mercoledì 29 aprile 2015

Dalla Franconia con furore

Chi legge questo blog sa che, tendenzialmente, io e la Germania non andiamo troppo d'accordo; e non sto parlando del rigorismo austero della Merkel, ma del fatto che preferisco di gran lunga le birre di stile belga o anglosassone. Ho trovato però una piacevole smentita a questo mio pregiudizio allo stand di Weiherer Bier, sempre a santa Lucia di Piave. A presidiarlo era Antonia Conficoni della Compagnia del Fermento, che distribuisce il marchio a Pordenone e dintorni; un marchio che si vanta di portare la più pura tradizione della Franconia, e non a caso lo slogan della campagna marketing italiana è è "semplicemente birra".


Antonia mi ha fatto iniziare con la Keller, descritta come una delle punte di diamante della casa, nonché medaglia d'oro 2011 European Beer Star: una birra dall'aroma intenso che io e il buon Miro - aka Truk Drake - di Accademia delle Birre che mi accompagnava ci siamo trovati a definire scherzosamente "macedonia", tanto erano notevoli i profumi di pera, pesca, banana e frutta in generale. Come prevedibile a fare la parte del leone è quindi il lievito in sospensione, che dona un sentore fresco di crosta di pane anche al corpo. In tutto e per tutto una birra assai originale per il genere, fresca e piacevole, che ha sfidato con successo la mia tradizionale diffidenza.

Un po' meno mi ha entusiasmata la seconda birra proposta, la Bock - medaglia di bronzo allo stesso concorso: aromi dolci di malto ben percepibili che trovano il loro corrispettivo al palato, con un lieve tostato in chiusura. Non ho invece percepito un granché le "note fruttate di luppolo" di cui la scheda parlava: mea culpa, forse, ma è così. Intendiamoci, è una buona birra, però non mi ha colpita.

Interessante ho trovato invece la Urstoffla, una rossa da agricoltura biologica prodotta secondo l'editto di purezza del 1516: curiose le note dolci all'aroma, quasi di caramella mou, che virano poi verso la frutta secca al palato per chiudere con una luppolatura leggera e fresca. Una birra che "evolve", si direbbe, passando dal dolce netto all'amaro leggero.

Da ultima ho tenuto la Rauch, visto che è difficile assaggiare qualcosa dopo un'affumicata; ma si tratta in questo caso di un'affumicato del tutto equilibrato, che non va a pregiudicare né i sentori di frutta secca né il luppolo in chiusura. D'altronde, se le Rauch non le sanno fare in Franconia - è infatti la birra tipica di Bamberga e dintorni -, chi altro dovrebbe saperle fare?

martedì 28 aprile 2015

La ninna nanna del chicco di caffè

Eh già, il titolo è per intenditori; ma non ho potuto non pensare a questa vecchia canzone delo Zecchino d'oro (lo ammetto: sono cresciuta a pane e Antoniano di Bologna, senza comunque tralasciare Battisti, De André, Vivaldi e Cajkovskij senza soluzione di continuità) quando, alla fiera di Santa Lucia, mi sono trovata davanti alla spina della Black Lullaby del birrificio Retorto: "Ninna nanna nera" - nera appunto come il caffè -, per cui l'associazione è stata spontanea.


Ammetto che ero curiosa di provare le loro birre, in particolare questa e la Daughter of Autumn, dati i i riconoscimenti ottenuti - entrambe primi premi nel 2014 nelle rispettive categorie al Campionato italiano birre artigianali dell'Associazione degustatori birra, e la Daughter of Autumn anche per Unionbirrai nella categoria strong ale angloamericane -; e appunto dalla Black Lullaby ho cominciato, per quanto a rigor di logica avrei dovuto fare il contrario.

Trattasi infatti di una belgian strong ale scura, come il nome stesso suggerisce; e che il buon birraio mi ha anticipato avere una forte base maltata con l'aggiunta di avena e fave di cacao, nonché vaniglia sia in bollitura che a freddo. Insomma, c'era di che incuriosirsi. Per quanto il tostato dell'aroma non sia più intenso che in altre birre, e la vaniglia sia sì percepibile ma comunque discreta, al primo sorso il palato viene letteralmente invaso da un tostato tanto forte da risultare amaro e perfettamente amalgamato col cacao, con una punta di acido da malto - che personalmente ho colto anche all'aroma; per poi virare verso la cremosità dolce della vaniglia, e chiudere con un amaro - sempre da malto tostato - assai netto. Devo dire che l'ho apprezzata molto a livello di gusti personali; certo non è una birra semplice - data anche la gradazione alcolica elevata, ben otto gradi - né nei canoni, e i fanatici dell'editto di purezza avrebbero di che ridire: ma se proprio bisogna sperimentare almeno facciamolo bene, e per quanto mi riguarda Retorto ci è riuscito, facendo una birra che si fa amare nonostante la complessità.

Dopo cotanta roba - passatemi l'espressione -, persino una scotch ale sembra delicata: e infatti nella Daughter of Atumn, dagli aromi caramellati, ho trovato un corpo caldo e decisamente morbido per il genere, in cui il malto torbato si fa sentire in maniera discreta e tutt'altro che invasiva, per chiudere con un sentore alcolico e quasi di whisky nel finale. Buono anche l'equilibrio tra il dolce e l'amaro nella persistenza, che quasi "giocano" a chi ha la meglio.

Il prossimo passo in casa Retorto, per quanto mi riguarda, potrebbe essere il barley wine Malalingua, o la sua versione barricata Malanima - invecchiata nove mesi in botti di vinsanto avute da un produttore locale: arrivederci su questi schermi...

giovedì 23 aprile 2015

I vecchi amici...e uno nuovo

Data la presenza del birrificio Acelum a Santa Lucia, non potevo non togliermi la curiosità di assaggiare la loro Bela Lugosi, una dark Ipa che si è aggiudicata il secondo gradino del podio per la categoria al concorso "Birra dell'anno" di Unionbirrai. Già l'aroma, dai toni erbacei particolarmente intensi ad acri - con anche una punta di caffè data dai malti - lasciano presagire che si tratti di qualcosa per palati forti; soprattutto per quanto riguarda l'amaro, grazie al connubio tra quello dato dai malti nel corpo ben pieno in cui dominano i sapori di caffè e di tostato, e quello del finale, data la luppolatura da amaro particolarmente decisa. Indubbiamente una birra che si fa ricordare per la sua intensità sotto tutti i profili, e che ho trovato discretamente dissetante a dispetto dei sapori forti e del grado alcolico importante. Ad incuriosirmi è stata anche la Sour Germana (ha-ha-ha....), una berliner weisse servita con sciroppo di lampone agguinto al momento. L'ho provata prima al naturale, e devo ammettere che, essendo particolarmente delicata per il suo genere, l'ho apprezzata di più così: l'acidità non è affatto invasiva nel corpo e si fa sentire di più, ma sempre con discrezione, nel finale, lasciando un sentore di "pulito" che non è affatto sgradevole. Insomma, se proprio siete dei neofiti delle berliner weisse, partite da questa, e poi si andrà in crescendo.

Altri amici che ho rivisto con piacere sono stati quelli del Benaco 70, di cui a Rimini avevo apprezzato soprattutto la Honey Ale (leggi qui): e anche questa volta hanno confermato di saper brassare bene con la loro Porter - a cui ha reso giustizia anche la spillatura a pompa -. In realtà la si direbbe quasi una stout, perché il corpo ben pieno con note intense di caffè e cioccolato ricorda la versione più forte - stout, appunto - delle porter; ma il grado alcolico è comunque contenuto (4,5) e la beva discretamente facile, per cui non andiamo a cercare il pelo nell'uovo sulle questioni di stile. Notevole anche il finale amaro, di buona persistenza.

Ho poi ritrovato il Bradipongo, che mi ha questa volta proposto la loro Saison: un'ambrata che è una vera girandola di spezie, con il coriandolo che spicca nell'aroma, e il pepe sia rosa che nero che dà un pizzicorino al palato nel finale, in contrappunto curioso con la camomilla che invece dona un tono delicato al corpo. Complessa ma equilibrata, e anche questa piacevolmente fresca.

Altra vecchia conoscenza è il birrificio di Quero, di cui ho provato la weisse scura Stein Ziegen: il corpo ben pieno di cereale, in cui il malto si fa sentire con toni discretamente dolci, la rende forse meno rinfrescante della sua parente classica - con cui ha comunque in comune l'arome di banana dato dal lievito; vi troveranno però soddisfazione gli amanti dei sapori più forti e non troppo dolci, dato che la luppolatura spicca molto meno che nelle weizen chiare.

Nuovo amico conosciuto a Santa Lucia è invece il birrificio di Fiemme. Veramente mi era stata magnificata la Nòsa, una ale ambrata brassata secondo un'antica ricetta utilizzata nella valle, che però non mi ha particolarmente colpita in quanto non ho trovato corrispondenza tra i toni particolarmente forti sia sul fronte dei malti tostati che su quello dell'amaro del luppolo che venivano descritti nella scheda; assai di più ho invece apprezzato la Lupinus, anche questa una ale ambrata, aromatizzata con una particolare varietà di lupino coltivata d Anterivo - detta "caffè di anterivo" - che dona un peculiare sapore di nocciola - ancor più che di caffè. Certo una particolarità, e i cultori della "purezza" apprezzeranno sicuramente di più la Nòsa: ma che vi devo dire, a me il caffè di Anterivo è proprio piaciuto...

mercoledì 22 aprile 2015

#iostocolratto

No, non è una nuova campagna animalista in favore dei roditori, ma lo sogan del birrificio Rattabrew di Lendinara: nome scelto ironicamente perché "di tipico in Polesine ci sono i ratti", come scherza il mastro birraio Mirko Borghesan, anche lui conosciuto a Santa Lucia di Piave. Un amore per la birra, il suo, che è partito da una Westvleteren 12 tappo oro, è passato per una cotta pubblica del birrificio Mastino - di cui ho parlato in questo post - che gli ha poi ceduto il proprio impianto, e si è concretizzato nel 2013 con la nascita del birrificio.

Caratteristica delle birre Rattabrew è quella di avere tutte nomi femminili, ciascuno con la sua storia: dalla Joska la Rossa, una belgian red ale ispirata al noto canto degli alpini; alla Ottavina, una german helles che ha preso il nome dal "matto del villaggio" Ottavio; alla Marilyn, una light Ipa, a tutti gli affetti una "bionda americana"; fino alla più irriverente Bernarda, una fruit sour con albicocche, chiamata a quel modo perché "è così che dalle nostre parti vengono soprannominati i genitali femminili", ha riferito la ragazza al banco. Unica eccezione la Bluff, una belgian golden strog ale, perché - mascherando bene i suoi 8 gradi alcolici - "come tutte le donne, inganna". Nota di merito anche in questo caso alle etichette, conuna grafica che "assegna" a ciascuna birra una fiugura distintiva: le labbra per la Marilyn, le carte da gioco per la Bluff, e via discorrendo.

Ho provato per prima la Jessie White - che prende il nome dalla moglie di Alberto Mario, importante figura del Risorgimento italiano citata da Carducci -, una belgian wit: già all'aroma, ai tipici toni di frumento ed erbacei, si nota lo speziato del pepe rosa che caratterizza questa birra; e che ritorna in forze nel finale, dopo aver lasciato spazio nel corpo ai sapori di buccia d'arancia dolce - altra peculiare aggiunta. Una birra assai gradevole e rinfrescante, che ha il merito di saper equilibrare bene lo speziato del pepe per renderlo un "fattore dissentante" - invece che far tossire il povero malcapitato che beve un sorso.

Mi aveva poi incuriosita la Francesca, una blanche all'ibisco e rosa canina, il cui nome è ispirato al celebre verso del sesto canto dell'inferno di Dante - protagonisti appunto Paolo e Francesca - "amor ch'al cor gentil ratto s'apprende" (quando si dice che la letteratura incontra l'ironia...). A spiccare è soprattutto l'ibisco, sia all'aroma che al palato; tanto da sovrastare - soprattutto nel corpo, in cui si fa sentore bene anche la rosa canina - la birra di partenza, almeno a mio parere. Anche questa comunque molto gradevole e dissetante grazie al connubio tra i due fiori, adatta alle giornate estive, e indubbiamente assai originale.

Non ho poi potuto resistere alla tentazione di assaggiare una loro birra sperimentale che ancora non commercializzano in bottiglia, e che è stata per ora battezzata "Experimental grappa": una belgian brune maturata in botti di grappa per otto mesi, in cui sia i profumi che i sapori "alcolici" - definiamoli così - della grappa sono ben evidenti, e che lascia una persistenza lunga e calda. Una birra da bere in una fredda serata d'inverno, davanti al fuoco, come fosse un barley wine - anche la carbonatazione è praticamente assente: sempre che vi piaccia la grappa, beninteso, nel qual caso diventerà uana delle vostre birre preferite...

martedì 21 aprile 2015

Una birra "di famiglia"

No, non nel senso che a farla sono due o più fratelli; ma nel senso che a ispirare il nome del birrificio, "Tempesta", è stato quello della nobile famiglia veneziana che possedeva la Rocca di Noale: cittadina in cui ha sede il ristopub "Il cortivo" da cui nel 2010 è nato anche il birrificio, su iniziativa di Claudio Pigozzo e Pierluigi Ceola. Tecnicamente si tratta di un beerfirm, ma mi sento di consigliare di superare i pregiudizi: sarà perché si affidano ad un birrificio di provata esperienza come l'Acelum, sarà perché i nostri ragazzi sanno fare (e testare) bene le ricette, il risultato finale è di tutto rispetto.


Anche loro sono una conoscenza fatta a Santa Lucia di Piave, dove i due ragazzotti mi hanno accolta con la massima simpatia. Mi hanno così raccontato come tutto sia partito nel 2010 da una strong ale speziata al miele di tiglio e pensata come birra di Natale - battezzata "La Rocca", in onore ai trascorsi storici del luogo -: che però ha avuto tra gli amici e al pub un successo tale non solo da essere mantenuta oltre le feste, ma anche da spingere i due giovani su questa strada. Sono così seguite la bitter "Secca" e la pale ale "Ultra", la Ipa "Nemesi" e la stout affumicata "La Nera". Il tutto in un rigoroso stile inglese - pur con qualche reinterpretazione -, dalla bassa carbonatazione e preferibilmente spillate a pompa.

Non potendole assaggiare tutte di botto ho chiesto quale fosse, a loro giudizio, il pezzo forte della casa: la Secca, "ma assaggiala domani, perché oggi abbiamo un problema tecnico e non possiamo spillartela a pompa". L'attesa ha pagato: per quanto le bitter non siano il mio genere devo ammettere che questa mi ha colpita, con una luppolatura tanto generosa e agrumata - con qualche nota di frutta tropicale - da far pensare ad una Ipa, che fa da contrappunto ad un corpo leggero - ma non annacquato - e dissetante che chiude con un amaro netto e secco in onore al nome. A una birra così indubbiamente la spina non avrebbe reso giustizia, perché la bassa carbonatazione consente di apprezzare al meglio i vari aromi e sapori. Nota di merito anche a chi l'ha spillata, che ha saputo mettermi davanti un cappello di schiuma ben spesso, fine e persistente.

Naturalmente però il giorno precedente i ragazzi del Tempesta non mi avevano lasciata a bocca asciutta, prononendomi la Nemesi: una Ipa rispettosa dell'antico stile inglese, più delicata e amara in quanto a luppolatura rispetto a quelle oggi in voga, risultando assai più equilibrata della media dello stile. Interessanti anche le note resinose che si percepiscono appena nel corpo, e una punta speziata in chiusura.

Ultima nota di merito alle etichette: delle vere opere d'arte, realizzate da Monica Stievano. Se anche l'occhio vuole la sua parte...

lunedì 20 aprile 2015

Tra Palazzolo sull'Oglio, Belgio e...Lapponia

 Altra conoscenza fatta a Santa Lucia di Piave è il Palabrauhaus - Phb per gli amici -, birrificio di Palazzolo sull'Oglio (Brescia) con annesso brewpub. A capitanare lo stand era il buon Nicola Vitali, birraio e biersommelier - o cervisier, gli appellativi si sprecano - che si è formato alla Doemens Akademie di Monaco. Scuola tedesca, dunque: dalla helles First Lady, alla weizen President, alla bock Drulù, alla dunkles bayrisch ("bavarese scura", per i non germanofoni) backstage.

Particolarità in questo panorama è la Lapponia, una berliner weisse - birra di frumento originaria del berlinese, a cui i lactobacilli e i brett usati in fermentazione conferiscono un'acidità molto spiccata - con aggiunta di sciroppo di lampone: quello di aggiungere sciroppi (quello classico è l'asperula) è infatti un escamotage utilizzato tradizionalmente per rendere di più facile beva "la più acida tra le acide", e lo si fa di solito direttamente nel bicchiere dopo averla spillata. Qui, trattandosi di una bottiglia, per forza di cose lo sciroppo è stato aggunto in precedenza: e in quantità discretamente generosa - notare il colore ben carico -, dato che il profumo di lampone sovrasta nettamente gli altri aromi e anche nel corpo predomina allo stesso modo, dando quasi l'impressione di bere un succo di frutta a dispetto dei quasi 5 gradi alcolici. La sorpresa arriva dopo, quando compare una persistenza acidula in cui si distinguono anche le note di frumento: quasi a ricordare che rimane comunque una birra, e che se volevate il succo di frutta c'è la Zuegg che serve benissimo allo scopo.

Non mancano comunque altri stili, dalla Ipa Stephen, alla Belgian Golden Ale Fiandra: una birra in pieno stile fiammingo che trova la sua originalità nell'uso dell'anice stellato, che va a controbilanciare con freschezza il corpo caldo e ben maltato, e si fa notare anche all'aroma donando un sentore speziato a quello tipico di frutta secca e crosta di pane delle belghe. Giusto per aggiungere una nota di colore, va detto che ho avuto l'onore di assaggiare quest'ultima birra insieme a Lorenzo Dabove, meglio noto come Kuaska, a Santa Lucia per tenere una conferenza e un laboratorio: per un attimo, insomma, ho avuto l'impressione di capirci anch'io qualcosa di birra essendo in contanta compagnia...

venerdì 17 aprile 2015

Sour beer e pomelo, quando si dice....l'acido

Proseguendo con la carrellata delle vecchie conoscenze ritrovate a Santa Lucia, arriviamo al birrificio Pentra, che avevo descritto in questo post: anche qui ottimi ricordi soprattutto della Pantanai Piistiai, la birra al mosto d'uva falanghina. Questa volta gli amici del Pentra mi hanno proposto la loro ultima novità battezzata Sour Beer, "birra acida": una birra che hanno ammesso essere nata praticamente per sbaglio, da una cotta infettata, ma che sono riusciti poi a "salvare" per questa creazione dal peculiare retrogusto agrumato che la rende particolarmente adatta a "ripulire" la bocca da sapori forti - tanto che uno dei nomi proposti era "reset". Intendiamoci, è da bere con la coscienza che non stiamo parlando di un lambic, ma di una birra sui generis: però devo ammettere che, se è per rinfrescare e "sgrassare" specie in abbinamento con cibi corposi, serve allo scopo. A livello di gusti personali ho però apprezzato di più l'altra loro novità, la Herenta - dal nome della dea del raccolto -, una golden ale dalle calde note di mandorla al palato: indubbiamente molto "ruffiana", come alcuni amano definire le birre che catturano e si fanno bere con facilità, e che va nel senso della volontà espressa dai birrai del Pentra di avere anche una linea meno "sperimentale" che vada incontro ai gusti di una platea più allargata.

Altra vecchia conoscenza ritrovata è stato L'Inconsueto, che avevo peraltro visto l'ultima volta il mese scorso a Milano per Fa' la cosa giusta. In quell'occasione il birraio Valentino mi aveva fatto assaggiare la birra alla cannella e quella al miele: due ale dall'aromatizzazione assai decisa in entrambi i casi, che personalmente avevo trovato quasi eccessiva nel caso di quella alla cannella - mentre in quella al miele, pur rimanendo forte e dolce, il connubio con i malti era ben giocato. Questa volta ho quindi provato quella al pomelo: agrume che direi indovinato per aromatizzare questa ale chiara e delicata, rimanendo quasi impercettibile inizialmente nel corpo - dopo essersi fatto sentire all'aroma -, ma che ritorna poi con una persistenza fresca.

Ultima nota godereccia in chiusura: il Bad Guy, di cui avevo parlato in questo post, oltre a due birre per me nuove - la porter natalizia "Alice sotto terra", e la stout "Notte Imbecille" - ha portato i brownies alla Foxy Lady, la loro California Common Beer. Credo mi abbiano odiata per quanti glie ne ho mangiati, ma spero la pasticcera l'abbia preso come un complimento: del resto, gli ingredienti esposti in bella vista erano un invito a chiedere una bottiglia, la ricetta e provare a rifarli...