giovedì 16 aprile 2015

Un ritorno in Brasseria Alpina

Un altro felice ritrovo in quel di Santa Lucia è stato la Brasseria Alpina, che già avevo descritto con dovizia di particolari in questo post. Il ricordo della Genepi era positivo, per cui ho approfittato del fatto di trovarmi lì con mio padre e con Enrico per condividere un assaggio di tre birre diverse.

Mi ha incuriosita per prima la Irish Ale: un'ambrata dalla schiuma fine e compatta il cui aggettivo più calzante è secondo me "delicata", perché pur presentando sia aromi che sapori che di per sé tendono ad essere abbastanza robusti - su tutti il torrefatto - in realtà rimangono molto morbidi e ben amalgamati - a sentire i birrai anche grazie all'avena, che ha appunto questa peculiarità. Una birra in cui predominano nettamente i malti, ma che chiude con una tocco di amaro erbaceo altrettanto delicato del luppolo. D'altronde, leggera lo è anche come grado alcolico - 5 gradi.


Mio papà e Enrico sono invece andati su tutt'altro genere. Al primo, conoscendo i suoi gusti, ho consigliato la Lingero: una golden strong ale che ho trovato abbastanza insolita, perché anche qui mi sarei aspettata sapori di malto, crosta di pane - e note alcoliche, dati i sette gradi - ben più forti. Invece anche qui si rimane sulla linea del "non strafiamo": l'aroma è tra il floreale e il fruttato ma non particolarmente intenso, e anche il corpo rimane fresco e decisamente beverino per il genere grazie alla miscela di erbe e luppoli che equilibra il malto e lascia un finale ben pulito.

Enrico invece ha fatto da sé e ha scelto la Gran Truc, un'ambrata doppio malto che è invece di tutt'altra scuola: qui sia l'aroma che il corpo sono ben intensi, miscelando in una complessità notevole forti toni di malto, resina, frutta secca, frutta esotica e un sentore liquoroso. Sette gradi e sentirli tutti anzi di più, data questa complessità; che lascia peraltro una persistenza lunga, calda e dolce, senza note percepibili di luppolo.

Alla fine della carrellata direi che si conferma un birrificio originale e che ama sperimentare; con l'accortezza di accostare alle birre più particolari e complesse anche altre di più facile beva, senza cadere nel banale.

mercoledì 15 aprile 2015

Un tris di Jeb

A Santa Lucia ho ritrovato anche una vecchia conoscenza, il birrificio Jeb; è quindi stato un piacere incontrare di nuovo la mastra birraia Chiara Baù - che tiene alta la bandiera delle quote rosa nel settore, perché per quanto non siano poi così poche le donne che vi lavorano, assai meno sono invece quelle ad essere titolari di un birrificio e di un brewpub.

L'offerta alla spina era peraltro assai varia, per cui sottrarsi sarebbe stato un vero peccato. Pur essendo passata la Pasqua erano ancora disponibili le birre di Natale - che comunque, a mia modesta opinione, con la colomba vanno benissimo -: la Stella e la Cometa (sì, siete liberi di ridere), una ale ambrata di orzo, segale e frumento aromatizzata con zenzero e vaniglia la prima, e una ale scura di orzo, farro e frumento la seconda. Compensibile che mi abbia incuriosita di più la Stella, essendo un'amante dello zenzero: spezia che si fa sentire con forza sia all'olfatto che in bocca, pur senza risultare eccessivo né male armonizzato con i malti, e che rende assai dissetante una birra che, dato lo stile, probabilmente non lo sarebbe un granché. Quasi nascosta invece la vaniglia, che ritorna a sorpresa con una punta di dolce quando ormai avete deglutito e non vi aspettereste più nulla.

Sempre per rimanere in tema invernale mi sono poi diretta sulla Brulé, un'altra ale ambrata, questa volta però aromatizzata con le spezie tipiche del vin brulé - cannella, chiodi di garofano, arancia dolce e anice stellato. Assolutamente da bere a temperatura ambiente, per apprezzarla meglio: il freddo mi ha inizialmente impedito di sentire tutta la rosa di profumi di cui sopra, così come i primi due sorsi sono purtroppo morti in bocca per lo stesso motivo. Su tutti spicca indubbiamente la cannella - tanto che ho trovato quasi sovrastasse il resto -, ma anche l'anice, pur senza farsi notare né all'olfatto né nel corpo, lascia una punta di freschezza finale.

A sentire Chiara, però, il suo pezzo forte è la Maya, una ale bionda con miele di rododendro. L'ho assaggiata fiduciosa in quanto lei stessa ha assicurato di condividere la mia opinione secondo cui, se bere un sorso è come mettere in bocca un cucchiaio di miele, allora prendo il vasetto e non il boccale: e in effetti devo riconoscere che è ben equilibrata, tra note floreali, erbacee e di miele all'olfatto, e un corpo dolce ma non stucchevole che non lascia una persistenza da melassa sul palato . Anche il fatto che il miele sia di una varietà meno consueta come il rododendro conferisce una sua particolarità.

In tutto e per tutto un tris da ricordare, e che si fa riconoscere all'interno del panorama delle birre speziate e di quelle al miele: terreno non facile per il rischio di strafare, ma su cui Chiara pare sapersi muovere con competenza.

martedì 14 aprile 2015

Il basilico no...

....non l'avevo considerato. Sul serio: di birre con le spezie o aromatizzazioni più audaci ne avevo sentite, ma che si potesse usare anche il basilico non mi era proprio mai passato per la testa. Così, lo ammetto, quando alla Fiera di Santa Lucia i due simpatici ragazzotti genovesi del birrificio La Superba mi hanno proposto la loro birra - indovinate un po'? - "Genova", una lager chiara con basilico della riviera ligure, non ho potuto non pensare: ecco, i soliti esibizionisti fanatici del "famola strana" (la birra, naturalmente). Che poi finiscono per ottenere risultati che piacciono solo a loro perché, così come ogni scarrafone è bello a' mamma sua, ogni birra è buona al suo creatore - peccato che gli tocchi poi bersi l'intero lotto da solo, perché nessun altro gli fa compagnia.

Invece devo ammettere che ho dovuto ricredermi. Il profumo di basilico che sale dalla Genova è fresco e delicato, e ben armonizzato con l'erbaceo del luppolo; e anche nel corpo leggero non è affatto invasivo, lasciando il giusto spazio al cereale, per poi ritornare con una persistenza fresca e dissetante. Insomma, così come avevo dovuto ammettere che il simpatico proprietario del chiosco delle limonate sul lungotevere - sosta obbligata sulla via del ritorno a casa nelle calde estati romane quando vivevo lì - aveva visto giusto nell'aggiungere il basilico alla sua ricetta, così devo dirlo dei ragazzi de La Superba.

Coerentemente con la volontà comune a numerosi birrifici artigianali di testimoniare il legame con il proprio territorio, La Superba utilizza prodotti locali in buona parte delle sue birre. La Regina, ad esempio, è una lager con miele millefiori della Valle Scrivia: miele che all'olfatto sovrasta nettamente tutti gli altri aromi e che personalmente ho trovato un po' eccessivo,ma che in bocca lascia inaspettatamente spazio ad una breve nota di amaro ben netto per poi ritornare in piena forza con una persistenza che mescola i due sapori. Interessante poi la Castagna, che non usa le castagne arrostite ma la farina, lasciando in bocca un sentore che mi sono trovata a definire "pastoso" e robusto, e indubbiamente molto più "grezzo" rispetto a quello delle birre che utilizzano castagne cotte.

Nota godereccia, le spine de La Superba sono arrivate a Santa Lucia in accoppiata con una nutrita - perdonate l'ironia - offerta di focacce liguri, a cui è difficile resistere: come tipicità mi è stata consigliata quella non lievitata con ripieno di stracchino, e non mi sono pentita di aver accettato il suggerimento.

Devo ammettere che di curiosità su La Superba me ne sono rimaste: ad esempio la Serena, una Lager ai petali di rosa; la Puro Sangue, una lager doppio malto; o La Superba, una nera ad alta fermentazione con cinque tipi di malto. Che dire, prima o poi spero di togliermela....

venerdì 10 aprile 2015

E Beer attraction rispose

No, non sto sarcasticamente sottintendendo che Beer attraction sia una "sventurata" di mamzoniana memoria; anzi, il loro ufficio comunicazione è stato di fatto molto cortese, inviandomi la risposta che leggete qui sotto in merito al mio post sull'Homebrewing contest. Buona lettura!

Gentile Chiara,

abbiamo letto con vivo interesse il suo dettagliato e davvero garbato post intitolato “Questo concorso non s’ha da fare?”, incentrato sull’Homebrewing Contest di Beer Attraction.

Lei raccoglie commenti e opinioni estrapolati da blog e social network che sollevano alcune perplessità in merito al concorso di cui sopra:

ci permetta di dire che sul web non girano solo critiche all’iniziativa, bensì anche apprezzamenti sinceri ma non vogliamo naturalmente sottrarci alle critiche.

Anzi, le abbiamo sempre accettate e soppesate attentamente per farne tesoro.

Ecco perché già oggi possiamo dirle che le sue riflessioni hanno anticipato un cambiamento già deciso e che renderemo noto a breve proprio sulle modalità di partecipazione: ovvero, non saranno più previste quote di iscrizione per partecipare al concorso.

Una precisazione sulla seconda fase: i partecipanti, se rientranti nei parametri fissati dalla giuria di qualità (definiti con l'associazione Unionbirrai sulla base dell'esperienza del concorso “Birra dell'anno”), potranno accedere alla competizione senza restrizioni numeriche.

E veniamo al premio. L'impianto Simatec è stato pensato per chi possiede già una certa dimestichezza con l’homebrewing e voglia quindi migliorare e accrescere la propria passione, cimentandosi ad un livello superiore, benché non ancora professionale. Siamo sicuri che il vincitore gradirà.

Per concludere, e rispondere così al suo interrogativo d’apertura, a nostro giudizio il concorso s’ha da fare: domani e sempre, verrebbe da dire. Gli amanti delle birre artigianali e speciali sono sempre più numerosi e meritano un’iniziativa di tale profilo. E risponderanno, ne siam certi… ovviamente non come la sventurata di manzoniana memoria!

Molto cordialmente

L’Ufficio Comunicazione di Rimini Fiera.

giovedì 9 aprile 2015

Questo concorso non s'ha da fare?

In diverse occasioni ho scritto del Beer Attraction, la manifestazione organizzata dalla Fiera di Rimini e Unionbirrai, che ho visitato due volte con grande piacere. Novità del 2015 è stato il coinvolgimento degli homebrewers con lo Homebrewing Contest che è stato lanciato durante la fiera: una competizione in tre fasi ad eliminazione, alla fine della quale uscirà quello che potrebbe essere considerato "il miglior homebrewer d'Italia". Ma ora che il regolamento è uscito pare che gli homebrewers non abbiano gradito poi così tanto, almeno a giudicare dai commenti che girano su social network, forum e affini.


La prima fase prevede che ciascun concorrente possa presentare fino a tre birre a sua scelta, al costo di 30 euro per la prima e 10 per le altre due; chi accederà alla seconda fase dovrà cimentarsi in quattro stili predeterminati - porter, blanche, belgian ale e Ipa - al costo di 250 euro; da questa usciranno dieci finalisti che dovranno confrontarsi ad armi pari su un impianto professionale della Simantec (sponsor che fornisce anche il premio per il vincitore, un impianto da 300 litri) nel brassare una pils. Facile intuire come la prima perplessità riguardi l'impegno economico: a conti fatti si tratta di trecento euro - perché è pur vero che nella prima fase si può presentare anche una birra sola, ma in questo modo si risulta penalizzati rispetto a chi ne presenta tre (almeno da un punto di vista puramente probabilistico). La seconda perplessità riguarda poi la chiarezza del regolamento stesso, dato che non è specificato quanti homebrewers accedano alla seconda fase; mentre la terza è di carattere più logistico, e attiene alle difficoltà di brassare su un impianto che non si conosce e magari lontano da casa - non potendo così controllare di persona le fasi successive alla cotta se non al prezzo, letteralmente, di alloggiare nei paraggi. Insomma, c'è già chi si definisce scoraggiato in partenza.

Un'altra perplessità riguarda poi il premio: un impianto da 300 litri è, diciamo così, "abbondante" per un homebrewer - anche sotto il profilo logistico, tanto che uno di loro commenta "e dove lo metto, nella rotonda sotto casa?" -, ma "stretto" per chi volesse avviare una propria attività: né carne né pesce dunque, almeno secondo alcuni dei potenziali partecipanti. Sorvolo sulle polemiche relative al fatto che rimanga comunque da acquistare di tasca propria il resto dell'attrezzatura necessaria a brassare con un impianto del genere, alla vera o presunta volontà di Unionbirrai di lucrare da questo concorso, e illazioni di vario genere: fatto sta che il malumore è palpabile, tanto che c'è chi propone addirittura una "Boicott Ale".

Non sono homebrewer né tantomeno birraia: però in questi due anni di attività nel mio blog ho visto come l'homebrewing sia un fenomeno in crescita, ed è quindi inevitabile pensare che, accanto a chi - sicuramente anche all'interno di Unionbirrai - vuole sostenerlo nelle sue peculiarità rispetto ai birrifici in quanto tali, ci sia anche chi ha intenzioni meno nobili. Gli homebrewer però a questi concorsi pare ci tengano, e intendono farsi sentire: l'auspicio non può che essere quello che alla fine si arrivi ad un chiarimento.

martedì 7 aprile 2015

Un viaggio sui colli senesi

Si sa che una delle doti dei cronisti è la velocità; e devo ammettere che stavolta su questo fronte ho lasciato a desiderare, dato quella di cui sto per parlare è una conoscenza che risale a Fa' la cosa giusta - la fiera del consumo critico, chi non sapesse di che cosa si tratta clicchi qui - gli scorsi 13, 14 e 15 marzo. Poco male comunque in questo caso, dato che il birrificio in questione è (fortunatamente) ancora in attività; e la bella stagione in arrivo potrebbe costiture un ottimo incentivo alla visita.

Trattasi infatti di un birrificio agricolo, La Stecciaia, adagiato sulle crete senesi a Rapolano Terme e nato da poco all'interno dell'azienda agricola Podere del Pereto: questo è stato la base perché l'agricoltore e mastro birraio Claudio D'Agnolo (nella foto) mettesse a frutto la sua lunga esperienza di homebrewer partendo dai cereali coltivati in azienda secondo il metodo biologico da quasi vent'anni, così che La Stecciaia può vantarsi di essere il primo birrificio agricolo ad ottenere la certificazione biologica in Toscana. Il nome stesso, del resto, vuol essere segno del legame con la terra: le "stecce", in quel di Siena, stanno ad indicare i resti della paglia piantati nel terreno dopo il taglio dei cereali.

Mastro Claudio ha - almeno per ora - tre birre all'attivo, ma tutte quante con la loro caratteristica peculiare che le lega al podere in cui nascono. Alla Farzotta, una ale dal colore quasi ramato e dagli aromi intensi di banana e pera, viene aggiunto il farro dicocco coltivato al Pereto: il risultato è una birra che in bocca è un tripudio di cereale, con sentori che vanno dalla crosta di pane al miele; e che riserva una sopresa nel finale, in cui il luppolo arriva in maniera inaspettata a bilanciare la dolcezza del corpo pur senza soverchiarla.

Ancor più peculiare è la Senatrice, una saison di ispirazione belga, con l'aggiunta di una particolare varietà di grano duro - la "Senatore Cappelli", da cui prende il nome: all'olfatto mi ha ricordato quasi una blanche, con la schiuma abbondante a racchiudere i profumi di chiodi di garofano, fiori e agrumi; in bocca e nel finale risulta però nettamente più secca e con toni speziati che Claudio ha spiegato essere dati dal lievito, per chiudere con quelli erbacei dei luppoli.

Da ultima ho provato la Mandarina B., ispirata alle Golden Ale, con l'aggiunta di avena e il tocco del dry hopping con la varietà di luppolo Mandarina Bavaria: luppolo che le dà non solo il nome ma anche le intense note agrumate che questo suggerisce, e che oltre ad essere ben presenti all'aroma ritornano soprattutto nel finale; lasciando un amaro acre ma assai dissentante, dopo i brevi tocchi di malto del corpo.

Nel bilancio finale, direi che non posso non spezzare una lancia a favore de La Stecciaia: non solo perché le birre sono di qualità - complice, oso credere, quella delle materie prime -, ma anche perché il mastro birraio è riuscito a dare il suo tocco di unicità partendo da queste ultime senza strafare. Un equilibrio che, come già più volte mi sono trovata a dire, non tutti riescono a raggiungere e mantenere.

giovedì 2 aprile 2015

E' arrivata #accisanera

Già da inizio anno se ne parla, e ora siamo venuti al dunque: homebrewers e birrifici artigianali hanno iniziato a stappare le prime bottiglie - o mettere alla spina i primi fusti, a seconda dei casi - di Accisa Nera, la birra ideata come forma di protesta contro l'aumento delle accise - chi non sapesse o non si ricordasse di che cosa sto parlando, clicchi qui. E il primo aprile - e non è uno scherzo - il Mastro Birraio di Trieste ha ospitato la prima "serata Accisa Nera" in regione, con due versioni della birra in questione: quella del birrificio Antica Contea di Gorizia - che per non smentirsi l'ha messa in cask - e quella del Grana 40 di Ipplis e birrificio di Meni in collaborazione.

La ricetta di base, elaborata da Emanuele Beltramini del Grana 40, non impedisce a ciascun birraio di mettere il suo tocco: e in effetti così è stato, dato che ne sono uscite due birre completamente diverse. Quella di Grana 40 & Meni è, come comprensibile, più fedele alla ricetta originale: una luppolatura all'americana - come da definizione di "hoppy amercan porter" - assai generosa che stupisce l'olfatto su una birra scura e fa presagire un corpo paragonabile a quello di una Apa; salvo poi far rimanere quasi perplessi una volta che in bocca rimane ben poco rispetto al previsto trattandosi di una birra volutamente "watery", come si usa dire - ossia: del tutto inconsistente sia sotto il profilo del corpo che del grado alcolico, facendo quattro gradi scarsi. Insomma, il messaggio è chiaro: se le tasse aumentano, i birrai saranno costretti a fare birre sempre meno "cariche" in quanto ad ingredienti per tagliare sui costi - e sul grado plato, su cui l'accisa è calcolata.

Tutt'altra birra è invece la versione proposta in cask dall'Antica Contea, che ha leggermente modificato la composizione dei malti della ricetta originale, puntando più sui malti scuri e diminuendo quelli base - quelli che danno il corpo, per intenderci. Ne è uscita un'Accisa Nera assai più fedele allo stile canonico delle porter, in cui i luppoli sono praticamente assenti all'olfatto e il corpo leggerissimo dà sentori di liquirizia uniti ad altri tra il metallico e l'acido - che il fondatore di Accademia delle Bire Paolo Erne mi ha spiegato essere dovuti ai malti in questione, se non siete d'accordo vedetevela con lui. Anche il fatto di essere stata messa in cask - nonché spillata dall'abile Daniele Stepancich, come si può vedere nella foto sotto - ha dato il suo tocco, consentendo di spillare una birra meno gasata e con il tipico "ossidatino" - come ho avuto scherzosamente a soprannominarlo una volta - che caratterizza le birre conservate così. Una birra ancor più "watery" della versione precedente - anche il grado alcolico è più basso, 3,5 - di cui due pinte possono scendere ad occhi chiusi: la classica "birra da facchino", da bere senza paura per dissetarsi e rinfrancarsi un po', perché "tanto fa poca sostanza".


Quale delle due versioni piaccia di più è naturalmente questione di gusti: chi preferisce il classico e il "pulito" - o più banalmente le porter - probabilmente apprezzerà di più l'Accisa Nera di Antica Contea; mentre gli adepti dei luppoli, delle sperimentazioni e degli aromi più forti preferiranno quella della premiata ditta Grana 40 + Meni. Certo una luppolatura così su una porter, per dirla terra terra, non c'entra nulla; ma del resto si tratta dichiaratamente di una fuori stile, per cui va da sé che i canoni non siano stati rispettati.

Un'ultima nota va per la terza versione di Accisa Nera che ho assaggiato, questa volta non di un birrificio ma di un homebrewer, Paolo Erne: anche qui con un tocco personale, dato che l'ha resa ancor più "ruffiana" - parole sue - aggiungendo un bacello di vaniglia, creando un aroma che a me ha ricordato la crema dei dolci. A quanto pare, fortunatamente, le tasse stimolano la fantasia degli italiani non solo quando si tratta di trovare la maniera di evaderle...