Sì lo so, sono in ritardo: però, meglio tardi che mai, ecco il mio resoconto del secondo weekend della Fiera della birra artigianale di Pordenone. Anche in questo caso procederò in ordine rigorosamente casuale nel raccontarvi di alcuni di birrifici incontrati, in buona parte peraltro nuove conoscenze. Il primo con cui mi sono fermata a fare due chiacchiere è stato i signor Carpano, distributore di diversi marchi spagnoli, italiani e americani - cito Barcelona Beer Company, Cerveza La Pirata, oltre che la birra Maraffa di Cesena. Tra le tante ho provato la Caldera Ipa dell’americana Caldera Brewing Company: una ipa morbida e armoniosa, in cui i luppoli - che pur prediligono i toni dell’amaro erbaceo - non tradiscono il malto al palato, lasciando una persistenza resinosa e non invasiva.
In seconda battuta ho fatto la conoscenza di Terre d’Acquaviva, birrificio di Atri (Teramo), che aveva portato cinque birre - la blonde ale Lunatika, la pale ale Oropuro, la amber ale Aretusa, la weizenbock Granamaro e la White ipa Kalaveras. Per quanto quest’ultima mi fosse stata descritta come la punta di diamante della casa, non ho potuto resistere alla curiosità della weizenbock - genere piuttosto raro a trovarsi. Il frumento, ben presente all'aroma, non sovrasta il floreale del luppolo saaz con cui si armonizza bene; mentre l’aggiunta di buccia d’arancio e il lievito conferiscono una certa speziatura all’aroma, per chiudere sull’agrumato. Una birra che mi ha colpita per la sua armonia e pulizia pur nella complessità, e che ha fatto si che, quando mio fratello più tardi ha chiesto una white ipa, non abbia potuto non chiedergliene un sorso. Risulta in effetti piuttosto peculiare all’interno del genere, dato l’uso dell’avena e di un lievito che conferisce una speziatura dal blanche; il che, unito al luppolo citra, dà come risultato finale una birra in cui toni agrumati, citrici e amari a momenti si alternano e a momenti si fondono. Detta così può sembrare un pasticcio, però risulta molto rinfrescante e beverina: ragion per cui farà magari storcere il naso ai puristi, ma - almeno a sentire il ragazzo al banco - è la birra di maggior successo.
Ho fatto un'incursione anche da Alta Fermentazione, distributore di birre belghe - tra cui Lupulus, Bastogne e Rulles, di cui già ho avuto modo di scrivere in passato -: io però mi sono data alla gueuze à l'ancienne di Tilquin, notevole per l'acidità delicata che si unisce ad un amaro discreto. In tutto e per tutto una gueuze abbordabile anche per i palati meno abituati alle fermentazioni spontanee.
Ho concluso la prima giornata da Le Baladin, calorosamente accolta da Elio e Giuseppe. Lì l’offerta era naturalmente assai varia, e mi sono diretta sulla Niña, una bitter spillata a pompa - il che ha indubbiamente reso giustizia alle note amare e di caramello insieme all’olfatto, al corpo esile grazie alla bassa carbonatazione e delicatamente maltato, fino alla chiusura resinosa con un’ultima punta di caramello. Non poteva poi esserci modo migliore per chiudere la mia visita allo stand - nonchè la giornata - che una Xyauyù, la celebre “birra da divano” - per i non adepti, un barley wine - di Teo Musso, che già avevo provato in versione fumèe. Quella classica evidenzia assai di più le note dolci e marsalate, di caramello e frutta secca, tutte particolarmente intense: senz'altro un must per i cultori del genere, qui interpretato in maniera personale dal noto birraio.
E qui chiudo dunque il resoconto della prima giornata: per conoscere il resto, rimanete sintonizzati...
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