lunedì 18 aprile 2016

Santa Lucia, parte quarta: il gusto della sperimentazione

Nel weekend dei birrifici triveneti ne ho trovati diversi che si sono dilettati a sperimentare, vuoi "sfidando" il fuori stile, vuoi semplicemente provando qualcosa che non avevano mai provato prima. Anche per sperimentare però, come direbbero i friulani, "al ul mistir" (che tradotto letteralmente suonerebbe qualcosa come "ci vuole mestiere", ossia "bisogna saperlo fare", "ci vuole abilità"): ma devo dire di aver visto qualche risultato interessante.

Parto da Mr Sez, conoscenza a me ben nota, che si è cimentato in una cascadian dark ale in monoluppolo jarrillo ancora innominata. Complice la spillatura a pompa, già la schiuma era "buona" - sia per la consistenza, sia per il sapore tostato che ho colto "addentandola" -; e anche il monoluppolo fa il suo lavoro conferendo un aroma deciso, tra l'agrumato e la pera, che se la gioca con i toni di malto tostato e caffè. Sul finale ho percepito una leggera nota di liquirizia, prima di chiudere con un amaro abbastanza netto. Nel complesso una birra che ho apprezzato, e che pur tirando in ballo sapori forti non risulta eccessiva.

Un altro che ha voluto sperimentare è stato Villa Chazil con la sua Strar-ipa, una (dichiaratamente) "fuori stile" definita come "belgian ipa". Ai tre luppoli americani coltivati nel luppolaio di Nespoledo - willaimette, cascade e chinhook - è infatti stato unito un lievito belga, che dà una ben percepibile nota speziata al naso insieme ad un amaro floreale del willaimette, e zucchero candito, che contribuisce a rendere il corpo nettamente più dolce delle ipa canoniche esaltando la parte maltata. Anche il finale, di un amaro resinoso, quasi di pino, in cui risalta il chinhook, mi ha ricordato di più le birre continentali che quelle d'oltreoceano: ragion per cui, discutendo con Lucio, ho osservato che - per quanto sia una birra che incontra i gusti di chi non ama né gli eccessi agrumati né quelli amari di certe ipa - non la inquadrerei in questo stile. Cosa che, del resto, non era nemmeno del tutto nelle intenzioni.

Un altro birrificio che si è divertito a lanciarsi in nuove avventure non con gli stili ma usando luppoli a km zero è il Bradipongo con la pils Franzisca, con luppolo Perle fresco e in fiore coltivato da ormai una decina d'anni sulle pendici del Grappa e orzo dal padovano. Ammetto che inizialmente mi aveva lasciata perplessa, perché il luppolo si sentiva ben poco ed era viceversa abbastanza pungente l'odore del lievito; la temperatura leggermente più alta ha però riequilibrato le sorti della birra, facendo riemergere un pur lieve aroma tra l'erbaceo e lo speziato del luppolo, e rendendo maggior giustizia anche alla pienezza del cereale al palato. Rimane comunque del tutto peculiare nel panorama delle pils, meno aromatica e più "grezza" sotto il profilo del cereale - o almeno così l'ho percepita io - : peraltro Anna mi ha confermato che l'accoglienza della nuova pils al locale è stata molto buona, a conferma dell'interesse per le materie prime locali - oltre che del fatto che è evidentemente una birra che piace. Al di là delle mie personali perplessità iniziali sulla Franzisca, il Bradipongo è comunque ormai da tempo un caposaldo del panorama brassicolo veneto, forte anche dei numerosi riconoscimenti ricevuti - l'ultimo da Slow Food per la BradIpa -; e sono certa che anche in futuro Anna e Andrea non mancheranno di affinare ed ampliare ancora la loro produzione.

In fase sperimentale - nel senso che i birrai dicono di volerla ancora "aggiustare" - è poi la Cream Ale di Camerini - per ora battezzata "Scoppiettante", ma il nome non è definitivo -, in cui sia al naso che al palato risulta ben presente la dolcezza del mais di Maranello. Per quanto l'aroma possa far presagire una birra che sconfina nello zuccheroso, il corpo nel complesso non è squilibrato nonostante la notevole presenza del cereale; e anche il finale, per quanto rimanga sui toni dolci del mais, non sconfina nello stucchevole. Decisamente beverina e fresca, per quanto tutt'altro che secca. Attendo comunque futuri sviluppi, peraltro già annunciati, che potrebbero risultare interessanti; cosa che del resto vale anche per Villa Chazil, che ha annunciato l'arrivo di una milk stout con fave di cacao (che aspetto al varco).

Altra sperimentazione che ho provato è la Steel Rose di Baracca Beer, in cui ad una base weizen sono state aggiunte in fermentazione delle ciliegie selvatiche. La lavagnetta la definiva come "fruit sour", ma chi si aspetta di trovarvi sapori acidi o profumi intensi di ciliegia probabilmente onn troverà ciò che cerca: non solo la parte della frutta è molto delicata, ma anche la componente acida è quasi del tutto assente, tanto che all'aroma il connubio tra queste componenti più quella del frumento risulta in un profumo quasi floreale. Al corpo risalta bene il frumento, che ho trovato sposarsi bene con la dolcezza leggera della ciliegia: e nel complesso rimane infatti una birra dolce, fresca e beverina nonostante i sette gradi alcolici, piacevole, e ben distante da quella che un purista definirebbe una fruit sour.

Certo discutere di fuori stili o di sperimentazioni è sempre terreno spinoso, per cui - al di là del dire che le ho bevute volentieri, e rilevare eventuali aspetti che mi hanno sopresa o lasciata perplessa - non mi dilungo nella diatriba "famolo strano sì, famolo strano no" o "luppoli locali sì, luppoli locali no", che meriterebbe altre sedi ed altre voci; mi limito a passare al resto del resoconto del secondo weekend, rimanete sintonizzati....

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