
Per tutti i dati nel dettaglio vi rimando a questo link; personalmente, dato che noi giornalisti abbiamo manie di protagonismo e il terribile vizio di voler dire sempre la nostra su tutto, mi limito ad alcune considerazioni.
Innanzitutto ridimensionerei la critica che da alcuni era stata rivolta a questo studio, ossia il fatto di sentenziare che il settore è saturo - dato che i consumi, come già il report di Assobirra ha evidenziato, sono stabili da anni e anche la produzione non è aumentata in maniera significativa - senza però andare ad indagare quanto i birrifici artigianali, più che decuplicati negli ultimi dieci anni, abbiano "eroso" la quota di mercato delle birre industriali: al di là del fatto che nessuna delle ricerche che mi sia capitato di vedere dispone di dati disaggregati in questo senso, semplicemente non era questo lo scopo dichiarato dello studio. Certo è ipotizzabile che l'erosione ci sia stata - sempre secondo i dati di Assobirra, un colosso "simbolo" come la Heineken negli ultimi tempi è andata avanti al ritmo di -1% annuo, mentre nei birrifici artigianali si susseguono le nuove aperture -, ma l'obiettivo dell'indagine era vdere se, quali che siano le quote di mercato, il settore è in salute. E qui escono alcuni punti a mio avviso interessanti.

In secondo luogo, sembrano essere svantaggiati in quato a ritorno sull'investimento: se per ogni 100 euro investiti da un grande birrificio nel ritornano 17,35, e per un piccolo addirittura 24,32 - cosa spiegata con il fatto che il capitale alla base è relativamente basso - per i medi siamo ad appena 13,20. Verrebbe da pensare che la ragione stia nel fatto che alcuni investimenti "di peso", come impianti di una certa dimensione, siano comunque necessari; ma la produzione non è ancora tale da permettere di far rendere al meglio questi investimenti. Stesso dicasi per il Margine operativo lordo (ossia il guadagno tolti i costi della produzione, prima delle tasse): 24 per i grandi, 18,11 per i medi, e 23,37 per i piccoli.
Un discriminante parrebbe essere i costi del personale: un medio birrificio avrà pure i dipendenti che si contano sulle dita di una mano, ma ce li ha (cinque in media, secondo lo studio), mentre il piccolo di solito vede all'opera solo il birraio e uno o due collaboratori. E lo studio evidenzia come i costi del personale in rapporto alla produzione siano sostanzialmente uguali per grandi e medi birrifici, e significativamente più contenuti per i piccoli.
Non sono un'economista, ma la mia impressione da questi dati è che anche nel mondo della birra artigianale ci sia non solo un'intuibile "soglia critica di dimensione" verso l'alto - in altre parole: essere sufficientemente grandi da fare quell'economia di scala e quegli utili che servono ad andare avanti e possibilmente a crescere - ma anche verso il basso - ossia essere sufficientemente piccolo da "cavarsela in qualche modo": del resto un birraio mi ha recentemente ricordato come per molti "microbirrai" questo sia sostanzialmennte un secondo lavoro e quindi quando si è andati in pari tutto il resto è grasso, pardon birra, che cola, andando però in questo modo a "drogare" il mercato. E questa credo sia una considerazione importante in un momento in cui sento sempre più birrai dire che vogliono "fare il passo", acquistare l'impianto nuovo ed espandere la produzione a fronte delle richieste - fortunatamente - aumentate: perché potrebbe essere sì un passo importante, ma molto lungo, in alcuni casi forse più lungo della gamba.
Forse mi sbaglio, e indubbiamente non è corretto nemmeno generalizzare - sono certa che molti dei birrai che leggono potrebbero farmi esempi che confutano tutto ciò -, ma il fatto che una riflessione si imponga rimane. E se questi dati, pur parziali - avendo coinvolto solo un ristretto campione di aziende, e tenendo in considerazione solo alcuni parametri - serviranno a farla, ben venga.
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