Il dibattito sui canali di approvvigionamento delle materie prime per i piccoli birrifici - luppolo in particolare - e su come la grande industria ossa influenzarli non è certo nuovo: chi bazzica nel settore ha certo sentito più volte i birrai parlare della necessità di procacciarsi i luppoli per tempo (almeno alcune varietà), di come il buono o cattivo raccolto - così come l'aumentare del numero di microbirrifici - influenzi prezzi e forniture, e via dicendo.
Il tema è ritornato di attualità recentemente, sollevato in più occasioni da associazioni come Unionbirrai e siti come Cronache di Birra, e da diversi articoli provenienti dal mondo anglosassone. L'ultimo in ordine di tempo è quello pubblicato lo scorso 10 maggio da Draft, senz'altro una buona lettura da fare in integrale cliccando qui: detta per sommissimi capi (e mi perdonerà l'autore se semplifico fin troppo), si fa riferiemento a come AB-InBev - che controlla dal punto di vista societario i luppoleti sudafricani SAB Hop Farms - abbia deciso quest'anno di non vendere ai distributori il proprio surplus produttivo, motivando la cosa con la scarsità dell'annata. Il che significa che i birrifici indipendenti non avranno accesso per il 2017 a queste varietà di luppolo, con conseguenti difficoltà. Certo il danno è relativamente circoscritto, in quanto il luppolo sudafricano rappresenta una quota minoritaria del mercato (meno dell'1%, secondo la multinazionale); ma la cosa ha una forte valenza simbolica, perché pare concretizzarsi ciò che da tempo si paventava: la nuova strategia di "big beer", complementare all'acquisizione di marchi artigianali, sarà quella di assumere il controllo delle forniture di materie prime e "prendere per fame" i concorrenti.
Certo immaginare un futuro in cui Ab Inbev e analoghi si impadroniscano passo dopo passo di tutti i luppoleti e tutte le malterie rimane (almeno per ora, di grazia) relegato al rango di fantaeconomia; però la questione è reale, perché gli assalti all'arma bianca per procurarsi i pochi lotti di luppolo disponibili (almeno per alcune varietà) potrebbero non essere altrettanto "fanta" (no, non la bibita).
Leggendo questo ed altri articoli non ho potuto non sorridere pensando all'enfasi che da tempo si pone sugli agribirrifici, sulla produzione in proprio di materie prime, e sul percorso verso una sempre maggiore autosufficenza: cito su tutti il caso del birrificio BioNoc' con i progetti BioLupo e Birre della Terra di cui ho parlato nel precedente post, ma non è certo l'unico. Dai luppoleti sperimentali, all'impegno per poter acquisire a livello nazionale quote per la coltivazione così da farli uscire da questo rango, alle piccole malterie sperimentali che già sono nate e che sono in progetto, il filone è in pieno movimento. Certo arrivare davvero alla completa "autarchia" non è semplice, però c'è chi ci sta provando.
Chi si sarà mosso per tempo per fare da sé potrà quindi godere di un vantaggio competitivo in vista di una possibile stretta sulle forniture da parte delle multinazionali, ed imporsi di conseguenza su chi non l'avrà fatto? E' presto per dirlo, ma la domanda è aperta.
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