Dato che in questi giorni piazza Venerio qui a Udine si è riempita di stand birrari e gastronomici per una non meglio specificata - e ben poco pubblicizzata, devo dire - "festa della birra artigianale", ne ho approfittato per farmi un giro. Ammetto che, dopo la delusione di "Spirito di birra" dello scorso anno, ero un po' prevenuta; ma essendomi giunta voce che per quanto i birrifici presenti fossero pochi meritava conoscerli, sono balzata in sella al mio fedele destriero (leggi: citybike presa in sconto al Città Fiera) e mi sono avviata verso il centro - mobilità sostenibile, nessun problema di parcheggio, e soprattutto nessun problema di etilometro.
Il primo birrificio con cui ho fatto conoscenza, grazie ad una piacevole chiacchierata con il birraio Andrea - pur tra tutte le difficoltà del caso, dato il volume assordante della musica - è il Sognandobirra di Oderzo: una realtà nata da tre amici homebrewer, che hanno progettato da sé un impianto "su misura" e se lo sono fatti fare. La produzione è iniziata lo scorso novembre, ma i riconoscimenti sono già arrivati: la loro blonde ale Sayamé si è infatti classificata seconda al concorso Cerevisia 2015 nella categoria alta fermentazione Nord Italia. Nel descrivermi le birre - cinque: la già citata Sayamé, la "italian pale ale" 364, la blanche Madame Blanche, la brown ale Sisma e la ale ambrata Hoppitergium - Andrea mi ha confessato la predilezione dei tre birrai per l'amaro: tanto che anche la 364, che vuole - come il nome suggerisce - essere una reinterpretazione delle ipa, punta più sui luppoli da amaro che su quelli da aroma, seguendo l'antica tradizione inglese invece che quella americana più recente. Sempre presente, ha precisato, anche l'attenzione agli abbinamenti gastronomici: tanto che ciascuna scheda descrittiva riporta anche i suggerimenti relativi.
A questo punto bisognava decidere cosa assaggiare, nella coscienza che tutte e cinque no grazie, non le reggo. Ammetto che ad incuriosirmi di più erano la Sisma, con ben cinque luppoli a bilanciare il corpo dolce, e la Hoppitergium, con luppoli neozelandesi e americani in abbondante dry hopping (eh, lo so, la foga dei luppoli ha preso anche me, non solo la Poretti); Andrea ha però suggerito l'abbinata in sequenza Sayamé - Hoppitergium, e mi sono fidata. In effetti la Sayamé è un'ottima apertura: se l'aggettivo "delicato" può suonare come quanto di più scontato e generico si possa usare per descrivere una birra, è nondimeno il più calzante che ho saputo trovare. L'aroma tra il floreale e lo speziato è molto morbido, e anche al palato mostra un corpo meno robusto rispetto ad altre blonde ale - il che la rende particolarmente beverina. Anche l'amaro in chiusura non è assolutamente aggressivo, lasciando la sensazione di una bevuta decisamente semplice, piacevole e dissetante. In tutto e per tutto una birra "lienare" e pulita, fatta andare incontro a tutti i gusti e tutti gli abbinamenti, ma con il merito di non scadere nella banalità a cui a volte questo pur lodevole intento porta; una birra che inserirei peraltro in quella linea di pensiero, che incontra ormai sempre più adepti tra i birrai, secondo cui - dopo anni di sperimentazioni audaci - è tempo di tornare a fare le cose semplici, ma farle bene.
Sono quindi passata alla Hoppitergium - curioso il gioco di parole tra "hop", luppolo, e Opitergium, nome latino di Oderzo -: per quanto il bicchiere di plastica non aiutasse nel percepire gli aromi, la luppolatura del tutto peculiare emerge con forza, dando sentori in particolare di uva e frutta matura; e anche i sapori dolci del malto al palato, che pur sarebbero robusti, lasciano subito il posto ad una girandola di diverse tonalità di amaro - da quello più erbaceo, a quello più terroso, a quello più citrico che ricorderebbe quasi di più i luppoli da aroma - per gli amanti delle luppolature forti. Il tutto comunque senza strafare, perché la persistenza, pur lunga, non è così intensa da risultare sgradevole, ma lascia anzi una discreta sensazione di pulito. Insomma, un birrificio giovane, ma con tutte le carte in regola per crescere bene; e se sono in tanti gli homebrewers che hanno dimostrato che avviare un birrificio non è un sogno, non posso che augurare a Patrice, Andrea e Alessandra di dimostrare che non lo è nemmeno fare strada.
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