venerdì 19 dicembre 2014

Una visita a casa del Meni

Cogliendo il gentile invito del buon Giovanni, qualche giorno fa ho fatto visita al birrificio del "vecchio" Meni: alias Domenico Francescon, di cui - e delle cui birre - avevo già parlato in questo e questo post. E' stato quindi un piacere andare a vedere il luogo di produzione in quel di Cavasso Nuovo, piccolo paesino in provincia di Pordenone.

Il birrificio è ciò che si dice un'aziendina a conduzione familiare: intenti a brassare una cotta speciale per la Vecchia Osteria di Maniago c'erano infatti Domenico e il figlio Giovanni, mentre la moglie del capostipite era occupata ad inscatolare le bottiglie. Saranno pure in pochi, ma si danno da fare: lavorano infatti in doppia cotta, gestendo i tempi con estrema meticolosità dato che caldaie miracoli ancora non ne fanno. Annesso al birrificio c'è poi un piccolo spaccio che, per quel che abbiamo avuto modo di vedere nell'ora e poco più in cui siamo stati lì, è discretamente frequentato dai locali e non solo: tra i clienti abituali ci sono anche i militari statunitensi di stanza ad Aviano, in cerca - data la vasta gamma di birre proposte, tra cui diverse aromatizzate - di qualche "pezzo originale" che ricordi loro i gusti un po' più estremi in voga oltreoceano.

Avendo già provato la Siriviela, la Candeot e la Pirinat - come descritto nei post di cui sopra -, questa volta la scelta è caduta sulla Grava: una Ipa dal colore ramato e dalla schiuma densa, persistente e pannosa, in cui dominano all'aroma le note di resina del luppolo chinhook. Addentata - letteralmente, data la consistenza - la schiuma, mi è arrivata in bocca una sferzata di amaro: il corpo robusto lascia infatti ben poco spazio ai toni agrumati ed erbacei che di solito la fanno da padroni nel genere, prediligendo nettamente quelli amari - per quanto nel primo sorso abbia sentito una leggera punta di caramello, subito svanita. Anche la chiusura è altrettanto amara e secca, lasciando da principio la bocca pulita, per poi ritornare in piena forza con una persistenza discretamente lunga.

Per quanto l'abbia trovata sbilanciata verso l'amaro a livello di gusti personali, indubbiamente è una birra che ha del carattere; e che probabilmente fa la felicità di tutti coloro che si dicono perplessi davanti alla moda delle Ipa fin troppo spinte dal lato aromatico, in cerca di un facile stupore. Qui si cerca piuttosto di stupire con un amaro che non sia "un amaro qualsiasi" ma abbia una sua unicità, e che gli amanti del genere possono trovare interessante.

Ultima nota: il premio simpatia va all'unanimità - mia e di Enrico, naturalmente - alla cassettina in legno fatta dal Meni stesso, utilissima come confezione regalo per sei bottiglie e che non abbiamo potuto resistere dal portarci a casa. Il Natale quando arriva arriva...


lunedì 15 dicembre 2014

Uno "sposalizio" tra birrifici

Che i birrifici artigianali collaborino, non è una novità: le birre opera di mastri birrai di case diverse sono numerose, e numerose tra queste sono quelle ben riuscite. Però si può collaborare anche sul fronte delle degustazioni, agguingendoci magari la collaborazione con un ristorante: ed è stato il caso della serata organizzata da due nomi noti ai lettori di questo blog - il Grana 40 di Ipllis e il Garlatti Costa di Forgaria - a Il Giona's di Premariacco, delizioso locale con muri in petra e caminetto perfetto per l'atmosfera natalizia. Una serata "tra amici", dato anche il numero massimo di posti disponibili, in cui i birrai hanno potuto presentare le loro opere in maniera diretta e in uno scambio con gli interlocutori proprio come se fosse una chiacchierata.

Ad aprire la serata è stato l'aperitivo con la Mar Giallo di Grana 40 - che il Giona's tiene alla spina - accompagnato dalla pizza affumicata - pancetta, cipolla di tropea, gorgonzola di capra e fiordilatte - del ristorante: forse non la birra più adatta insieme a quei sapori, ma il connubio pizza-birra fa comunque il suo, e la Mar Giallo rende assai meglio - così come la sua "sorella Mar Nero" (nella foto sopra) - alla spina che in bottiglia. A seguire l'antipasto di prosciutto di cinghiale, puntarelle, cipolline in agrodolce e caprino (nella foto accanto) accostata alla Lupus di Garlatti Costa, una chiara ispirata alle bionde belghe. Personalmente, pur essendo una birra di tutt'altro genere, mi ha ricordato parecchio le blanche per gli aromi speziati e i particolari sentori di lievito - osservazione su cui l'artefice Severino ha concordato -: il che me l'ha fatta parecchio apprezzare, risultando leggera e rinfrescante pur con un corpo pieno.

Con il primo - orzotto con radicchio di Treviso e salsiccia - è arrivata la Liquidambra, sempre di Garlatti: un'ambrata, come dice il nome stesso, dalle decise note di nocciola e caramello, dolce al palato ma con un amaro ben secco in chiusura. Ottimo per "sgrassare", insomma, nonostante il tenore alcolico - 7 gradi - si senta tutto. La Mar Nero di cui sopra ha fatto invece il suo ingresso con il secondo - una bistecca di maiale con l'osso, accompagnata da polenta e patate alla tedesca con dadini di speck. Ottimo l'accostamento con le patate e lo speck, con cui si armonizzavano bene le note di tostato e - incredibile a dirsi - anche quelle di liquirizia della Mar Nero, un po' meno indovinato quello con la carne - per la quale avrei matenuto forse la liquidambra; comunque gradito, anche perché - diciamocelo - tutto quello che ci è passato nel piatto era davvero cucinato con maestria.

Da ultimo il dolce - un semifreddo alla nocciola e caramello - accostato alla Orzobruno, una scura doppio malto di Garlatti: anche in questo caso la filosofia è quella di parire col dolce e chiudere con l'amaro, partendo dai tocchi di nocciola, tostato e frutta secca per arrivare ad un finale luppolato delicato e deciso al tempo stesso.

In tutto e per tutto una serata riuscita, sia per le birre e la cucina di qualità, sia per il dialogo che si è creato con i birrai: prova il fatto che i partecipanti non lesinavano certo sulle domande, confermando che l'interesse per la birra artigianale, se opportunamente "risvegliato", c'è. Ai birrai, agli operatori dell'informazione e ai già appassionati coglierlo.

venerdì 12 dicembre 2014

Un Natale...da latinisti

Si, va bene, lo so: il buon prof Mauro Coppola, alla scuola di giornalismo, i miei titoli li bocciava sempre, e sicuramente questo sarebbe andato incontro allo stesso triste destino. Però a mia discolpa posso dire che non ho tutti i torti, dato che la birra di cui sto per parlare ha a tutti gli effetti un nome latino: se non altro, ho dalla mia un dato di fatto. Per chi ha qualche vago ricordo del liceo, Natale si dice dies Natalis: e Natalis è infatti il nome della birra stagionale del birrificio Un Terzo, che ho peraltro avuto occasione di provare alla spina in Brasserie. Dato che le birre natalizie hanno sempre un tenore alcolico particolarmente elevato, e che quella sera nella stessa sede c'era anche l'incontro dell'Associazione Homebrewers Fvg - con relativa degustazione -, mi sono premurata di chiedere prima quanti gradi avesse (7,5, per la cronaca): ma vedendo la faccia compiaciuta di Enrico dopo il primo sorso, ho fugato ogni dubbio con un "Ma sì, fammene una!" (piccola, grazie).

La schiuma, di un nocciola chiaro che fa da contrappunto al nocciola scuro della birra, è fine ma non particolarmente persistente; quel che basta comunque a racchiudere una rosa di aromi piuttosto ampia - tra cui ho sentito in particolar modo la frutta sotto spirito e le spezie, con qualche nota liquorosa. Una complessità notevole confermata anche nel corpo caldo e robusto, che però ho trovato equilibrato e non troppo impegnativo: tanto che, per avere l'alcol che ha, è parecchio beverina. Per quanto predominino in chiusura i malti, non lascia in bocca quel dolciastro che a volte rende stucchevoli le birre di questo genere: per cui, per quanto naturalmente non possa fare la felicità degli amanti del luppolo e del suo amaro, quello dato dalla tostatura del malto fa comunque il suo mestiere. Ammetto che è stata una sopresa leggere poi a posteriori che la ricetta include anche il frumento maltato: probabilmente assai difficile da sentire nell'insieme, ma comunque parte della complessità della Natalis. Una complessità che ha il merito di non risultare eccessiva e di non "stomacare", passatemi il termine, e che mi ha fatto apprezzare anche quest'opera dell'Un Terzo.

Di birre natalizie comunque, a quanto pare, avrò modo di assaggiarne ancora: l'Associazione Hoebrewers Fvg ha organizzato per il 22 dicembre una sorta di "concorso interno", al quale mi sono ben volentieri offerta di dare il mio contributo nel giudicare. Dato - come dicevo sopra - il tenore alcolico medio di queste birre, per quanto auguri ogni bene all'Associazione, spero solo che non siano in troppi a concorrere...

martedì 9 dicembre 2014

Zahre, dalla Ipa alla Apa

Per chi non lo sapesse, in casa Bernardinis-Andreola non è Natale senza un giro ai mercatini di Sauris; e così anche quest'anno abbiamo onorato la tradizione, nonostante il meteo non fosse esattamente dalla nostra parte. Oltre al tradizionale giro per la bancarelle, e al graditissimo tour del prosciuttificio Wolf in cui ci ha gentilmente accompagnati l'ad Stefano Petris - sappiate che è uno dei pochi stabilimenti in cui l'affumicatura dei salumi si fa ancora con legna e caminetti, vedi foto allegata per credere - non è potuta mancare naturalmente una tappa al birrificio: tanto più che nei tank c'era una novità, ossia la Apa. Dopo la Ipa - di cui ho parlato in questo e questo post -, non rimaneva che andare a provare l'ultima nata di casa Zahre.

Il buon Sandro ce l'ha spinata direttamente dal tank, e quindi la temperatura era al di sotto di quella ottimale di servizio; ma già così risaltava all'olfatto un aroma di cereale piuttosto insolito per il genere, che andava a sposarsi in maniera del tutto peculiare con l'erbaceo del luppolo. Diciamocelo, il birraio ci ha confidato una cosa: il tutto, come molte volte accade, è nato da un errore nel dosaggio del luppolo, inferiore a quello prestabilito. Ma, guarda un po' te, ne era uscito lo stesso qualcosa di buono: e buono assai, direi, perché per quanto all'olfatto lasci un po' disorientati il corpo risulta ben equilibrato - personalmente ho avuto qualche sentore di biscotto secco -, e le note di malto lasciano poi spazio ad un amaro ben netto che "pulisce" egregiamente la bocca. La temperatura un po' più alta, atteso qualche minuto, ha reso poi pienamente giustizia al tutto. Per quanto la Ipa sia in sé e per sé un genere più vicino ai miei gusti, direi che di questa Apa ho apprezzato soprattutto l'originalità pur rimanendo una birra "semplice"; e in questo senso direi che è un altro colpo messo a segno dai fratelli Petris e soci.

Ultima notizia dai monti della Carnia, Zahre ha iniziato a coltivare la sua canapa per la birra omonima - che ultimamente ha infatti avuto delle evoluzioni interessanti, come ho scritto in questo post -; tanto da aver provveduto anche a delle confezioni regalo per Natale che includono l'olio e la farina di canapa, di cui uno dei risultati è l'ottimo pane dato lì in degustazione erealizzato da un ragazzo di Pordenone. Se, oltre che di birra, avete passione anche di pasticciare in cucina, sappiate quindi che c'è anche questa possibilità...

venerdì 5 dicembre 2014

Anche i pellerossa festeggiano il Natale

Ho recentemente portato a compimento il buon proposito di farmi rivedere dalle parti del Saloon Birreria Mondelli - precursore di tutte le varie catene in stile western, vantando ormai quarant'anni di onorata attività -, dato che era da un po' che non ci ritornavo - a onor del vero, da quando ne avevo parlato in questo post. Diciamocelo, Enrico sentiva la mancanza della kwak alla spina, dato che è l'unico posto - almeno a distanza ragionavole da qui - in cui la si trova: ma tornare lì è comuqnue sempre piacevole, trattandosi di una birerria assai originale che sia alla spina che in bottiglia vanta sempre qualche chicca degna di nota.

In questo caso la scura Kasteel Donker, che il Mondelli tiene come birra di Natale: una quadrupel belga da ben 11 gradi, che si sentono tutti e anche di più. La schiuma, non troppo persistente e di color nocciola leggero, racchiude un aroma dalle forti note di caffè, liquirizia e caramello: Enrico dopo il primo sorso l'ha scherzosamente definita "caramella Alpenliebe". una gag che - per quanto personalmente mi ricordasse di più una bella tazza di caffè ben zuccherata - ho trovato calzante, Il corpo è probabilmente tra i più pieni che mi sia mai capitato di sentire, ed esalta ancor di più le note dolci ed alcoliche del malto: specie se bevuta alla giusta temperatura di servizio, ossia 12 gradi. Un sapore forte e discretamente persistente, che rimane in bocca abbastanza a lungo facendo "rivivere" - alemno cos'ì mi è sembrato - tutti i sapori provati prima. Insomma, una birra impegnativa, che definirei "da condividere" - perché credetemi che arrivare in fondo è davvero dura.

Infatti ammetto di averne preso solo un assaggio, per poi ripiegare sulla Abbaye de Bonne Esperance: anche questa una doppio malto belga dai suoi bei 8 gradi con notevoli aromi di nocciola e dal colore ambrato, ma dal corpo sorprendentemente leggero che la rende pericolosamente beverina. Le note di malto sono predominanti, ma il finale lascia comunque una leggerissima punta amara che invoglia ad un altro sorso. Peraltro, seguendo il consiglio del buon prof. Buiatti, per sentire meglio l'amaro avevo tuffato la bocca - e anche il naso, ahimé - nella densa schiuma degna della miglior panna montata: in effetti sì, funziona.

Che dire, in conclusione? Effettivamente la Kasteel Donker è una birra di tutto rispetto, che però ho trovato eccessivamente ricca: per quanto stupisca di meno, ammetto di essermi bevuta assai più volentieri il mio calice di Abbaye. Insomma, anche nella birra il troppo stroppia...

martedì 2 dicembre 2014

Di Zanna non c'è solo quella bianca

Quando da diversi mastri birrai ti arriva a più riprese l'invito a conoscere un collega, dato che buona reputazione all'interno della categoria generalmente è sincera, non si può non coglierlo: così ieri mi sono messa in viaggio verso Gorizia - oltre che per salutare gli amici del Birrificio Antica Contea, beninteso - per conoscere Antonio Zanolin. Meglio noto agli intenditori come mastro birraio della Gastaldia di Solighetto (Treviso), dopo dieci anni di onorata esperienza il buon Antonio ha fatto ritorno qualche mese fa nella natìa Trieste per lanciare il suo marchio, Zanna Beer; e la Fiera di Sant'Andrea ha offerto l'occasione di uno spazio degustazione comune tra il giovane birrifico goriziano e l'ancor più giovane birrificio triestino. Oddio, in realtà è giovane anche il birraio; ma se l'azienda è "una startup" - parole sue -, lui in quanto ad esperienza non lo è affatto.

Al momento sono due le birre che Antonio produce, appoggiandosi all'impianto dell'agribirrificio Villa Chazil: la ale ambrata Savinja - dal nome della vallata slovena da cui arrivano i luppoli - e la Polaris, che Antonio ha battezzato "Adriatic kolsch" pur essendo in realtà una bassa fermentazione - "infatti penso cambierò il nome", ha confidato. Se c'è una cosa in cui si sente la maestria di Antonio, direi che è l'abilità nel gestire luppoli "impegnativi" - per sua stessa ammissione - ottenendo birre equilibrate e "pulite". La Savinja, dai profumi terrosi e di sottobosco pur con qualche sentore caramellato, rimane infatti molto delicata al palato e beverina - dopotutto fa poco meno di cinque gradi - chiudendo con una leggera nota maltata e rimanendo comunque discretamente secca; e ancor più beverina è la Polaris - dal nome del luppolo utilizzato -, dall'aroma floreale eccezionalmente delicato e dal corpo leggero, che lascia una nota amarognola dissetante e tutt'altro che invadente. Insomma, birre non fatte per stupire per la loro intensità o particolarità, ma che nei fatti stupiscono per la qualità raggiunta all'interno di canoni che torno a definire di "pulizia" e di equilibrio - cosa forse ancor più difficile. Direi quindi che la nuova avventura intrapresa da Antonio è assai promettente - con una terza birra in arrivo -, tanto più che poggia su solide basi.

Un'ultima nota va alla nuova cotta della Contessina dell'Antica Contea, che secondo Costantino dovevo "assolutamente assaggiare": in effetti l'ho trovata affinata soprattutto sotto il profilo dell'aroma, dalle note fresche ed agrumate più forti che in precedenza, così come nell'amaro al retogusto che rimane più secco e netto. Da bere a boccali per togliere la sete, insomma, perché scende che è davvero un piacere...

lunedì 1 dicembre 2014

Da grande farò la degustatrice

Ebbene sì: incorniciato in bella vista, accanto al diploma di laurea, c'è ora l'attestato di partecipazione al corso di degustazione per sommelier della birra, che - come accennato in questo post - ho seguito lo scorso weekend all'Università di Udine sotto la guida del prof Buiatti. Un corso che riscuote, a quanto pare, notevoli consensi in tutta Italia: il partecipante più lontano arrivava direttamente da Reggio Calabria, con qualche presenza anche dall'Emilia Romagna e un buon gruppo di veneti (io sinceramente non saprei tra chi annoverarmi, ma vabbè).


Ad aprire il corso venerdì è stato appunto il prof Buiatti, con un "pippone di due ore" (parole sue, declino ogni responsabilità) sulle tecniche di produzione della birra, "perché non potete sapere cosa bevete se non sapete come si fa": ma devo dire che "pippone" non è stato, perché, per quanto impegnativo da seguire, mi ha aperto un mondo che non conoscevo soprattutto per quanto riguarda la conoscenza delle materie prime. Se non altro, la prossima volta che un birraio mi parlerà di Vienna e di Saaz non crederò che si stia riferendo alla capitale austriaca o a una nuova marca di automobile (per i non adepti, il primo è un tipo di malto e il secondo una varietà di luppolo). Altra scoperta curiosa, nella lezione sui principi di analisi sensoriale tenuta dal dott. Comuzzo, è stata quella di possedere il retrolfatto: una sorta di "senso trasversale" tra gusto e olfatto, dovuto alla risalita per le vie nasali di alcune molecole di ciò che abbiamo messo in bocca. Naturalmente la giornata non poteva che chiudersi in gloria con la prima degustazione, quella della Birra Cerevisia prodotta dall'Università.

Se avevo temuto che la prima lezione del sabato sui difetti della birra, tenuta da Paolo Passaghe, sarebbe consistita nel bere birre riuscite male costringendoci a masticare una quantità spropositata di mentine e affini per togliere il saporaccio, fortunatamente non è andata così: il buon Paolo aveva diligentemente preparato in laboratorio delle boccette da annusare, così da imparare ad individuare gli odori di sostanze prima a me pressoché sconosciute - e che sarà mai il diacetile? -, costringendomi peraltro a rispolverare lontani e ormai sopiti ricordi di chimica de liceo. A quel punto non rimaneva che iniziare a fare sul serio, con la panoramica e degustazione dei vari stili birrari nel mondo guidata dal mastro birraio Stefano Bertoli: un tour de force di 12 birre, dalle California Common Beer d'oltreoceano alle trappiste - con tanto di simpatica digressione sulla nomina del prof. Buiatti a Cavaliere d'Orval -, con diligente compilazione della scheda di degustazione per ciascuna di queste. Per quanto la compilazione risulti sempre più difficile man mano che si procede per ovvie ragioni, indubbiamente è uno stimolo a tenere desta l'attenzione e la consapevolezza di ciò che si sta bevendo; che non trovo peraltro abbia pregiudicato il piacere del bere in compagnia, dato che l'atmosfera era comunque quella di una discussione tra amici su cosa avevamo nel bicchiere.

Domenica la parola è tornata al prof. Buiatti, per la lezione sull'abbinamento tra birra e cibo. Se la bontà dei formaggi che ci sono passati davanti - un frant, uno stilton, un gouda e un lavarone - ha forse distratto un po' l'attenzione dagli abbinamenti proposti - una Cantillon, una Westmalle Tripel e una Grecale del birrificio Gjulia, da provare con ciascuno dei campioni per individuare gli abbinamenti più adatti -, nonché dello speck con la Rauchbier, ha forse dato un taglio un po' godereccio a scapito dell'attenzione, comunque si è rivelata una leizone del tutto istruttiva: almeno adesso ho capito perché si dice che alcune birre "sgrassano", o come la carbonatazione possa influire nella percezione dei sapori. Data la vicinanza al Natale, non poteva mancare un ottimo panettone artigianale con la Rudolph di Garlatti Costa; nonché, offerte dal buon Giovanni Francescon del Birrificio di Meni (nella foto) che partecipava al corso, le degustazione della lager scura Pirinat messa a confronto con una cotta sperimentale ottenuta dallo stesso mosto sottoposto però ad alta fermentazione. Forse uno dei momenti più isruttivi: il fatto di partire da una base identica permette di percepire molto bene i tratti distintivi delle lager e delle ale, oltre che di rendersi conto che, molto banalmente, basta un lievito diverso per fare "tutta un'altra birra".

A chiudere il tutto, la consegna degli attestati; con un complimento che trovo dovuto all'Universiytà di Udine, e in particolare al prof. Buiatti e a tutto il suo staff, per la qualità del corso tenuto e per l'impeccabile organizzazione.  Ed ora che sono una degustatrice diplomata, in alto i boccali (invece dei calici)...