martedì 30 settembre 2014

Brucia nella gola birra a sazietà

I conoscitori di Roberto Vecchioni avranno capito dalla citazione che sto per parlare della birreria Samarcanda: infatti è lì che ho avuto modo di entrare con estremo piacere nell'empireo dei giurati dei concorsi di homebrewing, nella fattispecie il Luppolando, lanciato dal locale lo scorso luglio. Mi sono così trovata a giudicare su ben 32 birre, opera di 13 homebrewers: cifre del tutto ragguardevoli considerando che si trattava della prima edizione e che Plaino non è esattamente una metropoli, a conferma non solo del fatto che il Friuli sta conoscendo - permettetemi l'espressione abusata - un notevole fermento, ma anche che locali con birre di qualità possono diventare punto di ritrovo per appassionati e centri di promozione di iniziative di ogni genere. Concorso indetto, peraltro, senza alcuna velleità particolare: "Brassare è qualcosa di ludico, di piacevole, di gratificante - ha chiosato il proprietario Giuseppe Burelli, Beppe per gli amici -: che cosa c'è di più soddisfacente che bersi la propria birra? Io ho voluto prima di tutto lanciare uno stimolo a creare: se c'è stata una buona risposta tanto meglio, ma non valuto il successo solo sui numeri".

Ammetto che, nonostante le rassicurazioni del buon Beppe che mi aveva gentilmente invitata a far parte della giuria, ero un po' preoccupata: trentadue birre sono così tante che altro che bruciare la gola, bruciano pure lo stomaco, il fegato, e apparato digerente tutto. Aggungiamoci pure che mi sarei trovata insieme a tre pezzi da novanta - anzi, uno da novanta e due da ottantanove, per rispetto dell'autorità: il prof. Stefano Buiatti dell'Università di Udine - giurato anche del Brussels Beer Challenge, uno dei maggiori concorsi internazionali -, il mastro birraio dell'ateneo Stefano Bertoli, e il tecnologo alimentare nonché ricercatore in ambito birrario Paolo Passaghe. Il timore di dire assurdità davanti a gente che ne sa molto più di me era quindi quasi una certezza, e sono arrivata lì con l'animo di imparare ancor prima che di giudicare.

Al Samarcanda ci aspettavano le bottiglie rigorosamente anonime, contrassegnate solo da un numero; unica cosa nota era lo stile, così da poterle raggruppare tra simili per la degustazione e giudicare anche l'attinenza allo stile dichiarato - in altre parole: se la chiami porter ed è chiara, o hai sbagliato nome o hai sbagliato malti, e in entrambi i casi ti costerà un paio di punti. Per quanto si sia confermata la moda per le Ipa e le Apa, presenti in maggior numero, la panoramica degli stili rappresentati era praticamente completa: la creatività quindi non manca, con tanto di uno stile nuovo creato per l'occasione - non vi tolgo però la sopresa su quale sia: aspettate e leggete dopo la premiazione. Muniti di una griglia di valutazione per ciascuna birra, abbiamo quindi giudicato in religioso - vabbè, quasi: le domande "tecniche" a Buiatti erano lecite - silenzio per non influenzarci; soltanto alla fine ci siamo scambiati i punteggi, per fare le somme e decidere su eventuali menzioni di merito. E' stato curioso vedere come, per quanto i giudizi dei tre accademici fossero basati più sugli aspetti tecnici e i miei più sul puro piacere dato da una buona birra, c'è stato un sostanziale consenso sui giudizi dati; nonché nel concordare sul fatto che la qualità delle opere pervenute mediamente è stata molto buona, e che di molte avremmo volentieri fatto il bis se non fosse che già così era stata una maratona birraria non da poco.

Tralascio su intermezzi - embè, mica pretenderete che bevessimo 32 birre tutte di seguito? - con dotte dissertazioni sul tema "Con quali erbe - legali e non - è possibile aromatizzare la birra", o "Quale birra è più efficace per convincere una donna a dire sì"; o su test di sobrietà come recitare d'un fiato i nomi del sette nani o, ad un livello culturalmente più elevato, i sette vizi capitali; ma si sa che è anche questo il bello di simili occasioni, e che un bicchiere di buona birra è un ottimo catalizzatore di socializzazione.

Per ora non posso dire altro, ma qualche chicca sulle birre che ci sono passate per le mani c'è: se siete curiosi, non vi resta che aspettarela serata di premiazione il 20 ottobre...

domenica 28 settembre 2014

Gusti "non standardizzati" di frontiera

Anche quest'anno, per quanto vi abbia riservato solo un giro veloce, non ho voluto mancare la manifestazione "Gusti di frontiera" a Gorizia. D'altronde il 2014 era stato annunciato come l'anno dei record, non solo per l'ampliamento del numero di Paesi e di espositori - con nuovi ingressi soprattutto dalla zona dell'est Europa e del Baltico - ma anche per l'afflusso eccezionale di visitatori, tanto che gli organizzatori mi hanno confermato che già il sabato sera alle 22 ne erano stati contati circa 300 mila soltanto ai sette ingressi principali - e la foto che vedete parla da sola. Insomma, le premesse erano buone.


Mi sono fatta un primo giro in serata sabato 27, con difficoltà a farmi largo tra la folla. Rispetto a Friuli doc, l'atmosfera e il target della manifestazione sono del tutto diversi: se a Udine si mira a far conoscere le produzioni enogastronomiche artigianali locali, dando un taglio molto specifico, Gusti di frontiera è piuttosto una sorta di grande "festa dei popoli", in cui - oltre a qualche produzione artigianale, che pur è presente - ciascun Paese porta le sue tradizioni tipiche. E non solo gastronomiche, perché mi è capitato di vedere i brasiliani fare la capoeira in strada: insomma, appunto, una festa. Intendiamoci, non che Friuli doc non lo sia, ma sono due cose diverse ed è giusto che sia così: altrimenti non si vedrebbe perché andare ad entrambe, rischiando di generare quella che diventerebbe una guerra tra poveri tra manifestazioni entrambe al di sotto del proprio potenziale di attrazione.

Ancor prima che le birre - sì, lo so che volete sapere di quelle, un momento e ci arrivo - ho avuto quindi modo di apprezzare le prelibatezze dei produttori italiani e non: tra le tante - e non me ne vorranno quelli che non nomino - le vellutate di carciofi e di zucchine dell'azienda agricola Ekalò di Martano (Lecce), il succo di mela artigianale di Davide Geremia di Latisana, e i formaggi di numerosi allevatori sardi, pugliesi, altoatesini, umbri e sloveni; ma anche di scoprire alcune ricette tradizionali goriziane, come gli strucoli in straza - una pasta lievitata e arrotolata con un ripieno a base di noci, uvetta e pinoli, che vede in foto - grazie ad una dimostrazione organizzata in collaborazione con l'Accademia italiana della cucina. Peraltro, il delegato dell'Accademia Roberto Zottar mi ha riferito che già in passato era stata abbinata agli strucoli una lager chiara al ginepro: insomma, pare che la birra si faccia strada nel mondo della gastronomia.

E appunto la birra non mancava. Oltre a nomi noti come Zahre, Campagnolo, Tazebao e Antica Contea, su presentazione di quest'ultimo ho conosciuto lo svizzero Bad Attitude: che però merita un post a parte, data la varietà e la particolarità delle birre a listino. Per cui abbiate pazienza, ne varrà la pena. Birrifici artigianali che hanno registrato anch'essi un successo notevole, tanto che molti avevano esaurito i fusti delle birre più gettonate: anche la presenza di birre industriali più a buon mercato, insomma, pare non aver scalfito la coscienza del consumatore - almeno quello di Gusti di frontiera - che "sono due cose diverse".

Del resto i prezzi erano generalmente adeguati alla qualità dei prodotti offerti; unica eccezione che mi è dispiaciuto constatare, come testimonia la foto e come lamentato da numerosi avventori, lo stand delle birre belghe, in cui una piccola alla spina veniva venduta anche a 5 euro. Impossibile che non si insinui il legittimo sospetto della speculazione, se anche un birrificio artigianale la vende a poco più della metà. Devo ammettere però che la Corsendonk rossa che ho bevuto è stata apprezzatissima, con i suoi aromi di caramello e crosta di pane, e qualche nota di frutta candita.

La cosa che più mi sono portata a casa però è stata la perla di saggezza di Mirena Morocutti, della pasticceria Mirandò di Treppo Carnico, che già a Friuli doc mi aveva stupita con un tortino alla yogurt e fragole di una genuinità rara - se passate da quelle parti, i chili di troppo non costituiranno mai una giustificazione sufficientemente valida per mancare una visita. Di fronte ai miei complimenti per la sua maestria - in questo caso espressa da una fetta di strudel -, la signora Morocutti ha ribattuto "Eh, il punto è che nessuno ha più voglia di tagliare le mele". Come scusi? "Sì, ormai tante pasticcerie si fanno arrivare le mele pretagliate in sacchi immersi in un liquido, o le creme già pronte. E così tutto ha lo stesso sapore: ci hanno standardizzato i gusti". Ecco, mi sono detta: se Gusti di frontiera riesce ad insegnare alla società del Mc Donald's ad apprezzare la varietà dei sapori, è già un gran bel traguardo.

giovedì 25 settembre 2014

Una rossa "tranquilla tranquilla"

Sempre al Festival di Fiume, dopo essere stata da Meni sono passata a salutare il fratelli Campagnolo - altra vecchia conoscenza che ho ritrovato con piacere. I quali nella loro generosità mi hanno gentilmente offerto una birra, offerta che ho in prima battuta declinato: no, grazie, devo guidare, da Meni ne ho già bevuta una e sono pure a stomaco vuoto. Ma dai, ha ribattuto Michele, almeno un assaggio di Bora Ciara, la nostra weizen; e qui è prontamente subentrato Angelo, con un "No, la weizen no, non ti ricordi che non le piace?". Devo dire che sono rimasta piacevolmente stupita: a stento me lo ricordavo io che la Bora Ciara non mi aveva entusiasmata, e vedere che se lo ricordava lui è stata una sopresa nonché una dimostrazione di attenzione verso operatori del settore, clienti e quanti altri si relazionano con i fratelli Campagnolo che ho molto apprezzato. Un atteggiamento dimostrato anche da Michele: semplicemente, a quanto pare, Angelo ha la memoria più lunga.

Questa attenzione, nel caso di Michele, a Fiume ha preso la forma del punto d'onore di non farmi andare via senza aver nemmeno assaggiato nulla: e così ha controproposto la Bora scura, "una rossa tranquilla tranquilla" che non avevo mai provato. "Dimmi tu quanta", ha gentilmente premesso prima di spinare: meno male, mi sono detta, sennò se domani mattina non ritroverò la patente nel portafogli non sarà perché me l'hanno rubata.

Mi chiedevo che cosa Michele intendesse con "tranquilla", dato che la gradazione acolica non è tra le più basse - 6 gradi; personalmente ho interpretato questa "tranquillità" col fatto di essere una birra che definirei "semplice", pur nella particolarità della farmentazione mista - la prima bassa nei tini, la seconda alta in bottiglia. Sia all'aroma che al corpo non presenta infatti note o sapori particolarmente intensi, armonizzando in maniera equilibrata i malti - monaco e pils - con i luppoli tedeschi: personalmente ho percepito dei tratti erbacei e tostati insieme all'ofatto e del leggero caramello nel corpo, ma appunto nulla che si imponga sul resto. Ne risulta quindi un birra di facile beva, anche grazie al finale abbastanza secco: e qui è partita un'interessante conversazione - tra il serio e il faceto, a dire il vero - sul tema "Quale birra berresti quando", concludendo che una birra come la Bora Scura, piacevole e senza troppi impegni, ci sta proprio bene una sera a cena, anche perché non andrebbe a sovrastare il sapore di eventuali abbinamenti.

E a proposito di scure, c'è ancora una bottiglia di Refolo - la nuova scura a bassa fermentazione di Campagnolo - che mi attende in cantina: se siete curiosi, come dicono gli inglesi, stay tuned...

martedì 23 settembre 2014

Una stout che stout non è

Al Festival di Fiume, quando ho notato che allo stand della Birra di Meni c'era nientemeno che Meni stesso, sono subito andata a fare conoscenza: e devo dire che è stata una chiacchierata davvero piacevole, considerando che mi ero parecchio incuriosita nel conoscere la sua storia di birraio - che ho raccontato in questo post. Mi ha peraltro raccontato che tuttora va raccogliere luppolo selvatico - "ce n'è tantissimo dalle nostre parti" -: per cui, stappando una bottiglia di Meni, se siete fortunati potrebbe capitarvene una con autentico luppolo autoctono.

Dato il mio buon proposito di provare qualche altra birra delle loro, questa volta mi sono diretta sulla Pirinat, una scura. Per quanto la schiuma fosse ben poco consistente, una volta portato il bicchiere al naso ho subito detto: "Ah, una stout?". Meni ha sorriso, affermando: "Pensa un po', abbiamo ingannato perfino gli irlandesi con questa". In effetti è una lager scura: ma a quanto pare non sono stata l'unica a cadere nell'errore, dato che all'olfatto prevale il tostato tipico delle stout - personalmente ho sentito soprattutto note di caffè. Mi sarei aspettata un corpo più robusto da una birra di questo genere, invece è piacevolmente delicato pur confermando le caratteristiche dell'aroma: magari da accompagnare a del cioccolato o ad un dolce al caffè, per valorizzare allo stesso tempo sia la birra - dato che, non avendo molta persistenza, potrebbe dare l'impressione di "morire in bocca" a chi è abituato a sapori più decisi - che l'abbinamento, visto che in virtù della delicatezza di cui parlavo non andrebbe a sovrapporvisi. In tutto e per tutto, insomma, una particolarità nel panorama delle lager scure, tanto da classificarsi prima come "Birra dell'anno" al concorso Unionbirrai 2010 per la categoria bassa fermentazione e terza all'International Beer Challenge lo stesso anno.

Un'ultima nota, più che altro per mettervi in guardia e preservare la patente: attenti perché farà pure sei gradi e mezzo, scende che è un piacere...

lunedì 22 settembre 2014

Festival di Fiume: una "sagra" con potenzialità?

Non avendo potuto presenziare più a lungo a causa di impegni di lavoro, ho comunque accolto volentieri l'invito degli organizzatori a fare un giro - per quanto rapido - al Festival della birra artigianale di Fiume Veneto. L'anno scorso - come potete vedere nei numerosi post in archivio a settembre 2013 - la prima edizione mi era sembrata un inizio promettente, per cui la curosità di vedere anche la seconda c'era: tanto più che è cresciuto il numero dei birrifici presenti - 16, 8 per ciascun weekend -, e si è cercato (come del resto lo scorso anno) di andare al di là della semplice bevuta in compagnia organizzando eventi come la presentazione del libro "I birrifici storici di Pordenone", o un convegno sulla coltivazione del luppolo in regione.

Se mi duole constatare la scarsa professionalità del Birrificio Trevigiano e del Corti Venete, che di fronte alla mia richiesta di darmi qualche informazione in più sulle loro birre non hanno fatto altro che mettermi in mano un volantino e dirmi "trova tutto sul sito", per il resto devo riconoscere agli organizzatori l'encomiabile buona volontà. Mossa indovinata è stata innanzitutto quella di spostare le conferenze in una sala a parte - dove al momento del mio arrivo il buon Max Petris stava raccontando la storia dei "falegnami diventati birrai" a Sauris -, così da non essere disturbati da chi è occupato a festeggiare; sala peraltro degnamente decorata "a tema", con una piccola mostra di bicchieri. Non ero purtroppo presente alla presentazione del libro, ma ne ho ricevuto un'eco positiva sia dal presidente dell'Accademia delle Birre Paolo Erne - che è intervenuto - che dagli altri birrai.

Il che mi porta a dire che le potenzialità per andare oltre la semplice "sagra" - convenientemente ospitata nell'ampio tendone della Pro Loco - ci sono tutte, andando incontro anche a chi desidera qualcosa di più della semplice bevuta: appoggiandosi magari a qualcuno che abbia conoscenze e competenze più approfondite, la sala potrebbe infatti ospitare a dovere ben più di due o tre incontri di un certo spessore per ciascun weekend. Peraltro sono gli organizzatori stessi i primi a volersi muovere in questo senso: parlando con loro, mi hanno riferito di aver pensato a degustazioni guidate, ma sarebbero replicabili diversi laboratori di abbinamento birra-cibo come quelli fatti lo scorso anno, oppure incontri in cui accostarsi a particolari tipi di birra generalmente poco presenti nei circuiti distributivi. Senza contare che i temi per conferenze sarebbero innumerevoli. Un modo per equilibrare la parte "culturale" con quella "festaiola", che non ha nulla di male in sé, ma che al momento soverchia la sua controparte.

Per il resto, è stato un ritrovare i vecchi amici: Meni, Zahre, Baracca Beer e Campagnolo - occasione peraltro di provare la Pirinat di Meni e la Bora Scura di Campagnolo, di cui parlerò più in dettaglio in altra sede; nonché la pasticceria "Crema & Cioccolata", alla quale riservo una nota di merito per gli ottimi biscotti al malto.

Che dire? Se capitate di lì il prossimo weekend non disdegnate un giro; personalmente poi, non posso che rivolgere un incoraggiamento agli organizzatori per mettere ancor meglio a frutto le potenzialità sia logistiche che di voglia di fare - la più importante, direi - per crescere in qualità il prossimo anno.

giovedì 18 settembre 2014

Un ritorno al cielo d'Irlanda

Per il suo consueto giro di degustazioni, la Brasserie ha proposto questa volta la Howling Gale Irish Pale Ale del birrificio irlandese 8 degrees: una riproposizione, in realtà, perché già lo scorso aprile Matilde e Norberto avevano organizzato una serata dedicata a questo birrificio di cui avevo parlato in questo post. Ma tant'era: di tempo ne era passato parecchio, e comunque avevo un bel ricordo della birra in questione - nonché delle abilità culinarie della casa -, per cui non ho disdegnato un secondo giro.

Questa volta, devo dire, ho avuto modo di apprezzarla di più e meglio. L'aroma è nettamente erbaceo, pur con qualche nota di agrume - ammetto però di non aver percepito il pompelmo che la sceda di degustazione proposta dal birrificio pubblicizza -, ben preservato da una schiuma assai densa. Il corpo è abbastanza leggero ma tutt'altro che evanescente, e la dolcezza quasi caramellata del malto è decisamente messa in secondo piano dalla predominanza dei luppoli, che danno un finale comunque non troppo amaro né troppo persistente. Personalmente l'ho trovata una birra interessante principalmente sul versante dei luppoli, come già avevo notato anche nel precedente post, che specie in quanto ad aroma danno del loro meglio.

Il piatto proposto in abbinamento prevedeva gnocchi alla romana gratinati, una sorta di burrito ripieno di carne, patate e formaggio - nota per il cuoco: Enrico vuole il bis, tris, e avanti ad libitum - e fagioli all'uccelletto. Tutte pietanze accomunate da una certa cremosità, che se da un lato li faceva ben legare insieme, dall'altro chiedeva una birra che "sgrassasse". La Gale, ad essere onesti, faceva comunque bene il lavoro - per quanto più spesso tale compito venga affidato a birre di altro genere -, e non si accompagnava male ai sapori in questione; ammetto però che se fossi stata io a scegliere avrei piuttosto preferito una birra più corposa, magari una red ale, o azzardando addirittura una birra d'abbazia. Opinione personale, per carità, che certo non intende mettere in dubbio l'esperienza ben più lunga della mia di Matilde e Norberto - che infatti festeggiano la settimana prossima i 18 anni della Brasserie, con una lunga serie di eventi che chi fosse interessato può trovare sul sito del locale: e che si vede dal fatto che, nel proporre le birre ai clienti - specie se affezionati - in base ai loro gusti Matilde non ne sbaglia mai una. O meglio, una sì l'ha sbagliata: quella famosa Tripel scambiata con una Brett, che però alla fine si è rivelata quella giusta...

martedì 16 settembre 2014

Una birra...da cenerentola

A Friulidoc ho ritrovato anche una conoscenza che in realtà nuova non era - dato che si tratta di un birrificio ben conosciuto in Friuli -, ma che poteva dirsi tale nella misura in cui conoscevo pochissimo le sue birre: la Birra di Meni, birrificio artigianale di Cavasso Nuovo. Mi sono così fermata a fare due parole allo stand, così da conoscersi finalmente di persona dopo diversi contatti avuti tramite social network e diavolerie simili - con le quali, però, la birra non si beve.


Quello di Meni può dirsi un "birrificio di famiglia", fondato negli anni ottanta dal capostipite Domenico - soprannominato appunto "Meni" -, che ha iniziato maltando da sé l'orzo e raccogliendo con la moglie il luppolo selvatico dato che il mercato delle materie prime non era all'epoca ancora accessibile agli homebrewers; passione che col tempo - spinta anche dall'interessamento degli amici, che avevano iniziato ad apprezzare il prodotto così tanto da disegnargli e costruirgli una caldaia con motore elettrico per la miscelazione del malto - si è poi trasformata in lavoro, portato avanti insieme ai figli Romano e Giovanni. Un birrificio che è peraltro ben radicato nel paese d'origine, tanto che alle proprie creazioni ha dato i nomi di vie, contrade e quartieri della zona.

La produzione è parecchio vasta: ben sedici tipi di birra, con una buona gamma di aromatizzate - dalla Cjaranda alle mele, alla Caldan ai fionri di sambuco, alla Marals alle ciliegie; senza tralasciare qualche specialità come la Biers, un barley wine, e la "Cotta unica", una birra sperimentale che ogni volta è una sopresa. Inutile dire che mi sono trovata nell'imbarazzo della scelta, e a venirmi in aiuto è stato il fatto che alla spina non fossero naturalmente disponibili tutte: e tra queste mi ha incuriosita la Candeot, una ale chiara aromatizzata alla zucca - una birra "da cenerentola", mi è venuto appunto da pensare. Ammetto che qualche dubbio che fosse troppo dolce per rientrare nei miei canoni ce l'avevo, ma di fronte alle rassicurazioni in senso contrario mi sono fidata. In effetti all'olfatto l'aroma di zucca è appena percettibile, e non toglie spazio a quello del luppolo . Anche al primo sorso la si direbbe una lager chiara come tante altre e peraltro nemmeno troppo sbilanciata sul dolce dei malti - onestamente non l'ho nemmeno trovata molto corposa, contariamente a quanto affermato nel volantino; soltanto dopo arriva la "sorpresa", con una persistenza che dà un leggero sentore dolce di zucca. Il suggerimento è quello di accompagnarla a gnocchi e risotti di zucca, e infatti per molto tempo Meni ha rifornito la Festa della zucca di Venzone (che ora, ahimé, non si tiene più); però non mi limiterei a questo, perché il sapore di zucca non è invasivo e, pur rimanendo una birra dolce, non risulta affatto sbilanciata ed è così beverina da nascondere almeno la metà degli 8 gradi che ha.

A quel punto però, dato che la Candeot è buona sì ma ero convinta che si potesse fare di meglio, ho chiesto un suggerimento su quale fosse il cavallo di battaglia di Meni: e mi è stata indicata la Siriviela, la chiara doppio malto a bassa fermentazione che ha fatto definitivamente decidere anni addietro che era giunto il momento di trasformare la passione in lavoro. E in effetti non me ne meraviglio, perché questa no non si può definire "come tutte le altre": già all'aroma arriva una rosa di luppoli ben marcata, dall'erbaceo al floreale, e anche al palato risulta ben più corposa della media del genere - complice il grado alcolico non indifferente, 7,4. E se i malti si sentono bene, assai meglio si sentono i luppoli: il che dà poi una persistenza che ho trovato particolarmente duratura e amara, senz'altro peculiare. Insomma, una birra che si fa ricordare, e non a caso si è classificata prima nella sua categoria al concorso di Unionbirrai nel 2013. Ora non mi rimane che decidere quale sarà la prossima tra le 14 che mancano...