mercoledì 11 giugno 2014

Alla corte di re Michal

Naturalmente la Repubblica Ceca non finisce a Praga, e non soltanto per gli amanti della birra: dalle terme di Carlovy Vary, ad autentici gioiellini come i castelli di Karlstejn o Cesky Krumlov, i luoghi da visitare certo non mancano. E appunto di un castello siamo andati a caccia io e Enrico, quello di Zivkov: dico a caccia perché questo posto da sogno adagiato sulle rive di un lago, che custodisce alcuni degli affreschi meglio conservati dell'intera Repubblica Ceca, si trova letteralmente nel mezzo del nulla, tanto che dopo kilometri e kilometri di campagna abbiamo finito per chiederci se non avessimo sbagliato strada (e in effetti era proprio così). Fortunatamente, parlando io in italiano e l'ignoto passante in ceco, siamo riusciti a raggiungere il castello: visita apprezzatissima, tanto più che è tenuto con una cura encomiabile, e il ragazzo all'ingresso ci ha accolti con un calore che metteva di buonumore.


A metterci di buonumore era però anche la prospettiva di alloggiare al Pivovarsky Dvur Zvikov: una birreria, ristorante e albergo, dove da vent'anni l'abile mastro birraio Michal offre agli ospiti le sue creazioni nella caratteristica sala in cui spiccano due vecchi bollitori in rame. La prima nota di colore la merita indubbiamente il personaggio: un omone in stile "gigante buono", che oltre a seguire la sua attività artigianale è anche direttore del birrificio Platan di Protivin. La sera rientra nel suo maniero, dove le spine sono collegate direttamente ai tank della zona produzione al piano inferiore - "per conservare meglio la birra", afferma - e chi vuole portarsi a casa un souvenir lo può fare in bottiglie di pet riempite al momento alle spine suddette - "mi raccomando, va bevuta entro venti giorni al massimo, perché non si conserva". Ho sorvolato sullo specificargli che era una raccomandazione del tutto superflua.

Perché in effetti le birre brassate al Pivovarski Dvur sono davvero dei pezzi unici, al di là dei gusti personali - che vengono comunque accontentati un po' tutti, data la varietà. Oltre alla Zlatà Labut' ("cigno dorato"), che di fatto non si discosta molto dalle classiche lager ceche dal corpo pieno e dalla persistenza di cereali, una vera particolarità è la Pale Ale, in cui le note amare del luppolo hanno una straordinaria evoluzione al variare della temperatura. Ad ingannarmi in pieno è stata la lager scura, che avrei giurato essere una stout date le note di tostato particolarmente piene; "No, no, questa è una stout", ha precisato Michal versandomene un'altra nonostante la mia faccia allibita. Venti gradi e non sentirli, per una birra che ricorda quasi un liquore alla liquirizia. Se la weizen, particolarmente dolce e dal corpo in cui ho colto note di mais, non mi ha entusiasmata, il meglio è arrivato alla fine: la 26° (gradi plato, non alcolici, anche se l'alcol si sente così tanto che glie ne avrei dati il doppio dei suoi 12), una scura invecchiata 14 mesi, che sprigiona aromi fruttati e note dolci e liquorose senza tralasciare una chiusura amara. Insomma, una specialità, che mi ha lasciata a bocca aperta.

La piacevole serata si è chiusa con una visita alla sala cotta al piano di sotto, e un invito alla giornata di raccolta del luppolo coltivato appena lì fuori, prevista per fine agosto. "Beh, c'è da lavorare, ma alla fine si brinda". E chi ne avrebbe mai dubitato.


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