giovedì 25 febbraio 2016

Beer Attraction, parte seconda: dalle Dolomiti...anzi no

Ammetto che, da buona veneta e frequentatrice delle Dolomiti, non ho potuto non pensare che un birrificio con un tale nome - "Aleghe", nome dialettale di Alleghe (BL) - sarebbe stato bene sotto le pareti del Civetta: invece questo si pronuncia "Alèghe", con l'accento sulla e, e si trova a Coazze (To). Al di là della mia personale ironia sul nome, devo dire che la chiacchierata con il mastro birraio Enzo è stata particolarmente interessante per conoscere un birrificio che - caso d'eccezione nel panorama delle artigianali - si cimenta esclusivamente nelle basse fermentazioni: una scelta dettata dall'eccezionale dolcezza dell'acqua - 3 gradi francesi - adatta alle basse fermentazioni, dalla passione di Enzo per la tradizione tedesca, e dalla sua volontà di non utilizzare al'interno dello stesso stabilimento lieviti da alta e da bassa - tanto da aver deciso di tralasciare anche la weizen, "sostituita" da una birra di frumento a bassa fermentazione. Enzo si è formato in Germania, e da lì ha preso - oltre che la passione - anche l'abitudine a lavorare a fermentatori aperti: "perché la fermentazione si controlla anche con la vista e con l'olfatto", ha spiegato, "cosa impossibile con dei fermentatori chiusi".


Coerentemente con quanto detto, le birre di Aleghe fanno la felicità degli amanti della tradizione tedesca e delle birre più "rustiche": è il caso soprattutto della Bionda, in cui Enzo ha voluto ispirarsi alla ricetta originale di Joseph Groll. Il Saaz in monoluppolo, unito agli aromi di cereale dati dal malto, la rendono una birra che al naso risulta particolarmente grezza e pungente per il genere: un profumo proprio "di campagna" - come personalmente immagino avessero le birre di quella zona nei secoli scorsi -, a cui forse oggi siamo poco avvezzi e che ad alcuni può risultare non del tutto gradito, ma coerente con la filosifia che sta alla base di questa birra. Al palato arriva, insieme al cereale, qualche nota di miele, per poi chiudere su un amaro evanescente accompagnata da sentori aciduli - tanto che mi sono trovata a definire il finale "ruvido". Detta così sembrerebbe una birra per pochi: Enzo mi ha invece assicurato che è stata accolta bene e che nei ristoranti è apprezzata per la sua buona bevibilità e la facilità di abbinamento - e devo dire che in effetti le "spigolosità" che ho evidenziato sono più delle "note caratteristiche" che dei reali ostacoli alla bevibilità o dei difetti, almeno in questo stile.

Nel panorama che ho avuto occasione di provare c'è poi la Pils, premiata da Slow Food come birra quotidiana, dalla luppolatura più delicata sia in aroma che in amaro - Magnum, Hallertau e Tettnang -, dalla maltatura armoniosa e dal finale ben secco; la Doppio - che Enzo ha definito "la sua chicca" -, una bock con monoluppolo Hallertau dal corpo ben robusto e pronunciato con toni di caramello che mantiene comunque una buona secchezza in chiusura con un amaro netto ma bilanciato; e la Brusatà, birra alle castagne nata "per gioco", volendo unire la tradizione tedesca delle rauch con un prodotto locale come le castagne arrostite - ottenendo un'affumicatura più morbida, e sapori variabili a seconda dell'annata. Al di là della tradizione non manca quindi la fantasia e la sperimentazione, dato che il repertorio di Aleghe conta anche la pils estiva alle foglie di menta, la birra al miele, e la dunkel con fave di cacao del Madagascar fatta in collaborazione con il mastro cioccolatiere Guido Castagna. Nel complesso, una tappa che ho apprezzato nonostante i miei gusti siano più vicini ad altri stili.

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