venerdì 16 dicembre 2016

Birra artigianale, del doman non v'è certezza?

E' uscito questa mattina - 16 dicembre - su La Tribuna di Treviso un articolo, a firma di Federico Cipolla, che fa il punto sul panorama della birra artigianale in provincia di Treviso; e in particolar modo sui passi fatti dalla categoria dei birrai al'interno di Confartigianato, dando voce al presidente regionale Ivan Borsato - che già avevo interpellato in questo post sia a proposito della costituzione dell'associazione, che della proposta di legge regionale avanzata per la tutela della birra artigianale.


Al di là dei contenuti dell'articolo, ad attirare la mia attenzione è stato il sommario: Da Camalò la previsione: "Viviamo gli anni che precedono il boom dei ricavi". Dopo anni in cui si parla di una torta che rimane sempre uguale e che bisogna spartirsi in sempre più persone, e di ricerche che non mostrano dati propriamente confortanti nonostante la vertiginosa crescita del numero di birrifici - o forse proprio a causa di questa vertiginosa crescita -, si tratta quantomeno di una voce fuori dal coro. Certo: da quella di MoBi a quella di Assobirra, sono indagini che sin dalla premessa dichiarano il loro limite di prendere in considerazione soltanto una piccola parte dei birrifici artigianali italiani; e che non rispondono in maniera precisa a quella che è "la" domanda, ossia quale sia la quota di mercato che la birra artigianale sta "erodendo" a quella industriale - Unionbirrai ha stimato per il 2015 una quota di mercato del 3% per la birra artigianale, in crescita del 2,2% dal 2011: se i consumi sono rimasti gli stessi, dovrebbe essere gioco forza calata nella stessa misura la quota di mercato dei birrifici industriali. Però è sensazione diffusa nel settore che non si possa parlare di un futuro tutto rose e fiori, anche senza voler tirare in ballo i numeri.

Dato che nell'articolo non veniva approfondita la ragione di questa affermazione, ho contattato il diretto interessato; chiedendogli quali fossero le ragioni che lo portavano a questa previsione. "Innanzitutto mi preme precisare che, dalle discussioni con i miei colleghi dell'associazione, è uscito che il campione di analisi è troppo esiguo e discontinuo nelle caratteristiche per essere di riferimento - ha affermato -. Quando parlo con loro mi rendo conto che siamo tutti in difficoltà a soddisfare le richieste di produzione, senza birra e di corsa, lavoriamo male perché c'è la voglia di accontentare il cliente spesso a discapito della qualità. E questo non è un bene, sia chiaro".

Torniamo quindi alla sorta di paradosso per cui tutti si scagliano contro i birrifici che spuntano come funghi, però allo stesso tempo - come avevo scritto in un mio precedente post - si pensa ad ingrandirsi perché le richieste dei clienti sono superiori alla propria capacità produttiva? Dove sta l'inghippo nel ragionamento? "Il problema sono quelli che si stanno attrezzando con grandi impianti al posto di seguire un graduale percorso - sostiene Borsato -, gli
speculatori, quelli che vedono l'opportunità di guadagno e fondamentalmente della birra gli interessa ben poco. Se ti fai un impianto da 20 ettolitri e vuoi sopravvivere e pagare il leasing ... devi scendere a compromessi".

Evidentemente non serve essere analisti per capire che è facile essere saturi con un impianto poco più che da homebrewer, altra cosa è il caso di chi - invece di partire con una struttura piccola, per limitare i costi e le eventuali perdite se l'avventura non va a buon fine - ha deciso di fare l'investimento "in crescita" e si trova a doverlo ammortizzare pur non avendo ancora i volumi per mandarlo a regime - e qui si innestano spesso i beerfirm. Entrambe scelte legittime, naturalmente, ma che pongono i produttori davanti ad esigenze diverse che si ripercuotono poi sul loro modo di affrontare il mercato.

E Borsato è tra i fautori convinti di un limite stringente di produzione massima per chi davvero voglia curare la qualità - e qui potremmo discutere a lungo sul significato che vogliamo dare a questa parola - del prodotto finale: "Io vedo la birra artigianale come una piccola iniziativa artigiana, che può crescere ma rimanere entro certi limiti: superati quelli le cose si complicano. Il lavoro deve essere locale, incentrato sul territorio; e poi magari, ma solo in un secondo tempo, guardare al mercato nazionale e all'export. Abbiamo bisogno però di un grande spartiacque, dividere la birra artigianale cattiva, da quella buona e fatta col cuore e con le mani ... il marchio di qualità è una oggettiva medicina".

In altri termini, secondo il birraio di Casa Veccia la saturazione a cui si grida c'è sì, ma solo se si pretende di crescere troppo di corsa; e si dice addirittura convinto che "per chi cresce secondo questa formula la saturazione non arriva mai", perché, anche a fronte dei consumi medi di birra che non accennano a crescere, il potenziale per ampliare la quota di mercato rispetto alla birra industriale c'è. "La gente si spaventa ogni volta che esce qualche dato, ma abbiamo oltre il 90% del mercato su cui espanderci. L'importante è crescere con gradualità. Sarà naturale che la gente tenderà sempre di più a bere artigianale e di qualità, spostandosi dall'industria all'artigianato. Bisogna però trovare il modo di regolamentare le cose, se il marchio di qualità ci servirà per distinguerci e orientare la scelta ben venga. Poi ci inventeremo qualcos'altro: manifestazioni degli associati, corsi di formazione, birroteca regionale,m laboratorio analisi interno, e via discorrendo".

Insomma, una convinzione animata da un lato dalla constatazione empirica che molti birrifici stanno aumentando la produzione - cosa che in effetti diversi birrai di mia conoscenza mi riferiscono - e dall'altro da una passione che stimola a puntare in alto sempre e comunque. Non sono titolare di un birrificio né di un centro studi, però a livello di pura opinione personale mi sembra che la verità stia, come sempre, da qualche parte nel mezzo: se il fiorire dei microbirrifici pone oggettivi problemi di "sovraffollamento" di questo specifico segmento di mercato che non possono essere ignorati - e che credo costituiscano una barriera all'ingresso a nuovi birrifici -, dall'altro non è irragionevole pensare ad un proseguimento nella crescita dei consumi della birra artigianale rispetto a quella industriale. Abbastanza da sostenete oltre mille piccoli produttori? Magari no. Ma qui bisognerà vedere fin dove entrerà effettivamente in gioco lo "spartiacque" di cui parlava Borsato.

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