Nei giorni scorsi sia Il Sole 24 Ore che poi Cronache di Birra - articoli che invito a leggere per avere un quadro più completo della situazione - hanno dato notizia dell'annuncio dell'apertura di una malteria in provincia di Rovigo, la cui operatività è prevista per il 2023. Chiaramente una notizia importante per il comparto brassicolo italiano, dato che la scarsità di malterie presenti sul territorio nazionale ha sempre reso necessario, o comunque più conveniente (specie nel Nord Italia) andare all'estero a maltare il proprio orzo.
Al netto di quanto già spiegato negli articoli, aggiungo alcune considerazioni. Da quanto ho visto confrontandomi con i birrifici - e parlo qui di quelli agricoli, che utilizzano il malto del proprio orzo e quindi hanno necessità di una malteria - in questi ultimi anni si sono viste due tendenze di segno in qualche misura opposto: da un lato, per chi si reca in Austria e Germania presso le grandi malterie (e preciso quindi che sto parlando perlopiù di birrifici appunto del Nord), è venuto progressivamente riducendosi il problema di non raggiungere il lotto minimo: verosimilmente perché le malterie si sono organizzate per rispondere ad una domanda in crescita da parte delle piccole realtà, accogliendo anche lotti più piccoli rispetto a quelli dei grandi produttori. Naturalmente qui si inserisce la questione cruciale della tracciabilità, che viene richiesta in sempre più casi (per chi non fosse avvezzo alla questione: se consegno X quintali di orzo e ne ricevo indietro Y di malto, voglio essere certo che quello sia malto del mio orzo, e non di altri perché è stato mischiato con ulteriori forniture per raggiungere la capienza della struttura di maltazione).
Dall'altro, è cresciuta la domanda e la sensibilità per una filiera interamente italiana. Non solo quindi le uniche due grandi malterie del Sud, ma anche le piccole realtà (penso ad esempio al Cobi, o finanche a piccole malterie sperimentali) sono diventate un'alternativa valida non solo per chi ha appunto produzioni minime, ma anche per chi pur potendosi potenzialmente recare altrove vuole rimanere all'interno dei confini nazionali. Fino a casi come quello del Birrificio Contadino Cascina Motta di Sale (Alessandria), che racchiude in sé l'intera filiera, maltazione compresa, per tutte le materie prime (primo e unico caso ad oggi in Italia tra gli artigianali). Aggiungiamoci poi che anche i birrifici non agricoli, nel comprare il malto, manifestano interesse verso quello lavorato in Italia - e non è un caso che il tema della filiera italiana sia uno di quelli al centro dell'azione di Unionbirrai.
Detto ciò, è evidente che rimane da capire quali prospettive possono effettivamente aprirsi per i birrifici artigianali - dato che, almeno in una prima fase, saranno i grandi birrifici industriali i primi clienti. In altri termini, bisognerà vedere fino a che punto la malteria intenderà aprirsi alle richieste di una clientela che, ad ora, rappresenta poco più del 4% (secondo le stime di Unionbirrai) della produzione birraria nazionale: e quindi il fatto di accettare piccoli lotti dagli agribirrifici, a quali condizioni economiche e logistiche, e l'eventuale garanzia di tracciabilità anche su questi (questione apertamente affrontata da Teo Musso nel presentare il progetto della malteria). Agli agribirrifici bisogna poi naturalmente aggiungere tutti quei birrifici artigianali interessati ad acquistare orzo italiano, e la malteria potrebbe quindi diventare anello di congiunzione tra coltivatori e birrai - tanto più in una zona d'Italia che abbonda sia degli uni che degli altri.
È lecito credere che la nuova malteria non solo si porrà come fornitore anche dei birrifici artigianali (come è ovvio che sia) ma che che anche accoglierà almeno in qualche misura le loro istanze, visto che il peso a livello di immagine del settore birrario artigianale italiano è ben superiore a quello della sua produzione in termini quantitativi. Ad ogni modo, questo progetto industriale ha le potenzialità pèer dare una svolta al futuro della birra italiana.
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