinte dal lato aromatico, in cerca di un facile stupore. Qui si cerca piuttosto di stupire con un amaro che non sia "un amaro qualsiasi" ma abbia una sua unicità, e che gli amanti del genere possono trovare interessante.

Ultima nota: il premio simpatia va all'unanimità - mia e di Enrico, naturalmente - alla cassettina in legno fatta dal Meni stesso, utilissima come confezione regalo per sei bottiglie e che non abbiamo potuto resistere dal portarci a casa. Il Natale quando arriva arriva...


lunedì 15 dicembre 2014

Uno "sposalizio" tra birrifici

Che i birrifici artigianali collaborino, non è una novità: le birre opera di mastri birrai di case diverse sono numerose, e numerose tra queste sono quelle ben riuscite. Però si può collaborare anche sul fronte delle degustazioni, agguingendoci magari la collaborazione con un ristorante: ed è stato il caso della serata organizzata da due nomi noti ai lettori di questo blog - il Grana 40 di Ipllis e il Garlatti Costa di Forgaria - a Il Giona's di Premariacco, delizioso locale con muri in petra e caminetto perfetto per l'atmosfera natalizia. Una serata "tra amici", dato anche il numero massimo di posti disponibili, in cui i birrai hanno potuto presentare le loro opere in maniera diretta e in uno scambio con gli interlocutori proprio come se fosse una chiacchierata.

Ad aprire la serata è stato l'aperitivo con la Mar Giallo di Grana 40 - che il Giona's tiene alla spina - accompagnato dalla pizza affumicata - pancetta, cipolla di tropea, gorgonzola di capra e fiordilatte - del ristorante: forse non la birra più adatta insieme a quei sapori, ma il connubio pizza-birra fa comunque il suo, e la Mar Giallo rende assai meglio - così come la sua "sorella Mar Nero" (nella foto sopra) - alla spina che in bottiglia. A seguire l'antipasto di prosciutto di cinghiale, puntarelle, cipolline in agrodolce e caprino (nella foto accanto) accostata alla Lupus di Garlatti Costa, una chiara ispirata alle bionde belghe. Personalmente, pur essendo una birra di tutt'altro genere, mi ha ricordato parecchio le blanche per gli aromi speziati e i particolari sentori di lievito - osservazione su cui l'artefice Severino ha concordato -: il che me l'ha fatta parecchio apprezzare, risultando leggera e rinfrescante pur con un corpo pieno.

Con il primo - orzotto con radicchio di Treviso e salsiccia - è arrivata la Liquidambra, sempre di Garlatti: un'ambrata, come dice il nome stesso, dalle decise note di nocciola e caramello, dolce al palato ma con un amaro ben secco in chiusura. Ottimo per "sgrassare", insomma, nonostante il tenore alcolico - 7 gradi - si senta tutto. La Mar Nero di cui sopra ha fatto invece il suo ingresso con il secondo - una bistecca di maiale con l'osso, accompagnata da polenta e patate alla tedesca con dadini di speck. Ottimo l'accostamento con le patate e lo speck, con cui si armonizzavano bene le note di tostato e - incredibile a dirsi - anche quelle di liquirizia della Mar Nero, un po' meno indovinato quello con la carne - per la quale avrei matenuto forse la liquidambra; comunque gradito, anche perché - diciamocelo - tutto quello che ci è passato nel piatto era davvero cucinato con maestria.

Da ultimo il dolce - un semifreddo alla nocciola e caramello - accostato alla Orzobruno, una scura doppio malto di Garlatti: anche in questo caso la filosofia è quella di parire col dolce e chiudere con l'amaro, partendo dai tocchi di nocciola, tostato e frutta secca per arrivare ad un finale luppolato delicato e deciso al tempo stesso.

In tutto e per tutto una serata riuscita, sia per le birre e la cucina di qualità, sia per il dialogo che si è creato con i birrai: prova il fatto che i partecipanti non lesinavano certo sulle domande, confermando che l'interesse per la birra artigianale, se opportunamente "risvegliato", c'è. Ai birrai, agli operatori dell'informazione e ai già appassionati coglierlo.

venerdì 12 dicembre 2014

Un Natale...da latinisti

Si, va bene, lo so: il buon prof Mauro Coppola, alla scuola di giornalismo, i miei titoli li bocciava sempre, e sicuramente questo sarebbe andato incontro allo stesso triste destino. Però a mia discolpa posso dire che non ho tutti i torti, dato che la birra di cui sto per parlare ha a tutti gli effetti un nome latino: se non altro, ho dalla mia un dato di fatto. Per chi ha qualche vago ricordo del liceo, Natale si dice dies Natalis: e Natalis è infatti il nome della birra stagionale del birrificio Un Terzo, che ho peraltro avuto occasione di provare alla spina in Brasserie. Dato che le birre natalizie hanno sempre un tenore alcolico particolarmente elevato, e che quella sera nella stessa sede c'era anche l'incontro dell'Associazione Homebrewers Fvg - con relativa degustazione -, mi sono premurata di chiedere prima quanti gradi avesse (7,5, per la cronaca): ma vedendo la faccia compiaciuta di Enrico dopo il primo sorso, ho fugato ogni dubbio con un "Ma sì, fammene una!" (piccola, grazie).

La schiuma, di un nocciola chiaro che fa da contrappunto al nocciola scuro della birra, è fine ma non particolarmente persistente; quel che basta comunque a racchiudere una rosa di aromi piuttosto ampia - tra cui ho sentito in particolar modo la frutta sotto spirito e le spezie, con qualche nota liquorosa. Una complessità notevole confermata anche nel corpo caldo e robusto, che però ho trovato equilibrato e non troppo impegnativo: tanto che, per avere l'alcol che ha, è parecchio beverina. Per quanto predominino in chiusura i malti, non lascia in bocca quel dolciastro che a volte rende stucchevoli le birre di questo genere: per cui, per quanto naturalmente non possa fare la felicità degli amanti del luppolo e del suo amaro, quello dato dalla tostatura del malto fa comunque il suo mestiere. Ammetto che è stata una sopresa leggere poi a posteriori che la ricetta include anche il frumento maltato: probabilmente assai difficile da sentire nell'insieme, ma comunque parte della complessità della Natalis. Una complessità che ha il merito di non risultare eccessiva e di non "stomacare", passatemi il termine, e che mi ha fatto apprezzare anche quest'opera dell'Un Terzo.

Di birre natalizie comunque, a quanto pare, avrò modo di assaggiarne ancora: l'Associazione Hoebrewers Fvg ha organizzato per il 22 dicembre una sorta di "concorso interno", al quale mi sono ben volentieri offerta di dare il mio contributo nel giudicare. Dato - come dicevo sopra - il tenore alcolico medio di queste birre, per quanto auguri ogni bene all'Associazione, spero solo che non siano in troppi a concorrere...

martedì 9 dicembre 2014

Zahre, dalla Ipa alla Apa

Per chi non lo sapesse, in casa Bernardinis-Andreola non è Natale senza un giro ai mercatini di Sauris; e così anche quest'anno abbiamo onorato la tradizione, nonostante il meteo non fosse esattamente dalla nostra parte. Oltre al tradizionale giro per la bancarelle, e al graditissimo tour del prosciuttificio Wolf in cui ci ha gentilmente accompagnati l'ad Stefano Petris - sappiate che è uno dei pochi stabilimenti in cui l'affumicatura dei salumi si fa ancora con legna e caminetti, vedi foto allegata per credere - non è potuta mancare naturalmente una tappa al birrificio: tanto più che nei tank c'era una novità, ossia la Apa. Dopo la Ipa - di cui ho parlato in questo e questo post -, non rimaneva che andare a provare l'ultima nata di casa Zahre.

Il buon Sandro ce l'ha spinata direttamente dal tank, e quindi la temperatura era al di sotto di quella ottimale di servizio; ma già così risaltava all'olfatto un aroma di cereale piuttosto insolito per il genere, che andava a sposarsi in maniera del tutto peculiare con l'erbaceo del luppolo. Diciamocelo, il birraio ci ha confidato una cosa: il tutto, come molte volte accade, è nato da un errore nel dosaggio del luppolo, inferiore a quello prestabilito. Ma, guarda un po' te, ne era uscito lo stesso qualcosa di buono: e buono assai, direi, perché per quanto all'olfatto lasci un po' disorientati il corpo risulta ben equilibrato - personalmente ho avuto qualche sentore di biscotto secco -, e le note di malto lasciano poi spazio ad un amaro ben netto che "pulisce" egregiamente la bocca. La temperatura un po' più alta, atteso qualche minuto, ha reso poi pienamente giustizia al tutto. Per quanto la Ipa sia in sé e per sé un genere più vicino ai miei gusti, direi che di questa Apa ho apprezzato soprattutto l'originalità pur rimanendo una birra "semplice"; e in questo senso direi che è un altro colpo messo a segno dai fratelli Petris e soci.

Ultima notizia dai monti della Carnia, Zahre ha iniziato a coltivare la sua canapa per la birra omonima - che ultimamente ha infatti avuto delle evoluzioni interessanti, come ho scritto in questo post -; tanto da aver provveduto anche a delle confezioni regalo per Natale che includono l'olio e la farina di canapa, di cui uno dei risultati è l'ottimo pane dato lì in degustazione erealizzato da un ragazzo di Pordenone. Se, oltre che di birra, avete passione anche di pasticciare in cucina, sappiate quindi che c'è anche questa possibilità...

venerdì 5 dicembre 2014

Anche i pellerossa festeggiano il Natale

Ho recentemente portato a compimento il buon proposito di farmi rivedere dalle parti del Saloon Birreria Mondelli - precursore di tutte le varie catene in stile western, vantando ormai quarant'anni di onorata attività -, dato che era da un po' che non ci ritornavo - a onor del vero, da quando ne avevo parlato in questo post. Diciamocelo, Enrico sentiva la mancanza della kwak alla spina, dato che è l'unico posto - almeno a distanza ragionavole da qui - in cui la si trova: ma tornare lì è comuqnue sempre piacevole, trattandosi di una birerria assai originale che sia alla spina che in bottiglia vanta sempre qualche chicca degna di nota.

In questo caso la scura Kasteel Donker, che il Mondelli tiene come birra di Natale: una quadrupel belga da ben 11 gradi, che si sentono tutti e anche di più. La schiuma, non troppo persistente e di color nocciola leggero, racchiude un aroma dalle forti note di caffè, liquirizia e caramello: Enrico dopo il primo sorso l'ha scherzosamente definita "caramella Alpenliebe". una gag che - per quanto personalmente mi ricordasse di più una bella tazza di caffè ben zuccherata - ho trovato calzante, Il corpo è probabilmente tra i più pieni che mi sia mai capitato di sentire, ed esalta ancor di più le note dolci ed alcoliche del malto: specie se bevuta alla giusta temperatura di servizio, ossia 12 gradi. Un sapore forte e discretamente persistente, che rimane in bocca abbastanza a lungo facendo "rivivere" - alemno cos'ì mi è sembrato - tutti i sapori provati prima. Insomma, una birra impegnativa, che definirei "da condividere" - perché credetemi che arrivare in fondo è davvero dura.

Infatti ammetto di averne preso solo un assaggio, per poi ripiegare sulla Abbaye de Bonne Esperance: anche questa una doppio malto belga dai suoi bei 8 gradi con notevoli aromi di nocciola e dal colore ambrato, ma dal corpo sorprendentemente leggero che la rende pericolosamente beverina. Le note di malto sono predominanti, ma il finale lascia comunque una leggerissima punta amara che invoglia ad un altro sorso. Peraltro, seguendo il consiglio del buon prof. Buiatti, per sentire meglio l'amaro avevo tuffato la bocca - e anche il naso, ahimé - nella densa schiuma degna della miglior panna montata: in effetti sì, funziona.

Che dire, in conclusione? Effettivamente la Kasteel Donker è una birra di tutto rispetto, che però ho trovato eccessivamente ricca: per quanto stupisca di meno, ammetto di essermi bevuta assai più volentieri il mio calice di Abbaye. Insomma, anche nella birra il troppo stroppia...

martedì 2 dicembre 2014

Di Zanna non c'è solo quella bianca

Quando da diversi mastri birrai ti arriva a più riprese l'invito a conoscere un collega, dato che buona reputazione all'interno della categoria generalmente è sincera, non si può non coglierlo: così ieri mi sono messa in viaggio verso Gorizia - oltre che per salutare gli amici del Birrificio Antica Contea, beninteso - per conoscere Antonio Zanolin. Meglio noto agli intenditori come mastro birraio della Gastaldia di Solighetto (Treviso), dopo dieci anni di onorata esperienza il buon Antonio ha fatto ritorno qualche mese fa nella natìa Trieste per lanciare il suo marchio, Zanna Beer; e la Fiera di Sant'Andrea ha offerto l'occasione di uno spazio degustazione comune tra il giovane birrifico goriziano e l'ancor più giovane birrificio triestino. Oddio, in realtà è giovane anche il birraio; ma se l'azienda è "una startup" - parole sue -, lui in quanto ad esperienza non lo è affatto.

Al momento sono due le birre che Antonio produce, appoggiandosi all'impianto dell'agribirrificio Villa Chazil: la ale ambrata Savinja - dal nome della vallata slovena da cui arrivano i luppoli - e la Polaris, che Antonio ha battezzato "Adriatic kolsch" pur essendo in realtà una bassa fermentazione - "infatti penso cambierò il nome", ha confidato. Se c'è una cosa in cui si sente la maestria di Antonio, direi che è l'abilità nel gestire luppoli "impegnativi" - per sua stessa ammissione - ottenendo birre equilibrate e "pulite". La Savinja, dai profumi terrosi e di sottobosco pur con qualche sentore caramellato, rimane infatti molto delicata al palato e beverina - dopotutto fa poco meno di cinque gradi - chiudendo con una leggera nota maltata e rimanendo comunque discretamente secca; e ancor più beverina è la Polaris - dal nome del luppolo utilizzato -, dall'aroma floreale eccezionalmente delicato e dal corpo leggero, che lascia una nota amarognola dissetante e tutt'altro che invadente. Insomma, birre non fatte per stupire per la loro intensità o particolarità, ma che nei fatti stupiscono per la qualità raggiunta all'interno di canoni che torno a definire di "pulizia" e di equilibrio - cosa forse ancor più difficile. Direi quindi che la nuova avventura intrapresa da Antonio è assai promettente - con una terza birra in arrivo -, tanto più che poggia su solide basi.

Un'ultima nota va alla nuova cotta della Contessina dell'Antica Contea, che secondo Costantino dovevo "assolutamente assaggiare": in effetti l'ho trovata affinata soprattutto sotto il profilo dell'aroma, dalle note fresche ed agrumate più forti che in precedenza, così come nell'amaro al retogusto che rimane più secco e netto. Da bere a boccali per togliere la sete, insomma, perché scende che è davvero un piacere...

lunedì 1 dicembre 2014

Da grande farò la degustatrice

Ebbene sì: incorniciato in bella vista, accanto al diploma di laurea, c'è ora l'attestato di partecipazione al corso di degustazione per sommelier della birra, che - come accennato in questo post - ho seguito lo scorso weekend all'Università di Udine sotto la guida del prof Buiatti. Un corso che riscuote, a quanto pare, notevoli consensi in tutta Italia: il partecipante più lontano arrivava direttamente da Reggio Calabria, con qualche presenza anche dall'Emilia Romagna e un buon gruppo di veneti (io sinceramente non saprei tra chi annoverarmi, ma vabbè).


Ad aprire il corso venerdì è stato appunto il prof Buiatti, con un "pippone di due ore" (parole sue, declino ogni responsabilità) sulle tecniche di produzione della birra, "perché non potete sapere cosa bevete se non sapete come si fa": ma devo dire che "pippone" non è stato, perché, per quanto impegnativo da seguire, mi ha aperto un mondo che non conoscevo soprattutto per quanto riguarda la conoscenza delle materie prime. Se non altro, la prossima volta che un birraio mi parlerà di Vienna e di Saaz non crederò che si stia riferendo alla capitale austriaca o a una nuova marca di automobile (per i non adepti, il primo è un tipo di malto e il secondo una varietà di luppolo). Altra scoperta curiosa, nella lezione sui principi di analisi sensoriale tenuta dal dott. Comuzzo, è stata quella di possedere il retrolfatto: una sorta di "senso trasversale" tra gusto e olfatto, dovuto alla risalita per le vie nasali di alcune molecole di ciò che abbiamo messo in bocca. Naturalmente la giornata non poteva che chiudersi in gloria con la prima degustazione, quella della Birra Cerevisia prodotta dall'Università.

Se avevo temuto che la prima lezione del sabato sui difetti della birra, tenuta da Paolo Passaghe, sarebbe consistita nel bere birre riuscite male costringendoci a masticare una quantità spropositata di mentine e affini per togliere il saporaccio, fortunatamente non è andata così: il buon Paolo aveva diligentemente preparato in laboratorio delle boccette da annusare, così da imparare ad individuare gli odori di sostanze prima a me pressoché sconosciute - e che sarà mai il diacetile? -, costringendomi peraltro a rispolverare lontani e ormai sopiti ricordi di chimica de liceo. A quel punto non rimaneva che iniziare a fare sul serio, con la panoramica e degustazione dei vari stili birrari nel mondo guidata dal mastro birraio Stefano Bertoli: un tour de force di 12 birre, dalle California Common Beer d'oltreoceano alle trappiste - con tanto di simpatica digressione sulla nomina del prof. Buiatti a Cavaliere d'Orval -, con diligente compilazione della scheda di degustazione per ciascuna di queste. Per quanto la compilazione risulti sempre più difficile man mano che si procede per ovvie ragioni, indubbiamente è uno stimolo a tenere desta l'attenzione e la consapevolezza di ciò che si sta bevendo; che non trovo peraltro abbia pregiudicato il piacere del bere in compagnia, dato che l'atmosfera era comunque quella di una discussione tra amici su cosa avevamo nel bicchiere.

Domenica la parola è tornata al prof. Buiatti, per la lezione sull'abbinamento tra birra e cibo. Se la bontà dei formaggi che ci sono passati davanti - un frant, uno stilton, un gouda e un lavarone - ha forse distratto un po' l'attenzione dagli abbinamenti proposti - una Cantillon, una Westmalle Tripel e una Grecale del birrificio Gjulia, da provare con ciascuno dei campioni per individuare gli abbinamenti più adatti -, nonché dello speck con la Rauchbier, ha forse dato un taglio un po' godereccio a scapito dell'attenzione, comunque si è rivelata una leizone del tutto istruttiva: almeno adesso ho capito perché si dice che alcune birre "sgrassano", o come la carbonatazione possa influire nella percezione dei sapori. Data la vicinanza al Natale, non poteva mancare un ottimo panettone artigianale con la Rudolph di Garlatti Costa; nonché, offerte dal buon Giovanni Francescon del Birrificio di Meni (nella foto) che partecipava al corso, le degustazione della lager scura Pirinat messa a confronto con una cotta sperimentale ottenuta dallo stesso mosto sottoposto però ad alta fermentazione. Forse uno dei momenti più isruttivi: il fatto di partire da una base identica permette di percepire molto bene i tratti distintivi delle lager e delle ale, oltre che di rendersi conto che, molto banalmente, basta un lievito diverso per fare "tutta un'altra birra".

A chiudere il tutto, la consegna degli attestati; con un complimento che trovo dovuto all'Universiytà di Udine, e in particolare al prof. Buiatti e a tutto il suo staff, per la qualità del corso tenuto e per l'impeccabile organizzazione.  Ed ora che sono una degustatrice diplomata, in alto i boccali (invece dei calici)...

venerdì 28 novembre 2014

Un felice "matrimonio" per la New Morning e la Mater

Da qualche tempo non partecipavo alle serate degustazione della Brasserie; ma data la stagione - e il meteo irrimediabilmente ostile -, che invoglia a qualcosa di "caldo" e autunnale, l'ultima porposta di menù elaborata da Matilde e Norberto mi incuriosiva: lasagne alla zucca abbinate alla New Morning, una saison del Birrificio del Ducato, e pollo alle castagne e luppolo con patate al forno accompagnate dalla Mater, strong ale ambrata del Birrificio Un Terzo. Entrambi due nomi di tutto rispetto, per cui mi sono ripromessa di non perdere l'occasione.

Ancor prima delle lasagne ci è arrivato il bicchiere di New Morning, da cui saliva un notevole aroma di spezie e fiori - molto ben equilibrati dato che non ho sentito prevalere nessuno sugli altri, pur avendo colto il coriandolo e lo zenzero - ma soprattutto di pane fragrante: o almeno è stata questa la mia impressione, confermata anche al palato, a cui la New Morning appare in un primo momento discretamente dolce per poi virare verso un amaro delicato e una chiusura secca e dissetante. Il dolce della zucca - chapeau alle lasagne di Matilde, per inciso - vi si abbinava in maniera soprendente, creando un amalgama perfetto con la speziatura della birra e contrastando al punto giusto l'amaro finale, mentre per analogia vi si accompagnavano le note di pane - dopotutto, il pane alla zucca è un classico che non perde mai colpi.

Soddisfatta della prima portata, sono passata alla seconda di ben altro genere: la Mater è infatti una birra piuttosto impegnativa, come già fanno presagire da sotto il denso cappello di schiuma pannosa gli aromi di resina e quasi di liquore. Nel corpo assai robusto - in cui gli otto gradi si sentono tutti - il malto domina in maniera molto netta arrivando al caramellato, con qualche sentore caldo e pungente che mi ha ricordato il whisky in chiusura; quasi del tutto impercettibile il luppolo, per cui rimane una persistenza calda e dolce. Una birra così ha bisogno di un abbinamento "forte": e se la carne di pollo tendenzialmente non lo è, la salsa di malto e castagne lo rendeva tale, in uno sposalizio per analogia che quasi faceva venir voglia di bagnare la carne con la birra - no, intingere il cosciotto come fosse un cornetto no, non esageriamo. Anche questo un accostamento del tutto indovinato, e apprezzabile soprattutto dai palati forti.

Tirate le somme, la definirei una delle degustazioni meglio riuscite della Brasserie: non tanto e non solo per i piatti ben cucinati e per le birre di ottima qualità, ma soprattutto per gli abbinamenti che hanno saputo valorizzare al meglio gli uni e le altre. Una nota di merito va quindi ai mastri birrai, alla cuoca (Norberto, Matilde mi ha detto che ha cucinato lei, quindi se non è vero vedetevela voi) e a chi ha pensato gli abbinamenti: una conferma che il lavoro di squadra tra birrifici e ristorazione è una strada promettente.

giovedì 20 novembre 2014

Piccoli brassatori per grandi birre


Chiedo perdono all'Associazione Homebrewers Fvg se ho plagiato il loro slogan per il titolo di questo post: ma è appunto questa la notizia, ossia la fondazione di questa associazione che intende riunire gli appassionati di homebrewing della regione - a quanto pare numerosi e che ci sanno pure fare, come hanno dimostrato concorsi quali "Luppolando" o la notevole mole di discussioni in materia che si svolge sulla pagina Facebook di Accademia delle Birre (e non a caso gli accademici erano presenti in buon numero).

A quanto pare, quindi, i tempi erano maturi per dare una veste istituzionale alla cosa: e così martedì 18 alla Brasserie di Tricesimo, che ha sostenuto la costituzione dell'associazione, il fondatore dell'Accademia delle Birre - nonché primo socio onorario - Paolo Erne ha tenuto a battesimo l'Associazione homebrewers Fvg, alla presenza di Severino Garlatti Costa appena rientrato dalla sua esperienza di giudice al Brussels Beer Challenge. Presidente è Walter Cainero, il pluripremiato homebrewer di "Luppolando": se da un lato si può obiettare che sono sempre gli stessi nomi a ritornare, dall'altro è la dimostrazione che una volta creato un circuito e una "massa critica" di appassionati questo rappresenta un humus fertile per concorsi, incontri, tavole rotonde, serate di degustazione e qualsiasi altra iniziativa, di cui possono beneficiare tutte le realtà del territorio.


Fa quasi sorridere che, come ha sottolineato Walter (a sinistra nella foto insieme a Paolo Erne), l'associazione sia nata quasi in controtendenza rispetto al gran fermento - letteralmente - che c'è in rete: tutto a scapito dell'incontrarsi di persona ed avere uno scambio di idee e informazioni più "genuino", oltre al fatto che di certo le birre non si possono assaggiare via Facebook. C'è da dire infatti che l'interesse per l'homebrewing è in crescita, ma per ora gli appassionati sono riuniti un maniera preponderante da forum e simili: io stessa, nello scrivere qualche tempo fa un post in merito, ho avuto le mie difficoltà a reperire informazioni. Senz'altro dare una veste anche istituzionale a questa passione aiuterà ad avere una maggiore presenza mediatica al di là di questi forum e pagine Facebook, che, pur essendo magari molto frequentati, hanno il limite di arrivare ai soli interessati. Un passo avanti dunque per promuovere non solo l'homebrewing, la sensibilizzazione più al largo per quanto riguarda il consumo "consapevole" (passatemi il termine) di birra artigianale.

Nella serata di apertura l'Associazione ha raccolto una trentina di adesioni, ma le iscrizioni sono ancora aperte: per completezza di informazione, concluido dicendo che chi volesse tesserarsi può ancora farlo contattando la Brasserie.

martedì 18 novembre 2014

A tavola con la birra, parte seconda

Data la buona impressione che mi aveva fatto la prima serata "A tavola con la birra" organizzata dal "brewrestaurantpizzeria" (come l'ho scherzosamente definito) Sancolodi, la distanza tra Udine e Mussolente non è bastata per farmi desistere dal partecipare alla seconda: tanto più che questa volta era a base di pesce, con il significativo titolo "Un mare di birra". E di cibo, detto tra noi: dall'antipasto al dolce, erano previste otto portate accompagnate da altrettante birre di cui cinque della casa. Insomma, c'era letteralmente da affogare.

Anche questa volta ad aprire è stato un aperitivo di concentrato di pesca e Grizzly; questa volta ho avuto modo di assaggiarla anche "pura", e devo dire che, per quanto possa di primo acchito dare un po' l'impressione di "morire" in bocca, il gusto abbastanza netto di miele ritorna a scoppio ben ritardato, con una persistenza del tutto peculiare. Nota di merito poi all'aroma, che unisce abilmente il dolce del miele allo speziato del ginepro. A seguire, dei crostoni di pane di trebbie (ciò che resta dei cereali usati nella lavorazione della birra, per i non addetti ai lavori...la foto a loro beneficio) con ragù di alici sfumato nella lager "La Vita è bella" che accompagnava il piatto: indovinato l'accostamento perché creava un buon continuum, per quanto abbia trovato la lager assai meno agrumata e molto più secca della scorsa volta.

La prima birra non indigena - chiamamola così - è arrivata con la terza portata, le sardine ripiene alla birra in pastella di "Saison de Doittignes": birra stagionale estiva direttamente dal Belgio, che il buon Luca ha usato sia per bagnare il ripieno di pangrattato, olio, agli e acciughe che per la pastella. Un piatto da gustare alternando ciascun boccone ad un sorso, per "sgrassare" al meglio la sardina. Di più ho però apprezzato i moscardini confit cotti ne "La Vita è bella" con polentina al latte: proprio quest'ultima è stata la sorpresa, perché creava un'armonia di contrasti - perdonate l'espressione un po' ossimorica, ma non trovo altra definizione - tra i tre sapori, ed ho trovato che fosse proprio la polenta a "legarli".

Siamo poi passati ai ravioli di pasta fresca ripieni di crotacei sfumati nella birra e conditi con ristretto della stessa e "schie" (sorta di gamberetti), accompagnati dalla "Luna bianca": la blanche di avena e segale di casa Sancolodi, i cui netti aromi di coriandolo, cardamomo e pepe si sono confermati un ottimo abbinamento con il pesce. La sorpresa è però probabilmente staa il trancetto di tonno in crosta di nocciole e pinoli con la stout Guilty (nella foto): ammetto che non avrei mai abbinato un pesce ad una stout, invece la frutta secca ha fatto da ponte tra i due sapori, creando un connubio che mi ha sorpresa. Stessa cosa si può dire delle seppioline in purea di torbata, altro "sposalizio" che non avrei osato, e che invece ha funzionato questa volta in virtù della patata.

Devo ammettere che non mi ha invece entusiasmato l'abbinamento del cucchiaino (in realtà un cestino di pane) di sgombro e triglie con la lambic Boon: non ho apprezzato l'acidità della birra - per quanto funzionasse da ottimo sgrassante - perché ho trovato cozzasse con quel tipo di pesce. Opinione mia, magari, ma si sa che verso le lambic sono un po' prevenuta. In chiusura, la crema di imperial stout Samuel Smith ricoperta di granella alle nocciole. Anche qui, devo dire, avrei gradito un po' di stout piuttosto che la birra alle castagne: una bassa fermentazione che, pur avendo un corpo assai delicato all'interno del genere (non usa infatti castagne arrostite), ho trovato mal si abbinasse al dessert portando un gusto non solo troppo diverso ma anche che non si accompagnava. Insomma, dieci e lode a tutti i piatti, di qualità anche le birre prese singolarmente, unica pecca gli ultimi due abbinamenti dato che tutti i precedenti erano ben riusciti.

Un'ultima nota trovo doveroso rivolgerla all'ospitalità dei Sancolodi: mi sono infatti trovata a dire a Roberto che non solo è un locale "di famiglia" in quanto gestito da padre, madre e tre figli - con relative famiglie a loro volta -, ma anche perché riescono a far sentire "in famiglia" chi vi entra. E si sa che un buona birra è più buona se bevuta in un ambiente di "vera" compagnia.

martedì 11 novembre 2014

Una raffica di vento

Come promesso al birrificio Campagnolo, ieri sera ho fatto il sacrificio di stappare la Refolo: una lager scura tra le ultime novità del birrificio di Muggia, anche in questo caso battezzata ispirandosi alla proverbiale ventosità della zona - "refolo" significa "raffica", termine del dialetto veneziano tuttora in uso in terra triestina. Diciamocelo: la lager scura è un genere un po' infido. Perché, avendo in virtù dei malti torrefatti molto in comune con la ben più nota cugina ad alta fermentazione stout - dal colore, alle note di tostato e di caffè -, rischia di deludere chi, molto banalmente, si aspettava una Guinness: facile quindi cadere nella critica "Buona, ma c'è qualcosa che non mi torna", dimenticandosi che si tratta di due generi diversi e quindi non direttamente confrontabili - per quanto, almeno a sentire Meni e la storia della sua Pirinat, si possa riuscire a confondere le acque, anzi le birre.

La Refolo, comunque, sicuramente non lascerebbe insoddisfatto nemmeno il più accanito estimatore della stout - schiuma a parte, dato che è a grana piuttosto grossa e di color cappuccino. All'aroma il tostato è intenso e deciso, e al palato il caffè la fa da padrone pur senza risultare squilibrato rispetto al tostato di cui sopra: non sfigurerebbbe affatto a fine pasto, al posto della tradizionale "tazzulella" (no, non sono napoletana, ma l'espressione mi è sempre stata simpatica). Interessanti anche i sentori di fave di cacao - mi ha ricordato quelle che ho mangiato "a km 0" in Guatemala, per cui sì, vi garantisco che quello è il sapore delle fave - che arrivano a chiudere, e lasciano quasi una punta di asprigno che comunque non persiste.

La definirei una birra che non cerca di stupire, ma piuttosto di cercare quell' "eccellenza all'interno del genere canonico" verso cui tanti birrai artigianali sembrano ormai tornare dopo periodi di sperimentazione più o meno audaci: e se non mi sbilancio nel dire che sia "eccellenza", avendo pochi termini di confronto in quanto a lager scure tra le birre che ho assaggiato, senza dubbio è una birra di ottima qualità e ben riuscita. E senz'altro consigliabile ai caffeinomani: probabilmente è più salutare una pinta di Refolo che tre o quattro espressi in una mattina...

lunedì 10 novembre 2014

Django uncorked

Ok, so che non è bene infarcire i titoli di citazioni - tanto più in inglese - perché poi non si può pretendere che tutti le capiscano; ma anche questa volta cadeva davvero "a fagiuolo" il parallelo tra "Django unchained", "Django scatenato" (nel senso di liberato dalle catene), film di Quentin Tarantino, e "Django uncorked", "Django stappato". Perché Django non è solo il personaggio della pellicola, ma anche la nuova imperial stout del Birrificio Estense, che, come detto in un mio precedente post, mi ero ripromessa di assaggiare una seconda volta "a bocca pulita". E così, motivata anche da una giornata particolarmente intensa che ha imposto la necessità di ristorare adeguatamente corpo e spirito - letteralmente -, un paio di sere fa ho stappato la bottiglia che il buon Nicola mi aveva gentilmente affidato.

A colpirmi è stata in primo luogo la schiuma: per quanto non sia densa e cremosa come in buona parte delle stout, ma a grana piuttosto grossa, è di un color nocciola particolarmente carico, come non ricordo di averne visti altri. Il colore poi è di un corvino altrettanto intenso, tanto che Enrico ha esclamato scherzosamente "Se non sapessi che è birra, potrei confonderla con la Coca Cola". Meno male che non lo è, oserei aggiungere...
Per quanto l'aroma - su cui risalta molto il tostato, forse a scapito delle altre sfumature tipiche del genere - non sia particolarmente forte, una volta messo in bocca il primo sorso i conti vengono pareggiati: il cioccolato è infatti inaspettatamente intenso, tanto che mi sono immaginata la birra calda in tazza con un po' di panna sopra - forse non poi così tanto un sacrilegio, dato che esiste pur sempre la McChouffe calda. Anche le note di caffè e liquirizia non mancano e si armonizzano egregiamente, per finire con una punta di acido non particolarmente persistente che contribuisce a "pulire" il palato da una birra che può risultare impegnativa - anche dal punto di vista alcolico, dati i sette gradi.

Senz'altro una birra da ricordare per la sua intensità, e da bere con calma, magari davanti al caminetto - accompagnata da una buona fetta di birramisù - in una serata fredda, umida e piovosa: e dato il clima di questi ultimi giorni, temo proprio che bisognerà fare rifornimento...

giovedì 6 novembre 2014

Il re dei luppoli

In uno dei miei giri alla Brasserie, approfittando del fatto che si trattava della birra a rotazione in quel momento alla spina, ho colmato una delle mie lacune in quanto al birrificio Toccalmatto: ho infatti assaggiato la Re Hop, una American Pale Ale che definirei scherzosamente una American-German Pale Ale, data la sua peculiarità di unire un luppolo americano come il cascade a due tedeschi come il perle e il tradition. Insomma, un connubio tra vecchio e nuovo continente.

Il nome "Re Hop" (hop sta per luppolo, per i non anglofoni) è indubbiamente indovinato: basti dire che l'amica al tavolo con me, quando sono arrivati i bicchieri, ha messo da parte la sua blanche per annusare la mia Re Hop perché le era arrivata una zaffata di profumo così forte da incuriosirla. In effetti l'aroma intenso è il punto di forza di questa birra, tra il floreale e l'agrumato - ammetto di non aver percepito lo speziato, per quanto la descrizione lo magnificasse. Complice la schiuma abbastanza sottile e non molto persistente, mi sono gettata abbastanza presto sul primo abbondante sorso: ristoratore per la sete, devo ammettere, perché è parecchio beverina dato il corpo non troppo intenso - per quanto nettamente amaro - e la chiusura secca e aromatica, che fa da controparte a quanto "annusato" prima.

L'abbinamento con il petto di pollo alla griglia non era stato propriamente meditato, ma non è stato un errore: tanto più che la carne era leggermente speziata, per cui una luppolatura di questo genere faceva da buon accompagnamento. In conclusione la definirei una birra di qualità che mantiene la semplicità nella sua originalità - cosa non semplice da ottenere: detta in altri termini, di quelle che rifuggono dal "famolo strano" a volte di difficile beva e che ti verseresti con piacere bicchiere dopo bicchiere...

lunedì 27 ottobre 2014

Tra birra, libri e divanetti

Domenica scorsa, con l'occasione della festa organizzata per il traguardo - ormai già superato - di 1000 membri da parte dell'Accademia delle Birre, ho avuto modo di scoprire un nuovo locale in quel di Legnago (Verona): il Winchester Pub, aperto poco più di due mesi fa dall'audace ventiseienne Edik Lunardi (nella foto con il fondatore dell'Accademia, Paolo Erne), che forte degli studi alberghieri - nonché dell'esperienza di homebrewer - ha deciso di fare il salto imprenditoriale con il sostegno della famiglia. E già qui, direi, un primo complimento va fatto, perché ci vuole coraggio ad offrire - parole sue - "qualcosa che in zona non c'era, e in una zona come questa in cui domina il vino": non a caso dietro al banco è esposta anche una lavagnetta con la carta dei vini, dato che non si può prescindere del tutto dal contesto in cui si opera.

Fare bilanci è naturalmente prematuro, ma si può dire che Edik è partito bene. Il Winchester è arredato con gusto in stile "salotto di casa" con tavoli il legno, specchi e divanetti; la chicca sono i numerosi scaffali pieni di libri e gli angoli adibiti a zona di lettura, in cui ci si può sedere comodamente con una pinta in una mano e un romanzo nell'altra. Se non riuscite a finirlo, nessun problema: potete portarvelo comodamente a casa, con l'accordo - secondo il principio dello scambio libri, sperimentato già altrove - di riportarlo, oppure di lasciare sullo scaffale un libro che avete già letto e siete felici di far circolare. Insomma, ci sono le potenzialità perché il Winchester diventi un luogo di cultura non solo birraria.

Ancor prima che le sei spine - più una pompa, con i buoni propositi di procurarsene almeno un'altra - ad attirare l'attenzione è la serie di bottiglie in vendita sugli scaffali: da una buona selezione di Brewdog - tra cui alcune abbastanza difficili da trovare come la Cocoa Psycho o la serie di quattro monoluppolo -, alle St. Peter's, alle Meantime, ad una carrellata di acide dal Belgio, fino alle bottiglie di design del Birrificio di Parma, nata dalle cantine della famiglia Ceci in un interessante connubio tra birra e lambrusco (no, non i popcorn....i fan di Ligabue hanno capito). L'elenco potrebbe proseguire, ma già così si capisce che le birre di qualità e le rarità non mancano, soprattutto dall'area anglosassone.

Venendo invece alle spine, domenica erano disponibili nell'ordine la hell tedesca Andechs, una bitter e una stout della Fuller's, la Punk Ipa della Brewdog, la Meantime Ipa e la Boon Oude Kriek - una particolarità in effetti, in quanto vederla alla spina è inusuale. Personalmente ho trovato un po' troppo forte la gasatura della Meantime Ipa, per quanto si tratti di una Ipa in stile inglese di tutto rispetto, dal finale abbastanza secco; nulla da obiettare invece sulla stout, spinata a dovere con la schiuma pannosa d'ordinanza - "Manca solo il biscottino", hanno osservato scherzosamente i miei compagni di tavolo.

Puntuale e cordiale il servizio: Edik e soci hanno allietato i commensali - e colgo l'occasione per ringraziare tutti per la bella giornata, le birre che gli homebrewers hanno portato, i dolci alla birra, ecc ecc - con taglieri di formaggi e salumi di ottima qualità, accompagnati a pane, olive e cipolline. Per ora sono disponibili solo piatti freddi, ma la tabella di marcia prevede l'apertura della cucina tra un paio di mesi: il menù è in fase di elaborazione, ma Edik assicura che qualche piatto cucinato con la birra ci sarà. Insomma, bisognerà tornare a verificare...

giovedì 23 ottobre 2014

Una serata da Mastro Daniele

Tra i vari locali che mi sono stati consigliati nei miei pellegrinaggi tra un evento e l'altro c'era il Mastro Birraio di Trieste; e così, cogliendo l'occasione di un giro in terra giuliana, mi sono fermata nel covo di Daniele Stepanchich, che da cinque anni ha rilevato l'attività. L'ambiente è caldo e accogliente, con il legno che impera nell'arredamento; fanno poi bella mostra di sé le otto spine di cui tre a pompa, giusto per mettere in chiaro che ogni birra ha il suo metodo di spillatura.


La carta delle birre è discretamente nutrita ed esposta con dovizia su una lavagnetta; per cui, giusto per non confondermi, mi sono limitata a considerare quelle alla spina, equamente divise tra fisse e a rotazione. "Giusto per iniziare" mi era stata consigliata dal mio buon compare Andrea una Theakston Best Bitter, nel solco della miglior tradizione inglese; ma, complice il buon ricordo che avevo del Birrificio Rurale conosciuto all'Expo, ho preferito passare direttamente alla loro Terzo Miglio, una Apa dalla schiuma da far invidia alla panna montata. L'aroma tra l'erbaceo e l'agrumato e il balsamico rende bene giustizia ai luppoli, e il corpo ben bilanciato e discretamente leggero per una birra di questo genere dà una buona bevibilità. A chiudere un amaro che onestamente non ho trovato così pungente come da descrizione, e soprattutto un sentore balsamico che lascia la bocca ben pulita.

A dire il vero l'ho scelta prima di decidere che cosa mangiare e quindi senza pensare all'abbinamento, ma metterci il pollo con verdure grigliate non è stata comunque eresia totale. E approfitto quindi per fare una parentesi sulla cucina del Mastro Birraio: la chicca della serata è stato probabilmente lo stinco in crosta di pane cotto nella birra, ma anche il chili - carne di manzo tritata e speziata con fagioli, per i non adepti - di Enrico si è difeso bene. La curiosità sono però i dolci, nella fattispecie il birramisù servito in un bicchiere da mezza pinta di Guinness, e la sacher con gelatina di birra al posto della marmellata. Ammetto che non l'ho particolarmente amata a livello di puro gusto personale (e che ce posso fa', la sacher non mi piace), ma indubbiamente l'idea di abbinare la gelatina con un dolce al cioccolato è indovinata e originale. Ottima poi la scelta di Andrea di accompagnarla ad una Mar Nero del Grana 40, che con i suoi aromi di caffè e liquirizia si sposa alla perfezione.

La mia idea era quella di chiudere con una Lupulus Hibernatus, una strong ale belga tipicamente invernale - dati anche i suoi quasi 9 gradi - dai netti aromi caramellati e tostati che trovano poi riscontro nel corpo, discretamente consistente e che non fa sconti al tenore alcolico. Però Andrea mi aveva fatto incuriosire rispetto alla Chimay Dorée, una blanche trappista, che per chiudere una cena sarà pure fuori luogo ma ho molto apprezzato. L'aroma di frumento con qualche leggera nota speziata e agrumata fa da biglietto da visita al corpo assai ben bilanciato tra cereale e luppolo, che rimane leggero pur senza dare la sensazione di non essere sufficientemente intenso e lascia un finale piacevolmente secco. Da bere con piacere e permettendosi anche di indulgere nella quantità, dato che fa poco più di 4 gradi.

In conclusione, definirei il Mastro Birraio un locale piacevole, tranquillo e che sicuramente viene incontro ai gusti e alle esigenze degli intenditori pur senza avere nulla di "spettacolare"; insomma, se cercate il locale "unico" o la stravaganza probabilmente non fa per voi, ma per una serata tra amici con una buona birra è una scelta indovinata.

martedì 21 ottobre 2014

Brucia nella gola birra a sazietà, parte seconda

Eccomi dunque qui a soddisfare la curiosità di chi fosse rimasto sulle spine - magari nessuno...ma io ci spero sempre - in attesa di sapere come fosse finito il concorso per homebrewers "Luppolando" organizzato dalla birreria Samarcanda, e di cui avevo avuto l'onore e il privilegio di essere nella giuria. Come avevo annunciato nel precedente post, il 20 ottobre c'è stata la premiazione: in parte una sorpresa anche per me, in realtà, perché i nomi dei vincitori non mi erano tutti noti. Nel giudicare infatti avevamo deciso di usare un metodo "misto": assegnare delle "menzioni d'onore" per quelle tipologie di birra di cui erano arrivati troppi pochi esemplari per poter stilare una classifica - di blanche, ad esempio, ce n'era soltanto una - o che per qualche motivo di fossero distinte dalla massa, e scegliere invece un primo, secondo e terzo classificato per le Ipa e le Apa, con 7 e 8 esemplari rispettivamente. Mentre per le menzioni avevamo deciso la sera stessa, i conteggi matematici per la classifica erano stati rimandati ad un momento più tranquillo dato il tasso alcolemico verosimilmente al di sopra dello 0.5 - vabbè, ammettiamolo: Beppe aveva anche già affettato il salame di cervo, per cui a quel punto fogli e calcolatrice sono andati a farsi benedire. E così anche per me i nomi dei primi tre classificati sono stati una novità.

La serata si è aperta con una dotta quanto piacevole dissertazione del professor Buiatti a cui potremmo dare il titolo di "Udine, città della birra": pochi sanno che il capoluogo friulano aveva ben due birrifici in pieno centro, il Moretti e il Dormisch, oggi parte del gruppo Heineken e da tempo non più a Udine (il primo), e scomparso (il secondo). Di qui quella tradizione che ha portato Udine ad essere l'unico ateneo in Italia ad avere un corso dedicato specificatamente alla produzione della birra, con tanto di impianto sperimentale in piena attività. Dare esami dev'essere più piacevole che in altre facoltà, per quanto non meno impegnativo. Da lì siamo poi passati a consegnare le mezioni d'onore, con tanto di suspence iniziale: la prima, assegnata per la weizen, è infatti "caduta nel vuoto" in quanto gli autori Davide e Giovanni non erano presenti. Vabbè, si sono persi una bella serata in compagnia, sappiano comunque che l'attestato della loro menzione li aspetta. Meglio è andata la seconda, assegnata al - presente - Paolo Galizio (nella foto) per la sua kolsch; seguito da Emiliano Santi per la sua porter, Roberto Di Lenarda per la sua quadrupel in stile trappista con lievito recuperato dal fondo di una Rochefort e brett dall'abbazia di Orval, e Paolo De Candido per la neo battezzata FriulAle, con il 100% di malto friulano. Come vi avevo anticipato, insomma, le curiosità non mancavano.

Siamo poi entrati nel vivo con la premiazione delle tre Ipa: al terzo posto Emiliano Santi - "Non potevo dirti di aspettare qui dopo averti premiato per la porter sennò si capiva", ha scherzato Buiatti -, al secondo Paolo De Candido - idem come sopra -, e al primo Walter Cainero; per le Apa si è aggiudicato il terzo posto Luca Dalla Torre, mentre al secondo sono ricomparsi gli scomparsi Davide e Giovanni, e al primo - ohibò - Walter Cainero (che nella foto esibisce infatti entrambi gli attestati), che ha accolto la notizia con un "Ci dev'essere un errore". Che dire, evidentemente ci sa davvero fare, e non posso che augurare la miglior fortuna a questo metalmeccanico che per ora brassa nel tempo libero, ma potrebbe avere un futuro promettente nel settore.

Ora non resta che attendere l'uscita del bando del prossimo concorso, che Beppe e Raffaella hanno annunciato per il primo gennaio; da lì ci sarà poi tempo fino al 31 agosto per sbizzarrirsi con le proprie creazioni. Brassate, gente, brassate...

lunedì 20 ottobre 2014

L'Expo non è solo a Milano


Eh già, il nome forse sarà abusato, però quantomeno il contenuto era di tutto rispetto: lo scorso fine settimana ho infatti avuto modo di presenziare all'Expo "una birra per tutti", che la Brasseria Veneta organizza da ormai 5 anni al Park Hotel Villa Fiorita di Monastier. A distinguere l'evento da altre manifestazioni è non solo la presenza, accanto ad una decina di birrifici, di altrettanti homebrewers come espositori, sullo sfondo di una lunga serie di laboratori e tavole rotonde tenute da esperti del settore; ma soprattutto la finalità benefica, in quanto il ricavato viene devoluto alla Lega italiana per la lotta ai tumori di Treviso, ad un'adozione a distanza in Costa d'Avorio, e a progetti scolastici sul territorio. Insomma, a bere una pinta sapendo che si sta anche facendo del bene c'è più gusto.

Anche il pubblico, devo dire, mi è sembrato piuttosto "selezionato": non tanto perché la manifestazione non fosse adatta a tutti - il titolo parla da sé -, quanto perché il genere di espositori e di laboratori era più appetibile agli intenditori e ai curiosi che all'"appassionato generico": interessantissimo un laboratorio come quello tenuto dal ricercatore Nicola Fiotti sui difetti della birra, ma quella che era di fatto una lezione di chimica difficilmente avrebbe catturato l'attenzione di chi era lì solo per farsi una bevuta; così come la tavola rotonda sulla birra nella grande ristorazione, pur con un ospite del calibro come il presidente di Unionbirrai Simone Monetti, andava a toccare interessi specifici. Ad ogni modo, anche chi non fosse stato interessato ai laboratori non si è annoiato: oltre ai dieci birrifici di cui parlavo a dilettare i presenti c'erano anche espositori come la gelateria Ciokolatte di Villorba con il gelato alla birra, la Malga Valmenera con i formaggi del Cansiglio e molti altri. Insomma, anche se non siete homebrewer o operatori di settore, tranquilli che alla prossima edizione dell'Expo ci potete andare senza sentirvi dei pesci fuor d'acqua. Anzi, potrebbe essere l'occasione per avvicinarsi a questo mondo grazie appunto agli homebrewers, la cui sezione ho trovato assai curiosa e interessante nonché uno dei punti di forza - insieme all'alta qualità dei laboratori - dell'Expo: tanto di cappello, per fare soltanto due esempi, alla Apa di Stefano Maniero (a destra nella foto), o alla Sweet Ipa di Mirko Bortolozzo (a sinistra).

In quanto ai birrifici (i cui birrai vedete schierati nella foto), oltre ai già noti Antica Contea, Bradipongo, Grana 40 e Foglie d'Erba, qualche nuova conoscenza l'ho fatta. Per primi la Fabbrica della Birra di Perugia, "erede" di unbirrificio fondato nel 1875, che ha portato tra le altre una White Ipa creata specificatamente per un locale e che ho trovato caratterizzarsi per la sua piacevole bevibilità; seguiti da una nuovo nato, il birrificio Habemus di Montebelluna, il cui proprietario nonché unico lavorante Fabio alla tenera età di 28 anni ha deciso di fare il grande salto imprenditoriale. Congratulazioni per lo spirito di iniziativa e per il panorama di produzione, che con sette diverse birre copre più o meno tutti gli stili; e un incoraggiamento a proseguire su questa strada perché, dopo aver provato la Flower Power - una saison con luppoli neozelandesi dal netto aroma di frumento e finale con una punta di acido -, direi che c'è potenziale di sviluppo per affinare la decennale esperienza di homebrewer. Altra conoscenza interessante è stato il Birrificio Rurale di Desio, al quale mi sento di rivolgere i miei più vivi complimenti per la Special Seta, una blanche al bergamotto: nome indovinatissimo perché, se dovessi trovare un'equivalente al tatto della sensazione di delicatezza che danno al palato le note di questo agrume, sarebbe appunto quella della seta. Finalmente ho avuto poi modo di parlare personalmente con i birrai del Birrificio Indipendente Elav, di cui già avevo apprezzato la Punks do it Bitter - e il nome la dice tutta: se cercate qualcosa di facile beva, ma dal finale davvero ma davvero secco e amaro pur senza risultare stucchevole, questa fa per voi: il buon Gabriele mi ha così raccontato del progetto da poco avviato della società agricola Elav per la coltivazione di luppolo e frutti rossi, per il quale rivolgo loro i migliori auguri. Da ultimo, il Piccolo Birrificio Clandestino: nonostante i miei scetticismi, ho molto apprezzato la Santa Giulia, una american Brown Ale con note di whisky all'olfatto e dal corpo che insieme al birraio Pierluigi ho scherzosamente definito "britannico", che scende che è un piacere ed è infatti una delle più gettonate pur essendo un genere relativamente poco conosciuto.

Fare una panoramica degli eventi mi porterebbe a dilungarmi troppo, ma almeno per un paio devo spendere due parole. Il primo è l'Officina delle birre acide di Paolo Erne, che ha riscosso un inaspettato successo data la difficoltà ad avvicinarsi a birre di questo genere: complice indubbiamente la spiegazione dettagliata di come vengono prodotte, che ha incuriosito la platea e fatto venire poi voglia di assaggiarle (come testimonia la ressa che vedete nella foto). Il secondo è il pranzo di domenica, con ricette di piatti cucinati con la birra di Daniela Riccardi preparati dagli chef di Villa Fiorita: tanto di cappello al pasticcio di indivia belga alla Ipa accompagnato alla Capriccio di Bacco del Campagnolo - una birra al mosto d'uva Vitovska che mi sento di invitarvi a provare, se riuscite a trovarne data la produzione limitata -, mentre qualche problema l'ha creato il pollo alla saison con cannella e zenzero abbinato alla birra al miele creata appositamente per l'Expo. Lì infatti, è, per così dire, caduto l'asino su due punti: innanzitutto c'è stato più di qualche mormorio tra il pubblico perché il pollo non era cotto bene né secondo la ricetta originale; in secondo luogo la birra era purtroppo troppo giovane per esprimere le sue potenzialità, essendo stata preparata solo venti giorni fa. Sono fiduciosa che, come ha osservato Antonio Di Gilio, tra qualche tempo la si berrà con maggior piacere: certo è che non me la sento di esprimere opinioni, in quanto ritengo che quella che abbiamo assaggiato ieri non sia la birra su cui doverle esprimere. Meno male che il tutto si è chiuso in gloria con le ottime crepes alla pecheresse - birra alla pesca, per i non adepti - abbinate alla Kriek "Rinnegata" - battezzata così perché nata da una cotta che avrebbe dovuto essere buttata via e che è stata recuperata barricandola - di Paolo Erne, da lui definita "l'ingresso nel mondo delle acide": abbinamento indovinatissimo perché si sposava benissimo alla marmellata di fragole, e "sgrassava" benissimo anche la panna montata.



E proprio la Rinnegata si è infatti aggiudicata il titolo di miglior birra dell'Expo, insieme all'Antica Contea come miglior birrificio: e chiudo qui anch'io in gloria con le congratu

lunedì 13 ottobre 2014

Una domenica alla scoperta di Arte, Cultura & Luppolo

Su invito del buon vecchio Stefano Gasparini, mente pensante del portale www.nonsolobirra.net , ho presenziato ieri all'ultima delle tre giornate della mnifestazione Arte, Cultura & Luppolo a Marano Vicentino. Invito che comprendeva anche quello a far parte della giuria che avrebbe selezionato la birra migliore, per cui l'occasione diventava ancora più interessante, oltre al fatto che le premesse erano buone: nelle tre edizioni precedenti l'evento si era attestato sulle 12 mila presenze, ed era prevista la presenza di dieci birrifici artigianali, due distributori, una serie di espositori - dall'artigianato del legno all'apicultura - e uno stand gastronomico con piatti tipici vicentini curato da ristoranti, pasticcerie, caseifici e panifici locali.

Arrivata lì, la prima cosa a colpirmi positivamente è stata la cospicua presenza di famiglie con bambini: complice la diversificazione sia degli stand che degli eventi - si passava da Peppa Pig ai laboratori sui difetti della birra -, la manifestazione poteva definirsi adatta a tutti, diventando una "festa" nel senso lato del termine e non solo una "festa della birra". Magari gli intenditori avrebbero potuto storcere il naso di fronte al fatto che gli eventi dedicati specificatamente a loro fossero solo due - il laboratorio "Aromi di birra" tenuto da Marco Corato il sabato e la cotta pubblica di domenica -, ma Gasparini in quanto organizzatore ha assicurato la volontà di incrementarli; e il fatto di avvicinare anche i non intenditori alla birra di qualità, magari grazie ad iniziative come presentazioni di libri, esibizioni dal vivo di scultura o concerti è sicuramente meritorio. Insomma, diciamo che l'ho trovato un buon connubio tra "purismo" e "eterodossia", per quanto rimanga materia di discussione quale sia il giusto equilibrio tra i due.

Tra i birrifici presenti c'erano alcune vecchie conoscenze: il Jeb, che avevo incontrato a Santa Lucia; l'Acelum, di cui tanto mi aveva entusiasmato la Freya al festival di Fiume; l'Estense, di cui già avevo assaggiato la Red Ale e che questa volta mi ha presentato l'ultima nata della casa, la imperial stout Django - sulla quale però mi riservo un commento più preciso una volta riprovata, dato che non l'ho degustata a bocca pulita; e il Camerini, della cui torbata avevo un buon ricordo, e che mi ha a sua volta fatto fare conoscenza con l'ultima novità Ink Ipa - che non è una black ipa come credevo, ma solo un riferimento alla ragazza tatuata che campeggia sull'etichetta. Una Ipa che a dire il vero mi ha lasciata un po' interdetta, in quanto, essendo particolarmente discreta nella luppolatura, non la si direbbe quasi tale: non certo una birra riuscita male, per carità, ma ritengo che la loro punta di diamante siano piuttosto la torbata Selvaggia di cui sopra e la red ale Seducente, di cui peraltro - mi ha riferito il buon Giampaolo - sta avendo discreto successo il gelato preparato da un gelataio artigianale della zona.

Ho dovuto quindi iniziare, in quanto giurata, il lungo pellegrinaggio delle nuove conoscenze. Ho iniziato dal Birrone, birrificio di Isola Vicentina, che dispone di una decina di creazioni. Per quanto le più gettonate fossero la hell classica SS46 e la pils Brusca, ho apprezzato maggiormente le birre più sperimentali. In primo luogo la Gerica, che unendo malti e luppoli da amaro tedeschi e luppoli da aroma americani (di qui il nome, Germania e America) crea un curioso connubio tra aromi erbacei ed agrumati e le note di crosta di pane il bocca; oppure la Mortisa, birra alle castagne, "figlia" del raccolto dello scorso anno arrostito e tostato. Qualche curiosità rimanendo sul classico, secondo la filosofia di "dare una reinterpretazione agli stili canonici", l'ha offerta invece il birrificio bresciano dei fratelli Trami: la Col De Serf, una weiss a cui a leggere la descrizione non avrei dato un soldo, si è invece rivelata una piacevole scoperta sul fronte dell'aroma floreale insolitamente ricco e della persistenza fruttata, e posso dire lo stesso della porter Saslong in quanto al bilanciamento indovinato tra le note decise di caffè e di cacao.

Buone potenzialità le ho trovate anche al birrificio Ofelia di Sovizzo (Vicenza). E dico "potenzialità" perché le idee in quanto ad originalità non mancano: dalla saison Piazza delle Erbe che amalgama senza risultare soverchiante erba luisa, buccia d'arancia, cardamomo, anice stellato, coriandolo e camomilla; alla Amitabh, che recupera l'antica ricetta delle India Pale Ale inglesi - assai meno amare di quelle americane in voga oggi -; alla Beer Gamotto, una golden ale monoluppolo aromatizzata, i birrai sono una fucina di spunti sia in quanto a sperimentazione che a interpretazione personale delle birre classiche. Per questo, coerentemente anche con la filosofia che mi ha esposto il buon Andrea di "cercare i clienti adatti a noi, piuttosto che adattarci ai gusti dei clienti", li inviterei ad osare ancora di più: avendo il pregio di saper sperimentare senza strafare né ottenere risultati che "stufano", come si suol dire, ritengo che in margini di sviluppo siano ancora ampi e promettenti.

Filosofia diametralmente opposta a quella della birra Mastino, che intende invece "affinare" gli stili classici: tanto da aver recuperato la ricetta di uno storico birrificio veronese chiuso nel 1932 per la loro Rossa Verona, che si affianca alla pils 1291, alla american wheat Beatrice, alla red ale Alboino e alla dry stout Canis Magnus - tutti storici nomi degli scaligeri, in omaggio alla città. Birre che hanno indubbiamente la dote di farsi bere facilmente, al contrario forse della chicca che avevano portato per l'occasione, la sour alle prugne: un anno di barrique in una botte di amarone, che ha fatto di questa birra a base pale una particolarità nel panorama del Mastino.

Da ultimo due birrifici giovani, il Luckybrews e il K&L. Il primo ha aperto da due anni, ma grazie ai dodici da homebrewer di Davide e Samuele non ha nulla da invidiare ad altri di più lunga esperienza. Tra tutte segnalo la Whale - che sta per white hoppy ale -, di cui spicca l'aroma di fiori e di coriandolo e le note di pepe rosa che anticipano la chiusura amara; e la Winternest, una schotch ale che bilancia in maniera encomiabile il torbato, l'affuminato, le note di caffè e quelle di whisky. In quanto al K&L, nota di merito all'originalità della bière de garde 2 fuochi - stile assai raro da trovare - e soprattutto la tripel Special 3, che smorza il dolce del miele di castagno con spezie acide creando un insieme sapientemente bilanciato.

Naturalmente ci sarebbe molto da raccontare e da descrivere, ma rischierei di dilungarmi troppo; posso comunque dire di essere stata soddisfatta in quanto non solo ho trovato birra di qualità, ma anche un ambiente che la sa far conoscere in maniera semplice ed accogliente. Ed è indubbiamente il primo passo di quell' "educazione del consumatore" di cui tanto si parla.

sabato 4 ottobre 2014

A tavola con la birra

Vi avverto: questo sarà un post di lodi sperticate, tanto da far credere a tutti senza dubbio alcuno che il soggetto di cui parlo mi abbia pagata, e scatenare la finanza a scandagliare i miei risparmi alla ricerca di compensi incassati in nero. Ma vi giuro che non è andata così. Al di là degli scherzi, non posso che dirmi del tutto soddisfatta della mia visita al locale della famiglia Sancolodi a Mussolente (Vicenza). Da fuori lo si direbbe un ristorante pizzeria come ce ne sono mille altri: se non fosse per i tini di bollitura in rame in una stanzetta accanto all'ingresso, che fanno capire il perché dell'insegna "birrificio". Nel ristorante di famiglia, infatti, i fratelli Roberto e Alessandro hanno avviato la produzione di birra con malto "a km zero" da orzo coltivato nella zona: un "brewrestaurantpizzeria", insomma, dato che definitrlo brewpub sarebbe improprio. L'occasione dell'invito era una cena degustazione della loro creazioni, abbinata a piatti a base delle stesse birre: opera questi dello chef della casa Luca Sancolodi e della "cuoca ufficiale" delll'Accademia delle birre Daniela Riccardi.

Il pomeriggio è iniziato con una piacevole chiacchierata con Roberto, che oltre a farmi visitare gli impianti - nonché le botti in cui, per puro diletto personale, nel tempo libero "coltiva" le sue lambic - mi ha spiegato la filosofia di produzione dei Sancolodi. Che comprende, tra l'altro, il fatto di essersi decisi soltanto recentemente a dare un nome alle loro birre: "Quando la battezzi, la gente si affeziona alla birra così com'è uscita in quella particolare cotta - ha spiegato -, e quindi standardizzare diventa una necessità. A noi invece piace sperimentare: la chiamo blanche, ma per il resto è una sorpresa". Fatto sta che alla fine hanno dovuto piegarsi alle esigenze del marketing, seppur a malincuore: e così nel menù della serata tutte le birre apparivano con loro nome.

La cena si è aperta con un aperitivo di concentrato di pesca e Grizzly: una special ale con un solo malto e un solo luppolo rifermentata con miele di montagna, in cui il dolce - che a volte ho trovato eccessivo in birre di questo genere - viene sapientemente bilanciato dalle bacche di ginepro. Nonostante la mia diffidenza per il fruttato ho quindi ampiamente apprezzato, così come è stato di mio gradimento il primo antipasto - a base di una pietanza che generalmente non amo: il patè d'anatra, nobilitato però da polvere di caffè e gelatina a base della birra che accompagnava in piatto, la Guilty. Può sembrare inusuale, come hanno notato alcuni, iniziare con una chocolate stout: in questo caso però, per quanto ad un primo acchito i sapori tendessero a cozzare, la gelatina creava un effetto "ponte", proponendo un abbinamento curioso e forse audace che definirei riuscito.

Più classico l'accostamento del secondo antipasto - un'ottima tartare al salmone -, mischiata e abbinata alla Luna Bianca: una blanche con avena e segale, in cui la fanno da padrone il cardamomo e il coriandolo uniti ad un aroma di pepe. Personalmente avrei apprezzato un corpo più robusto, per quanto Roberto mi abbia spiegato come sia stato intenzionale il fatto di lasciarlo più delicato; ma forse per questo ha accompagnato meglio sia la tartare che la portata seguente - "bigoi de Bassan" fatti in casa con trota del Brenta sfumata con la stessa birra -, non risultando invadente rispetto al pesce. Ad accompagnare il secondo primo - pasticcio di indivia belga cotta nella birra in questione - è stata un'originale lager helles, battezzata "La vita è bella": l'innovazione sta nell'uso di luppoli amaricanti agrumati, che le conferiscono un'aroma del tutto insolito per il genere. "Un tedesco non l'avrebbe mai fatto", ha commentato Paolo Erne; e meno male che l'hanno fatto i Sancolodi, commento io, perché è stato un esperimento ben riuscito.

E' stato con i secondi che ha fatto il suo ingresso l'ammiraglia della casa: la Torbata, un'ambrata che all'aroma dà insieme delle note di whisky e di caramello assolutamente peculiari. Ho avuto peraltro la fortuna di assaggiare con i fianchetti di manzo marinati in questa ambrata - autentico capolavoro di Luca - una versione più giovane, in cui risaltava maggiormente il caramellato; e con la lonza di maiale alla senape e Torbata una più invecchiata, in cui i lieviti, avendo lavorato più a lungo, avevano lasciato spazio al torbato. Diverse, ma entrambe tra le migliori del genere che mi sia capitato di assaggiare. Meno male che è arrivato il sorbetto alla Luna Bianca e zenzero, reintepretazione curiosa del tradizionale sgroppino fatta da Alessandro, giusto per digerire un po'.

Ad attenderci c'erano infatti i pezzi forti di Daniela: il birramisù alla Grizzly e la torta Mon Cheri alla Kriek - una pasta a base di cioccolato bagnata nella birra e spalmata con cioccolato fondente e ciliege: ogni cucchiaiata di entrambi i dolci, che andava a rilasciare un po' della birra in cui erano stati bagnati e che li accompagnava, era un autentico piacere. Tanto più che a quel punto, tanto per gradire, il buon Paolo Erne ha aggiunto due sue creazioni: una imperial russian stout dalle note di caffè particolarmente accentuate e schiuma degna del celebre disegnino di quadrifoglio, e una kriek imperial russian stout, ossia la stessa birra tagliata a metà con una kriek. In tutto e per tutto una cena di ottima qualità, sia sul fronte birrario che su quello gastronomico.

Se già state pensando di far visita ai Sancolodi, non posso che consigliarvelo: anche senza che vengano organizzate cene come queste, infatti, sono sempre disponibili dei menù degustazione che variano in base alla stagione, e pizze - opera di Roberto - preparate con farina integrale e pasta madre. Ma soprattutto perché le loro birre le potete assaggiare soltanto lì: il che - soprattutto per la Torbata e la Grizzly, a mio parere dei veri pezzi unici - giustifica da solo un viaggio fino a Mussolente...