giovedì 8 aprile 2021

La Grape Ale e la battaglia per rimanere Italian: i campanilismi del vino stanno entrando nella birra?

Sta tenendo banco online in questi giorni il dibattito sulla possibilità, resa nota da Gianriccardo Corbo - noto degustatore e giudice diplomato BJCP italiano - che nelle prossime linee guida appunto del BJCP (le ultime risalgono al 2015) non ci sia la tanto attesa "promozione" della Italian Grape Ale (IGA per gli amici) dall'appendice B degli stili locali alla sezione principale: ad entrare tra gli stili ufficiali potrebbe infatti essere una più generica "Grape Ale", senza riferimenti al Paese d'origine. La possibilità è stata giustificata, riferisce sempre Corbo, con il fatto che alcuni Paesi diversi dall'Italia in cui vengono prodotte birre con mosto d'uva hanno chiesto che venisse eliminato il riferimento esclusivo al nostro Paese, così da rimanere neutro a fronte di vitigni provenienti anche da altre parti del mondo.


La motivazione è immediatamente apparsa assurda nell'ambiente birrario: in tutta la classificazione del BJCP gli aggettivi di provenienza legati ad un certo stile non stanno infatti ad indicare il Paese in cui questo viene attualmente prodotto (dato che qualunque stile viene ormai prodotto ovunque), né quello da cui provengono le materie prime (ve la immaginate una Belgian Pale Ale fatta sempre e solo con malto e luppolo belgi?), ma quello in cui lo stile si è originato. Non si vede dunque perché in questo caso l'approccio dovrebbe essere contrario, arrecando notevole pregiudizio al movimento birrario italiano che ha creato questo stile riconosciuto in tutto il mondo: e per questo lo stesso Corbo, oltre ad essersi attivato nei confronti del BJCP, ha promosso una petizione online che trovate a questo link per la firma.

Posta quindi l'evidente incongruenza, rimane da chiedersi: perché? È "solo" una questione di, diciamo così, scarso potere contrattuale (essenzialmente per ragioni storiche) dei birrai italiani, rispetto a coloro - cechi, belgi, irlandesi, americani, britannici - che vantano una tradizione più lunga? O c'è dell'altro?

Non faccio parte del board del BJCP, e quindi non posso sapere quali considerazioni siano effettivamente state avanzate né eventuali retroscena; però, da persona nata e cresciuta tra le colline del Prosecco, dove si combatte a suon di denominazioni d'origine e si litiga su nomi, luoghi e certificazioni da tempi immemorabili, e dove bastano pochi metri di distanza nella collocazione per dire che un terreno corrisponde ai criteri per produrvi Prosecco Docg oppure no, simili rivendicazioni (pur con i distinguo del caso) non suonano nuove. Appena c'è andato di mezzo il vino - o meglio, il mosto - pare che anche per la birra le cose abbiano preso la stessa piega: là dove prima contava l'origine dello stile (anche in tempi come quelli attuali dove le materie prime locali hanno assunto primaria importanza), ora conta quella dell'elemento caratterizzante, che sottostà appunto a logiche e certificazioni diverse; nonché ai ben noti campanilismi e cavilli che coinvolgono i vari vitigni.

Credo quindi che la domanda da porsi, senza voler stimolare inutili antagonismi tra birra e vino che certo non hanno bisogno di essere rintuzzati (tantomeno ora che sono nate significative e promettenti sinergie tra le due bevande), sia quella se vogliamo ricadere nelle stesse logiche, riconoscendo al vino di avere il diritto di pretendere l'eccezione; o viceversa rivendicare che di birra in ogni caso si tratta, e come tale classificarla rendendo giustizia alla storia dello stile.

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