lunedì 11 aprile 2016

Santa Lucia, parte prima: timbriamo il cartellino

Anche querst'anno, come in molti già saprete, sono in prima linea con la Fiera della birra artigianale di Santa Lucia di Piave; che quest'anno peraltro ha proposto già dal primo weekend diversi birrifici a me nuovi. Per quanto non sia il primo che ho conosciuto, mi è venuto spontaneo iniziare con il Diciotto Zerouno: perché se io con questo post timbro il cartellino di inizio orario di lavoro, il nome dell'attività avviata da Marco e Davide in quel di Oleggio Castello è invece ispirata all'orario in cui timbrano per l'uscita dai rispettivi uffici e possono (finalmente) dedicarsi all'arte brassicola. Un fisioterapista e un consulente informatico hanno così avviato la loro attività nel 2014 in una cascina ristrutturata, dando anche un tocco di "colore locale" al tutto.



Il loro repertorio copre diversi stili - ed hanno pure insistito per farmelo assaggiare tutto, 'sti due poco di buono. Portabandiera della casa è la bohemian pilsner Caraibi, "aiutata" dall'acqua particolarmente dolce della zona: una birra semplice, pulita e aderente allo stile, con un tocco di personalità dato dall'aroma floreale del luppolo Saaz particolarmente intenso. Leggermente meno corposa e meno amara sul finale rispetto alle pils ceche, caratteristiche che, almeno al palato italiano, contribusicono a renderla ancor più facile a bersi. Sempre sulla stessa linea di "beverinità" troviamo la Flamingo, una american wheat pensata per le calde giornate estive, con aromi tra il pompelmo e la frutta tropicale dati dal cascade e dal galaxy; e la weizen Avorio (nome provvisorio, hanno specificato, ci stanno ancora lavorando...), dalla schiuma ben persistente e dagli aromi di banana come da manuale.

Venendo a qualcosa di un po' più complesso troviamo la saison Ocra, speziata con pepe rosa, coriandolo e scorza d'arancia. Interessante qui è soprattutto l'equilibrio dell'insieme, che la fa risultare una birra morbidissima e dalla speziatura delicata e rinfrescante, e grazie anche al finale leggermente acidulo non lascia alcuna persistenza "pungente". Più pungente - almeno per i miei gusti - ho invece trovato la apa Ruggine, che alla luppolatura americana abbastanza intensa unisce la scorza d'arancia amara, risultando sia al palato che nel finale di un amaro citrico ben pronunciato e appunto "pungente". Forse troppo per i miei gusti, ma sicuramente fa la felicità di chi ama questi sapori (chiedere a Enrico per relazione dettagliata).

Personalmente ho apprezzato di più la dark strong ale Granata, dall'aroma fruttato - dal melone, alla papaya, all'ananas, potete sentirci un po' quello che volete - dato dal magnum (a cui si aggiunge il willamette). Il corpo è decisamente dolce, tra il biscotto e il caramello, ma senza risultare stucchevole - tanto è vero che non lascia alcun retrogusto zuccheroso, ma chiude in maniera più secca di quanto ci si potrebbe aspettare per una birra del genere. Forse la meglio riuscita dal punto di vista tecnico è la Caraibi, ma questa è quella che più mi è piaciuta (ma si sa, i gusti sono gusti).

Una nota di merito, infine, ai due ceffi che vedete in foto: perché, se parte del lavoro del birraio è anche quella di saper accogliere l'avventore, lo sanno fare con passione ed entusiasmo. E qui me la sento di concludere con una loro chicca sul tema dei gusti personali: "Le birre sono come figli per noi, non è che ce n'è uno che ami più degli altri....però a qualcuno fai fare inegneria, qualcun altro lo mandi a zappare i campi!". Arrivederci al prossimo post...

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