martedì 14 marzo 2017

In quel di Graefelfing

Come alcuni di voi già sanno, la scorsa settimana sono stata a Graefelfing - a pochi km da Monaco di Baviera - per il corso di biersommelier alla Doemens Akademie, tra le maggiori istituzioni a livello internazionale in quanto a formazione e ricerca nel settore birrario. Certamente un passo importante per me e che non è ancora del tutto compiuto, dato che siamo solo a metà del corso; ma che già mi ha consentito di ampliare il mio bagaglio di conoscenze, soprattutto per quanto riguarda l'approccio tedesco all'arte brassicola - perché lì fare birra è una scienza, o almeno questo è il messaggio che passa a livello accademico. Appunto perché il corso non è ancora finito, non mi soffermo su quello; quanto piuttosto su alcune esperienze degustative interessanti che mi è capitato di fare in questa (lunga) settimana.

Già nella mia prima serata a Graefelfing ho fatto conoscenza della Uerige, una Altbier - stile pressoché sconosciuto in Italia, originario della zona di Duesseldorf, che ha la peculiarità di usare un lievito ad alta fermentazione a temperature più basse. Una birra sui generis all'interno dello stile: di colore marrone scuro, ha profumi tostati particolarmente intensi con qualche punta fruttata; e al corpo, che sa essere snello nonostante le note tostate siano ben presenti anche bocca, segue un finale di un amaro pieno per quanto non troppo persistente. Neanche 5 gradi e sentirli tutti, anzi di più, data la ricchezza di questa birra a livello sensoriale.

La vera "maratona" a livello degustativo è stata però la serata al Brauereigashof Hotel Aying, dopo aver visitato il birrificio Ayinger: quattro portate abbinate ad altrettante birre, rigorosamente brassate secondo l'editto di purezza e senza concedersi troppe libertà rispetto allo stile di riferimento - un po' l'approccio maggioritario in Germania: non famolo strano, ma famolo "pulito". La cena si è aperta con un filetto di trota alle erbette di campo con cavolfiere marinato e crema di peperoni rossi, abbinato ad una Pils. Sulla carta l'abbinamento mi aveva lasciata abbastanza perplessa, ma in realtà il leggero affumicato della trota ha fatto perfettamente il paio con l'amaro ebaceo della pils - stile peraltro adatto a non sovrastare i sapori - ulteriormente contrastato dalla dolcezza del peperone. Interessante anche il gioco tra la morbidezza del filetto e la croccantezza delle verdure, che alla rosa di diversi sapori ha aggiunto la rosa di diverse consistenze.

Come in tutte le cucine del centro-nord Europa, non poteva poi mancare la zuppa: in questo caso un ristretto di manzo, con uno knell (piccolo gnocco) di semolino all'erba cipollina e coriandoli di verdura, abbinato ad una Fruehlingsbier (birra di primavera, che predilige i toni dolci dolci e maltati). Qui l'abbinamento mi ha lasciata un po' più perplessa, nel senso che andare ad aggiungere dolcezza ad un brodo già di per sé molto saporito mi è sembrata un po' una forzatura; è altrettanto vero però che una birra del genere ha avuto la funzione di accompagnare il passaggio dall'umami deciso (eh già, umami is the new flavour: il famoso sapore identificato con il salato tipico di alcune pietanze orientali, o con il glutammato dei nostri dadi da brodo) della zuppa, al dolce mielato più delicato della birra, fino alla chiusura su un amaro gentile che smorzava i sapori precedenti.

Piatto centrale è stato il brasato di bue con sedano glassato e purè di patate al rafano, abbinato alla Urweisse: una weizen dal colore quasi ambrato e dalla notevole presenza di lievito, dai caratteristici aromi speziati e di banana, più piena delle weizen classiche in quanto a corpo e con un sottile amaro finale. Ancor più che alla carne l'ho vista accompagnarsi bene al puré, grazie al curioso gioco tra l'acidità del rafano e i toni di frumento della birra.

Infine il semifreddo alla birra con mini brioche accompagnato dalla Celebrator, la doppelbock della casa. In effetti come periodo c'eravamo: le Doppelbock sono storicamente state create dai monaci per affrontare il digiuno quaresimale grazie alla loro ricchezza nutritiva, e un grado alcolico più basso di quanto ci si potrebbe immaginare da una birra del genere (6,7 gradi, in Belgio sarebbe considerata poco più che acqua fresca). Profumi di caramello, frutta sotto spirito, finanche liquirizia - con qualche nota tra il vinoso e liquoroso - fanno da apripista ad un corpo ben pieno in cui i malti tostati (e il colore non lascia dubbio) fanno sentire tutta la loro forza, prima di un finale sì dolce e alcolico ma più attenuato di quanto ci si possa aspettare. Anche qui, la pienezza di questa birra farebbe presupporre un grado alcolico più elevato; senza tuttavia pregiudicare una relativa facilità di beva. Personalmente ho apprezzato l'accostamento tra due dolcezze diverse, quella maltata della birra e quella pannosa del gelato; due dolcezze in cui proprio la componente del cereale fungeva da trait d'union, essendo presente in entrambi. Una nota di merito al servizio impeccabile, oltre che al cuoco o cuochi che fossero.

Naturalmente il corso ha riservato molte altre degustazioni, coronate dall'esame finale del sabato (sei birre e sei difetti alla cieca); nonché condite dal confronto tra di noi, persone di provenienze e professionalità diverse - birrai, distributori, publican, ristoratori....-, e che è quindi risultato non meno importante delle lezioni propriamente intese. Un grazie a tutti i miei compagni di corso, e arrivederci a Santarcangelo di Romagna!

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