sabato 27 ottobre 2018

Alla Busa dei Briganti

In uno dei miei passaggi a Padova ho colto l'occasione per fermarmi a La Busa dei Briganti, brewpub nato da un'azienda agricola di Cinto Euganeo che ha deciso di darsi all'arte brassicola. Al momento si tratta di un beerfirm, in quanto l'orzo fatto maltare in Austria - il titolare, Nicola Rosa, ha riferito che viene loro garantita la tracciabilità in quanto la produzione, 25 tonnellate, è sufficiente a tal fine - viene poi trasformato in birra al birrificio Bradipongo dalla mastra birraia Eva Pagani; ma è in via di completamento l'impianto di 10 ettolitri a Cinto Euganeo, dove è in progetto di far partire anche coltivazioni sperimentali di luppolo. Va detto peraltro, per onor di cronaca, che Eva non è esattamente l'ultima degli homebrewer che ha fatto dell'hobby una professione: è infatti laureata in a Padova in tecnologie alimentari, ha poi proseguito la sua formazione brassicola a Newcastle e a Londra, ha lavorato a Birra Antoniana ed è stata docente Dieffe. Una degna rappresentante quindi delle sempre più nutrite (e giovani, essendo trentenne) quote rosa nel mondo birrario. A completare la squadra che ho incontrato è Tommaso Corazza.


L'avventura è partita un paio d'anni fa con il desiderio di avere un locale dove mescere la birra prodotta, insieme a quella di altri "birrifici ospiti"; e la scelta del nome è caduta su una grotta - "busa" - nei pressi di Cinto Euganeo in cui si narra, tra realtà e leggenda, che si rifugiassero appunto dei briganti. Anche le sei birre fisse hanno tutte nomi che richiamano questi personaggi; a queste si aggiungono le "B Lab", ossia le sperimentali; e le idee a tal fine nascono anche nel piccolo laboratorio a vista che si trova nel locale stesso. L'idea è quindi quella di fare anche didattica e cultura birraria in senso lato, oltre che birra e cucina. Il menù è incentrato fondamentalmente su hamburger gourmet e piatti unici, taglieri di salumi e formaggi di produzione locale, e affini. Al momento la birra viene venduta pressoché totalmente nel locale ed è quindi pensata per accompagnarsi bene con i piatti serviti; ma l'aumento della produzione con il nuovo impianto (i nostri stimano di arrivare tra i 2500 e i 3000 ettolitri annui) è naturalmente pensato anche in vista della distribuzione in altri locali.

Dopo tanto parlare siamo naturalmente venuti al dunque con l'assaggio della prima birra, la Kolsch Schivanoia. Una birra estremamente semplice e lineare, con una luppolatura "nobile" ancor più delicata che in altre Kolsch per lasciare spazio al cereale (100% malto pils di loro produzione, mi hanno riferito). Corpo pieno sui toni del pane ma scorrevole e snello, finale fresco e secco di un amaro elegante. Si coglie bene che l'intenzione era quella di fare di questa Kolsch la "birra bionda" del locale - non inteso in senso denigratorio, ma nel senso della birra beverina e versatile che si adatti ad una grande platea di palati e di esigenze. Mi sono trovata a definirla "un po' la Helles della situazione", pur essendo maggiormente caratterizzata visto che Helles non è; ad ogni modo l'intento è ben riuscito, e si sente che Eva è riuscita a far lavorare il lievito a dovere.

Sono poi passata alla blanche Nina: una birra assai profumata, tanto che ho chiesto subito che spezie avessero usato - pepe di Timut (una bacca nepalese portata direttamente da Tommaso in uno dei suoi viaggi), cardamomo, coriandolo, bergamotto e arancia. Una speziatura "esuberante" ma ad onor del vero amalgamata e calibrata, e che nell'insieme non risulta eccessiva per quanto sia intensa. Un aroma tanto notevole dà inevitabilmente l'impressione che il corpo sia più esile di quanto ci si aspetterebbe, per quanto non lo sia in senso assoluto; e sul finale torna la freschezza dell'agrume, con una punta di speziato in seconda battuta al retrolfatto.Un'interpretazione originale delle blanche, per gli amanti dello stile.


E' quindi stata la volta della bitter Zanzanù: ben evidenti all'aroma i toni di tostato e di biscotto, armonizzati con quelli erbacei e resinosi del luppolo inglese; una bitter che - come da stile - gioca bene sui contrasti tra il dolce e l'amaro, il primo ben presente al palato con una componente di caramello notevole in un corpo prima apparentemente scarico ma che si "riempie" poi, e il secondo in chiusura come da manuale.

Non poteva naturalmente mancare una delle B Lab, nella fattispecie una Iga su base Gose con moscato di un'azienda agricola della zona che produce vini naturali. All'aroma non la si direbbe nemmeno una Gose, tanto sono prevalenti i profumi dolci e fruttati del moscato e quelli floreali, senza alcuna nota lattica; la birra di base si rivela già un po' di più in bocca, amalgamando comunque l'acidità della Gose con l'insieme che rimane dolce, prima di un ritorno di cereale e di sapidità in chiusura. Ben riuscita e piacevole come Iga, anche per chi fosse nuovo allo stile, non aspettatevi però - appunto - una Gose.

Da ultimo una piccola chicca ancora in maturazione, un'altra Iga su base barley wine con marzemino: profumi di vaniglia, frutta sotto spirito, caramello (Eva ha riferito di aver bollito il mosto per tre ore a beneficio della caramellizzazione), frutti rossi e finanche legno (anche se al momento legno non ne ha visto: per il futuro è comunque in previsione che nella nuova sede trovino spazio anche le botti); calda ed avvolgente in bocca, con un finale che richiama i toni dell'aroma. Posto che fare valutazioni a questo stadio sarebbe improprio perché la birra è ancora in maturazione, si può comunque dire che promette bene.

Nel complesso ho avuto l'impressione di una realtà giovane ma che ha posto delle buone basi, e a cui certo non manca la fantasia - specie per quanto riguarda la linea sperimentale: sicuramente sarà interessante seguirne l'evoluzione con l'avvio del nuovo impianto, previsto per il 2019.

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