Qualcuno di voi forse ricorderà della mia partecipazione, in qualità di addetta stampa, ai tour italiani del birrificio artigianale irlandese The White Hag organizzati dall'importatore Beergate; e di come in tali occasioni avessi avuto modo di entrare in contatto con il birraio, l'americano Joseph Kearns, trasferitosi nell'Isola di Smeraldo sette anni fa chiamato per dar vita al birrificio. E pare lo avesse fatto pure bene, dato il successo delle birre e i numerosi premi vinti.
Eppure, come lo stesso birrificio ha ufficializzato tramite la propria pagina Facebook, il birraio ha rassegnato le dimissioni in seguito ad una controversa storia nata sui social poco più di un mese fa. Joe aveva infatti postato, sul proprio account Instagram personale, una foto della Statua della Libertà in lacrime; facendo riferimento al fatto che c'era da aspettarsi un "ritorno alla guerra, meno libertà civili, più tasse, meno lavoro, ho già detto guerra? Ancora la stessa m***a che abbiamo da decenni". Un riferimento, mi ha spiegato quando l'ho contattato chiedendogli chiarimenti, non tanto alla vittoria di Biden su Trump in quanto tale; quanto al fatto che, considerando anche gli altri deputati e senatori eletti, riteneva che ci fossero molti politici inclini prima di tutto ad una politica estera aggressiva, oltre che a tutte le altre cose citate (Joe peraltro non si identifica né come repubblicano né come democratico).Al netto dei toni infelici, il problema è stato che questo post è stato poi diffuso (nella fattispecie da un distributore del birrificio: verrebbe da chiedersi se avesse qualche interesse a farlo, visto che a pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina) taggando anche il birrificio stesso; cosa a cui è seguita una valanga di post offensivi, in cui non solo si dava del fascista, dell'omofobo e finanche del seguace di QAnon al birraio (i post sono ancora lì, si possono vedere) ma soprattutto si minacciava di non acquistare più le birre. Un danno d'immagine tale da spingere birrificio e birraio ad adottare questa soluzione, vista come "obbligata".
Ora Joe intende tornare nella sua città d'origine, in Ohio: sia per tornare "a casa", dice, che per ricostruirsi una carriera in Paese diverso da quello in cui la sua reputazione risulta compromessa. E in tempi di pandemia non è facile né tornare a casa - i voli sono pochi e a costi proibitivi, tanto che il birraio afferma di aver avuto bisogno di chiedere aiuto economico ad amici e parenti per organizzare il trasloco per lui, moglie e figli - né pensare, appunto, ad una carriera futura.
Al di là di ciò che ciascuno possa pensare dei contenuti del post di Joe, una cosa appare tuttavia evidente: questa cosa del riversare ogni nostra più becera pulsione su web sta veramente sfuggendo di mano. Perché che una persona debba perdere il lavoro nell'azienda che ha praticamente costruito, birraio o altro che sia, in un modo del genere, è francamente disdicevole. Perché quand'anche volessimo considerare effettivamente offensivi e suscettibili di danneggiare l'immagine del birrificio i post del birraio, la cosa andava risolta tra lui e il resto dell'azienda com'era giusto che fosse, non certo al tribunale dei leoni da tastiera.
Che dire: non posso che augurare comunque a Joe il meglio per il suo futuro, dato il suo curriculum di tutto rispetto e le indubbie capacità brassicole. Certo diventa urgente fare una riflessione su quale sia il peso, quantomai reale, dei nostri commenti virtuali.
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