mercoledì 15 settembre 2021

Birra artigianale e crafty, o delle colpe della mancata comunicazione

Attraverso questo post di Giovanni Puglisi mi è giunta eco della disputa relativa a quella che lui chiama "faccenda Martucci-Birra del Borgo" (in altri termini, la presenza e promozione di una birra un tempo artigianale ed ora di AB-InBev) in una pizzeria d'alto livello).

Riassumendo, Puglisi identifica "colpe" su diversi fronti; e mi soffermo sui due che mi riguardano più da vicino, ossia il settore birrario artigianale nel suo insieme - incapace di proporsi e promuoversi in maniera unitaria ed efficace - e i giornalisti, che anziché fare il proprio mestiere si limitano a trascrivere comunicati stampa di cui mediamente non capiscono nulla - e prendendo di conseguenza enormi cantonate.


Inizio dai giornalisti, dato che appunto giornalista sono. Sì, è vero che i giornalisti spesso fanno copia incolla. E sì, è vero che lo fanno perché nella maggior parte dei casi sono dei freelance pagati pochi euro a pezzo, che per mettere il pane in tavola devono scrivere settordici pezzi al giorno, e di conseguenza sono impossibilitati a fare molto di più di Ctrl+C Ctrl+V. Però è anche vero che questa storia ha francamente stufato, e continuare a ripeterla a mo' di giustificazione non darà alcun contributo a rompere questo circolo vizioso. Non lo darà finché il mercato giornalistico sarà drogato da gente disposta a scrivere gratis (anche non giornalisti) per amor di visibilità, finché pubblico e forza lavoro non si dirigeranno verso quei giornali (e sembra incredibile, ma ci sono) che pagano il giusto e danno il giusto tempo per approfondire le cose, finché si pretenderà di leggere articoli gratis solo perché "è su internet", finché i giornalisti stessi si illuderanno di poter fare i tuttologi solo in virtù di una rapida ricerca su Google (male assai diffuso nella nostra società, quest'ultimo).

Però va anche detto la colpa non va riversata tutta sull'ultimo anello della catena alimentare, ossia il giornalista che scrive l'articolo finale. Mi è capitato più volte di confrontarmi con birrifici che avevano di che lamentarsi perché su un qualche giornale era uscito un articolo che non rendeva loro giustizia, accusando il giornalista di aver fatto male il suo lavoro. Va però detto che spesso alla base non c'era un comunicato stampa propriamente detto, ma al massimo un post su un social, o una mail inviata ai giornali locali e scritta in un linguaggio magari adatto a rapportarsi con clienti e fornitori, ma non con i media. Detta in altri termini: così come se voglio bere birra buona la compro, perché so che farmela da sola col kit per risparmiare si tradurrebbe in birra pessima, allo stesso modo funziona per l'informazione e la comunicazione. Un servizio professionale va fatto da un professionista, e pagato di conseguenza. Fortunatamente, sempre più birrifici artigianali se ne stanno rendendo conto e si rivolgono a persone con le necessarie competenze, ma c'è ancora molta strada da fare nel capire che se voglio avere speranza che ciò che scrivo sia efficace deve essere scritto in maniera tale da poter andare su un giornale così come sta (e non è questione di tirare l'acqua al mio mulino, ma di far notare una cosa che i birrifici industriali hanno capito benissimo da tempo). E qui sì che il copia incolla fa il suo lavoro in favore della birra artigianale.

E poi, però, c'è il fronte della formazione dei giornalisti. Nessuno può fare il tuttologo, certo; e qui si pongono serie questioni nell'organizzazione interna delle redazioni, e nell'assegnazione degli articoli ai vari collaboratori. Però è anche vero che il comparto birrario pecca su questo fronte molto di più rispetto al resto del settore enogastronomico, e che sia l'Ordine dei Giornalisti che i vari portatori di interesse del in ambito brassicolo non brillano per impegno in questo senso. Io stessa, insieme ad un collega, avevo proposto all'Odg un corso di formazione (e ricordo che i giornalisti hanno la formazione obbligatoria per un certo numero di crediti annui) in tema giornalismo birrario, presentando anche un progetto didattico: la risposta che abbiamo ricevuto è stata il più classico dei "vi faremo sapere", seguito da un silenzio tombale. Il che naturalmente non preclude la possibilità di proporre lo stesso corso tramite altri canali, ma è significativo dello scarso interesse. Il giorno in cui giornalisti, birrai, editori e ristoratori si renderanno conto che la birra ha la stessa dignità di qualunque altro settore dell'enogastronomia di avere una formazione a sé, la smetteremo di vedere pregiatissimi e competentissimi giornalisti enogastronomici scrivere pezzi di dubbio valore quando si inoltrano in terra brassicola.


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