Il secondo è stato il San Giorgio di San Giorgio di Nogaro (perdonate il gioco di parole), che già avevo avuto modo di incontrare a Gusti di Frontiera, ma di cui non avevo scritto in attesa di parlare con il birraio. Attesa che ha pagato, perché la conversazione con Renzo Comuzzi è stata decisamente interessante. Anche in questo caso si tratta di un agribirrificio aperto da un anno e mezzo - "per me è partito tutto dalla passione per l'agricoltura" -, che ha tre birre in cartellone: una ale bionda, una scura e una al castagno e achillea. Nella fattispecie ho riassaggiato la scura Otello, perché a Gorizia non mi aveva convinta, avendomi dato l'impressione di una tostatura sbilanciata che cadeva nel bruciato; in realtà mi sono ricreduta, e grazie alla descrizione che me ne ha fatto Renzo ho avuto modo anche di spiegarmi quella nota finale di un tostato di genere indescrivibile data dal farro non maltato - "non riesco a fare le cose normali", ha ammesso . Di più ho apprezzato però la Cjastine: l'amaro del miele di castagno e l'achillea si sposano perfettamente sia all'aroma che al palato, lasciando una leggera punta dolce soltanto nel corpo, per chiudere con l'amaro dato non dal luppolo ma dallo sposalizio di cui sopra. Una birra al miele alquanto originale ed equilibrata, nonché la meno dolce che abbia mai provato - e del resto devo dire che, aggiungendo anche Jeb e Benaco 70, di birre al miele ben fatte a Pordenone ce n'erano.
Il terzo birrificio in realtà l'avevo già incontrato a Milano, ma non avevo avuto modo di assaggiare le loro birre: il San Biagio di Nocera Umbra, nato al'linterno dell'azienda agricola biologica del monastero di San Biagio. Il loro panorama produttivo è abbastanza vasto e va dalla pils, alla weizen, alla strong alle; io ho provato la Monasta - che si vanta di appartenere ad un "nuovo stile birrario ispirato alle antiche tecniche produttive dei monaci trappisti" -, un'ambrata con miele e alloro. Anche in questo caso l'alloro è usato sapientemente per bilanciare il miele, che pur rimanendo preponderante sia all'aroma che nel corpo, lascia poi spazio ad una chiusura più amara e secca. Da consigliare appunto a chi ama i generi belgi, patiti dell'amaro astenersi (nonostante l'alloro).
Da ultimo mi sono fermata allo stand dei simpatici ragazzi abruzzesi che distribuivano le birre di Opperbacco, La Casa di Cura e Bibibir; più una white ipa che i due brassano in beerfirm al Bibibir con il nome di Big Hop. A questo punto non potevo non provare quella che, perdonatemi la semplicità, definirei "una birra tranquilla tranquilla": luppolatura fresca e floreale, corpo esile e beverino, e una chiusura di un discreto amaro citrico - da bere in quantità nelle giornate estive.Che altro dire, ora mi e ci aspetta un altro weekend a Pordenone: per chi è da quelle parti, e per chi da quelle parti volesse venire di proposito, vi aspetto!

Nessun commento:
Posta un commento