giovedì 3 ottobre 2013

Gusti di frontiera, parte prima: pane caldo, il profumo dell'infanzia

Chi di voi conosce il Friuli Venezia Giulia, forse si sarà chiesto come mai non ho scritto nulla su Gusti di Frontiera, la manifestazione enogastronomica di Gorizia che ha riunito quest'anno 260 stand da oltre venti Paesi europei: e in effetti eccomi qui, pur con un certo ritardo. In fondo, non potevo mancare: si tratta di un'occasione unica non solo per gustare le prelibatezze di tanti popoli diversi, ma anche e soprattutto per incontrarli - barriere linguistiche permettendo -, dato che alle bancarelle sono presenti i produttori direttamente dall'estero. Più che mangiare e bere, insomma, mi sono fatta delle lunghe ed interessanti chiacchierate.

A dire il vero la cosa non era iniziata sotto i migliori auspici, dato che avevo scelto di andarci domenica: l'unico giorno di pioggia in tutta la manifestazione - e che pioggia, dato che in regione ci sono stati dei veri e propri nubifragi -, con una sfortuna che ha del fantozziano. Al mio arrivo in città, al quadretto sarebbero mancate solo le palle di sterpi che rotolavano: in strada non c'era nessuno, e quasi tutti i gazebo erano ben chiusi.


Ormai però ero lì, quindi tanto valeva avventurarsi; e dopo quasi mezz'ora che camminavo sotto l'acqua, con i piedi ormai zuppi, ho trovato la prima anima buona che mi ha offerto riparo sotto il suo tendone, il ragazzo della Sardexport di tal Lello Canu. Come dice il nome stesso, un'azienda che esporta prodotti tipici sardi, dal pane carasau alla bottarga, dai formaggi caprini ai prosciutti di pecora. Forse gli ho fatto pena, perché per prima cosa mi ha offerto pane carasau e pecorino: però, dato che tanto non c'era nessun altro il giro, ne è nata una conversazione amichevole, che mi ha permesso di rimanere un po' di tempo al riparo e ristorarmi con uno dei migliori pecorini che mi sia mai capitato di assaggiare.

Non potendo rimanere tutta la mattina tra cacio e pecorini, ho ripreso il cammino; ma dato che la pioggia si faceva sempre più fitta, ho dovuto andare presto alla ricerca di un altro riparo. Già stavo meditando una sosta caffè in un bar, quando ad attirare la mia attenzione è stata una sorta di casetta di legno da cui usciva uno degli odori più caratteristici della mia infanzia: quel misto di fumo, braci e pane caldo che contraddistingue i forni a legna, come quello che usava mia nonna.

E proprio a fare il pane era intento il buon Matteo, che mi ha accolta all'asciutto e al caldo dentro il suo stand. Tra una carica di legna e l'altra, mi ha raccontato come era arrivato lì: Matteo infatti non è propriamente un panettiere, ma lavora per Il prato degli ortaggi, una fattoria biologica sul Garda gestita da una giovane coppia tedesca che vende direttamente o consegna a domicilio genuini prodotti di stagione. Siccome tra questi prodotti c'è anche la farina del loro grano, e quindi il pane, Matteo ha imparato l'arte: "E quando in Spagna ho conosciuto il figlio della proprietaria di questa panetteria, una signora tedesca, mi sono messo in collaborazione". Signora tedesca che è puntualmente comparsa richiamandolo all'ordine: nonostante il nubifragio, infatti, la coda davanti al banco per comprare il pane appena sfornato era già considerevole. "Ma se vuoi rimanere ancora un attimo, non disturbi"...

Mi sono fatta scrupoli ad approfittare dell'ospitalità, così sono andata oltre; e dopo aver superato la bancarella delle frittatine olandesi, su cui svettava un mulino a vento - che però, devo ammetterlo, aveva del kitsch - e una serie di stand desolatamente chiusi, a darmi rifugio è stata una casa, la Casa dell'Ape... (continua)

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