mercoledì 16 aprile 2014

Mastro Birraio, parte terza: quanto sei bella Roma

Una delle conoscenze che ho fatto a Mastro Birraio, in realtà, non era del tutto nuova: quando vivevo a Roma avevo infatti già avuto modo di assaggiare " 'Na biretta", del birrificio Birradamare di Fiumicino. Anche questo, come il Villa Chazil di cui ho già parlato, un birrificio agricolo: si occupa cioè di tutta la produzione, dalla coltivazione delle materie prime all'imbottigliamento. Diciamocelo, peraltro, era passato un po' di tempo da quando l'avevo assaggiata: per cui si imponeva un'ulteriore indagine.

Anche qui il birraio, come tipico dei romani, mi ha accolta a braccia aperte: e ci è pure voluto del tempo per descrivere con dovizia la lunga serie di birre che brassano. La fantasia di sicuro non manca: si va dalla Raaf, con malti affumicati al fuoco di torba; alla Wild Yeast, con lieviti brettanomyces (generalmente usato per i vini, mentre per le birre è limitato alle lambic e alle gueuze); alla La Zia Ale (ok, potete ridere) che usa unicamente cereali provenienti dalla filiera agricola della regione. Senza tralasciare la Bifuel con aggiunta di uva vermentina dell'azienda agricola Torre in Pietra, la Nat rifermentata al miele, il barley wine, e la 'na Bio con farro biologico non maltato. Insomma, c'è di che confondersi.

Soprattutto se, come nel mio caso, il birraio insiste per fartene assaggiare un buon numero. Se la chiara pils, la Roma Ambrata e la Onda Bionda - una hell bock di bevuta assai facile nonostante i sette gradi - non mi sono sembrate distinguersi notevolmente da altre dello stesso genere, già la nera fa sentire la sua peculiarità, con delle note tostate all'aroma che arrivano quasi a ricordare le braci vere e proprie nella persistenza. Secondo il birraio, però, il fatto che le prime non avessero troppo carattere non è una pecca: "Così ce stanno co' tutto - ha sentenziato -, con l'amatriciana e anche con la carbonara". In effetti, risultavano tutte abbastanza "universali".

Più particolare è invece l'ultima che ho provato, la Kuasapa: una American Pale Ale con luppoli sia americani che europei, in cui l'amaro ben deciso della luppolatura non nasconde affatto gli oltre sei gradi alcolici. Anche qui non ci discostiamo troppo dal genere: però bisogna riconoscere che risulta comunque ben equilibrata nonostante l'amaro di cui parlavo, per cui non è dispiaciuta nemmeno a me che di solito non amo le persistenze di questo genere.

Insomma, un birrificio bello perché è vario, un po' come la capitale: di sicuro, tra tutte queste, qualcosa di vostro gradimento lo troverete...

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