Su invito del buon vecchio Stefano Gasparini, mente pensante del portale www.nonsolobirra.net , ho presenziato ieri all'ultima delle tre giornate della mnifestazione Arte, Cultura & Luppolo a Marano Vicentino. Invito che comprendeva anche quello a far parte della giuria che avrebbe selezionato la birra migliore, per cui l'occasione diventava ancora più interessante, oltre al fatto che le premesse erano buone: nelle tre edizioni precedenti l'evento si era attestato sulle 12 mila presenze, ed era prevista la presenza di dieci birrifici artigianali, due distributori, una serie di espositori - dall'artigianato del legno all'apicultura - e uno stand gastronomico con piatti tipici vicentini curato da ristoranti, pasticcerie, caseifici e panifici locali.
Arrivata lì, la prima cosa a colpirmi positivamente è stata la cospicua presenza di famiglie con bambini: complice la diversificazione sia degli stand che degli eventi - si passava da Peppa Pig ai laboratori sui difetti della birra -, la manifestazione poteva definirsi adatta a tutti, diventando una "festa" nel senso lato del termine e non solo una "festa della birra". Magari gli intenditori avrebbero potuto storcere il naso di fronte al fatto che gli eventi dedicati specificatamente a loro fossero solo due - il laboratorio "Aromi di birra" tenuto da Marco Corato il sabato e la cotta pubblica di domenica -, ma Gasparini in quanto organizzatore ha assicurato la volontà di incrementarli; e il fatto di avvicinare anche i non intenditori alla birra di qualità, magari grazie ad iniziative come presentazioni di libri, esibizioni dal vivo di scultura o concerti è sicuramente meritorio. Insomma, diciamo che l'ho trovato un buon connubio tra "purismo" e "eterodossia", per quanto rimanga materia di discussione quale sia il giusto equilibrio tra i due.
Tra i birrifici presenti c'erano alcune vecchie conoscenze: il Jeb, che avevo incontrato a Santa Lucia; l'Acelum, di cui tanto mi aveva entusiasmato la Freya al festival di Fiume; l'Estense, di cui già avevo assaggiato la Red Ale e che questa volta mi ha presentato l'ultima nata della casa, la imperial stout Django - sulla quale però mi riservo un commento più preciso una volta riprovata, dato che non l'ho degustata a bocca pulita; e il Camerini, della cui torbata avevo un buon ricordo, e che mi ha a sua volta fatto fare conoscenza con l'ultima novità Ink Ipa - che non è una black ipa come credevo, ma solo un riferimento alla ragazza tatuata che campeggia sull'etichetta. Una Ipa che a dire il vero mi ha lasciata un po' interdetta, in quanto, essendo particolarmente discreta nella luppolatura, non la si direbbe quasi tale: non certo una birra riuscita male, per carità, ma ritengo che la loro punta di diamante siano piuttosto la torbata Selvaggia di cui sopra e la red ale Seducente, di cui peraltro - mi ha riferito il buon Giampaolo - sta avendo discreto successo il gelato preparato da un gelataio artigianale della zona.
Ho dovuto quindi iniziare, in quanto giurata, il lungo pellegrinaggio delle nuove conoscenze. Ho iniziato dal Birrone, birrificio di Isola Vicentina, che dispone di una decina di creazioni. Per quanto le più gettonate fossero la hell classica SS46 e la pils Brusca, ho apprezzato maggiormente le birre più sperimentali. In primo luogo la Gerica, che unendo malti e luppoli da amaro tedeschi e luppoli da aroma americani (di qui il nome, Germania e America) crea un curioso connubio tra aromi erbacei ed agrumati e le note di crosta di pane il bocca; oppure la Mortisa, birra alle castagne, "figlia" del raccolto dello scorso anno arrostito e tostato. Qualche curiosità rimanendo sul classico, secondo la filosofia di "dare una reinterpretazione agli stili canonici", l'ha offerta invece il birrificio bresciano dei fratelli Trami: la Col De Serf, una weiss a cui a leggere la descrizione non avrei dato un soldo, si è invece rivelata una piacevole scoperta sul fronte dell'aroma floreale insolitamente ricco e della persistenza fruttata, e posso dire lo stesso della porter Saslong in quanto al bilanciamento indovinato tra le note decise di caffè e di cacao.
Buone potenzialità le ho trovate anche al birrificio Ofelia di Sovizzo (Vicenza). E dico "potenzialità" perché le idee in quanto ad originalità non mancano: dalla saison Piazza delle Erbe che amalgama senza risultare soverchiante erba luisa, buccia d'arancia, cardamomo, anice stellato, coriandolo e camomilla; alla Amitabh, che recupera l'antica ricetta delle India Pale Ale inglesi - assai meno amare di quelle americane in voga oggi -; alla Beer Gamotto, una golden ale monoluppolo aromatizzata, i birrai sono una fucina di spunti sia in quanto a sperimentazione che a interpretazione personale delle birre classiche. Per questo, coerentemente anche con la filosofia che mi ha esposto il buon Andrea di "cercare i clienti adatti a noi, piuttosto che adattarci ai gusti dei clienti", li inviterei ad osare ancora di più: avendo il pregio di saper sperimentare senza strafare né ottenere risultati che "stufano", come si suol dire, ritengo che in margini di sviluppo siano ancora ampi e promettenti.
Filosofia diametralmente opposta a quella della birra Mastino, che intende invece "affinare" gli stili classici: tanto da aver recuperato la ricetta di uno storico birrificio veronese chiuso nel 1932 per la loro Rossa Verona, che si affianca alla pils 1291, alla american wheat Beatrice, alla red ale Alboino e alla dry stout Canis Magnus - tutti storici nomi degli scaligeri, in omaggio alla città. Birre che hanno indubbiamente la dote di farsi bere facilmente, al contrario forse della chicca che avevano portato per l'occasione, la sour alle prugne: un anno di barrique in una botte di amarone, che ha fatto di questa birra a base pale una particolarità nel panorama del Mastino.
Da ultimo due birrifici giovani, il Luckybrews e il K&L. Il primo ha aperto da due anni, ma grazie ai dodici da homebrewer di Davide e Samuele non ha nulla da invidiare ad altri di più lunga esperienza. Tra tutte segnalo la Whale - che sta per white hoppy ale -, di cui spicca l'aroma di fiori e di coriandolo e le note di pepe rosa che anticipano la chiusura amara; e la Winternest, una schotch ale che bilancia in maniera encomiabile il torbato, l'affuminato, le note di caffè e quelle di whisky. In quanto al K&L, nota di merito all'originalità della bière de garde 2 fuochi - stile assai raro da trovare - e soprattutto la tripel Special 3, che smorza il dolce del miele di castagno con spezie acide creando un insieme sapientemente bilanciato.
Naturalmente ci sarebbe molto da raccontare e da descrivere, ma rischierei di dilungarmi troppo; posso comunque dire di essere stata soddisfatta in quanto non solo ho trovato birra di qualità, ma anche un ambiente che la sa far conoscere in maniera semplice ed accogliente. Ed è indubbiamente il primo passo di quell' "educazione del consumatore" di cui tanto si parla.
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