In questi giorni si sono letti in rete moltissimi commenti riguardo all'approvazione definitiva del ddl che contiene la definizione legislativa di birra artigianale; non mi dilungo ora su pregi e difetti di questo testo - ho comunque lanciato la mia personale indagine tra alcuni produttori, di cui darò conto, e devo dire che ci sono anche alcune opinioni che vanno al di là di quanto già detto e osservato, per cui ci sarà ancora di che discutere. Meno si è invece parlato del fatto che c'è una Regione, il Veneto, in cui per iniziativa di alcuni consiglieri regionali è stata depositata una proposta di legge per l'istituzione del marchio dei prodotti e produttori della birra artigianale.
Risparmiandovi i lunghi preamboli, nonché le dichiarazioni di intenti su come la Regione intenda tutelare e promuovere la produzione birraria artigianale del territorio, i punti più salienti della legge consistono nell'istituzione di un albo regionale dei birrifici artigiani, nell'accesso a contributi all'imprenditoria giovanile e femminile - già previsti dalle normative regionali -, nella previsione di registrazione di un marchio "Birra artigianale", e nell'istituzione di un relativo disciplinare di produzione a cui i birrifici che desiderano fregiarsene devono sottostare. Si intende per birra artigianale "una qualsiasi tipologia di birra il cui ciclo produttivo viene svolto da birrifici artigianali indipendenti", con "utilizzo preferenziale, ove disponibile, di materia prima di provenienza del territorio di produzione", senza alcun conservante né colorante sintetico, senza pastorizzazione né microfiltrazione. Anche qui c'è il riferimento all'indipendenza societaria e alla proprietà degli impianti, ma il limite di produzione è fissato a 10.000 hl/anno. Inoltre la proposta di legge prevede che la Regione stipuli convenzioni con enti accreditati per attività di formazione, una serie di altre attività di informazione e divulgazione, e prevede l'individuazione di un soggetto deputato a verificare il rispetto delle norme di cui sopra. Parlando infine di "schei" - visto che siamo in Veneto - è proposto lo stanziamento di 150.000 euro in totale per l'esercizio 2016, di cui 20.000 per l'istituzione del marchio, 80.000 per le attività di informazione, e 50.000 per quelle di formazione.
Naturalmente anche qui si potrebbero sollevare interrogativi simili a quelli già noti - quanto micro è la microfiltrazione? E i beerfirm? E il riferimento alle materie prime locali che senso ha per un settore come quello birrario? E se 200.000 hl sono tanti, 10.000 hl non sono invece troppo pochi?. I birrai hanno infatti tutta l'intenzione di porsi come interlocutori del legislatore regionale: tanto più che il Veneto dal 26 giugno scorso dispone anche della categoria birrai artigiani costituita all'interno di Confartigianato, e presieduta da Ivan Borsato di Casa Veccia (nella foto sopra) - che tiene però a precisare che si tratta di una "presidenza a due" insieme al suo vice, Fabiano Toffoli (nella foto sotto) di 32 Via dei Birrai. "La fondamentale differenza dalle altre associazioni - spiega Borsato - è l'istituzione che la stessa rappresenta, essendo in seno a Confartigianato: Unionbirrai e altre già esistenti sono associazioni culturali, quindi istituzionalmente diverse. Possiamo dire di poterci sedere allo stesso tavolo di Governo, Dogane, Assobirra".
Borsato e Toffoli intendono dividersi i compiti (al primo spetterà la creazione di un gruppo, la promozione della birra artigianale attraverso il territorio, la formazione, gli eventi; e al secondo la parte più istituzionale di rapporto con il legislatore) con la missione di "creare un gruppo di artigiani produttori che incarni a pieno le migliori caratteristiche di questo mestiere. Lo faremo attraverso la formazione dei birrai e del consumatore, la certificazione del processo produttivo, oltre che lottare per un più equo carico delle accise, promuovere la diffusione della birra artigianale nel territorio, agevolare l'export. Il nostro associato dovrà produrre una birra oggettivamente buona, magari soggettivamente piacevole, ma oggettivamente priva di difetti, requisito minimo per un mercato sempre più competitivo ed esigente". L'associazione è aperta ai produttori diretti, e pertanto non ai beerfirm: tuttavia, precisa, "li accoglieremo volentieri nel momento in cui decideranno di cominciare il percorso per diventare produttori: proprio per questo motivo vorremmo formare o incaricare un esterno mezzo Confartigianato, per le consulenze e le start-up".
Essendo la legge regionale ancora in fase di proposta, i birrai intendono "prendere al balzo l'opportunità di inserire tutte le modifiche necessarie perchè sia garantita la nostra identità e il nostro lavoro": affrontando anche alcuni dei punti di cui sopra, rilevanti anche per la normativa nazionale. "E' un'ottima base di partenza, ma chi ha pensato e plasmato questa legge si è dimenticato di un concetto basilare: fare la birra a mano. Un artigiano è tale se lavora con le proprie mani, se il prodotto che ne esce contiene estro e creatività come ne siamo internazionalmente riconosciuti. Ci sono imposizioni che sono tecnicamente labili...cos'è la microfiltrazione? Filtrare una birra per stabilizzare il suo shelf life? Allora è fondamentale farlo per i produttori che si vogliano affacciare all'export, specie per lidi lontani. Sulla pastorizzazione non ci sono osservazioni, caratteristica fondamentale per identificare il nostro lavoro. Idem per indipendenza del birrificio. Resto però sempre impressionato dalle grandezze di riferimento per identificare i birrifici artigianali: 200.000 hl anno, quando la media dei birrifici artigianali italiani è 750 hl anni (fonte Assobirra). Anche se superfluo in questo frangente è sciocco non tenerlo in considerazione. Concludendo ottima base, pa dovranno fare un passo in più verso la qualità oggettiva, l'artigianato, l'export". E 10.000 hl non sono invece pochi? Del resto in Italia c'è chi - sarà pure una mosca bianca, ma c'è - questo quantitativo lo supera. "Facciamo due calcoli in croce, giusto per spiegare - ribatte Borsato -: sala cotta da 10 hl, doppia cotta giornaliera ... 20 hl giorno, 5 giorni di lavoro la settimana, 48 settimane anno di lavoro fanno 4.800 hl e 540.000 bottiglie 75cl a 4,50 di media fanno 2.880.000 euro di fatturato (tralasciando altre attività o vendita al dettaglio), perciò per arrivare a 10.000 hl dovresti fatturare una cosa come 6 milioni di euro...non è tantino per un artigiano? Vogliamo raggiungere dei politici 15.000 o 20.000 hl? Ok, ma non di più, perché per me chi produce più di 5.000 hl all'anno verosimilmente impiega almeno una decina di dipendenti e per la legge comunitaria passa a piccola impresa industriale".
Una normativa regionale che impone paletti più stretti di quella nazionale, dunque? Non pone il rischio di futuri conflitti? "Dal punto di vista fiscale non ci sono differenze che rilevino: la legge regionale punta ad istituire un marchio - a cui non è obbligatorio aderire -, non a identificare una categoria fiscale. Sono leggi fatte per lo sviluppo del territorio e dell'impresa, non mirano a cambiare equilibri nazionali. Devono essere viste come un'opportunità. Inoltre la legge prevede che vi sia una certificazione di qualità per accedere all'utilizzo del marchio e questo apre la strada ad un'idea che io e Toffoli abbiamo già dall'inizio della costituzione della categoria e prima di conoscere il progetto di legge regionale, ossia quello di arrivare ad una certificazione del "buon lavorare" e della "buona birra" attraverso organi già istituiti e super partes. Abbiamo già preso contatti con Slow Brewing, ente certificatore italiano che fa capo al prof. Gresser e con sede in Germania, che certifica già 32, Antoniano, Theresianer e altri 25 stabilimenti tedeschi".
Insomma, il Veneto ha tutta l'intenzione di candidarsi a Regione laboratorio per ulteriori sviluppi sul fronte legislativo, associativo e di certificazione: non resta che augurare buon lavoro.
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