Metti un chiostro, metti l'Emilia Romagna, metti le birre acide: no, non è l'Arrogant Sour Festival di Reggio Emilia ma Acido Acida di Ferrara. Ho aperto volutamente in maniera provocatoria semplicemente per sgombrare subito il campo dal "convitato di pietra" più pesante, ossia appunto l'Arrogant. Che, si dirà, è più anziano - l'uno è alla quinta edizione, l'altro alla terza -; e che pur non essendo stato ospitato dal Chiostro della Ghiara sin dagli inizi, anche in questo caso è arrivato prima, dato che Acido Acida si è spostato al Chiostro di San Paolo solo quest'anno. Tutto vero; però è altrettanto vero che, come ha spiegato l'ideatore Davide Franchini del pub Il Molo (nella foto), lo spirito che ha portato alla nascita di questo festival è stato diverso (dare spazio alle produzioni "estreme" inglesi); e che lo spostamento in zona più centrale è avvenuto di concerto con l'amministrazione comunale in un'ottica di sinergia con i flussi turistici, non per spirito d'imitazione. Insomma, forti somiglianze sì, ma anche volontà di differenziarsi, ha assicurato Davide, nella volontà di proseguire il suo percorso.
E di fatto, per quanto il format sia lo stesso dal punto di vista logistico e nonostante le innegabili analogie, la sensazione è stata quella di trovarsi di fronte non ad una scopiazzatura a qualcosa di diverso. In primo luogo, molto banalmente, per le dimensioni: qui stiamo parlando di una trentina di vie dedicate ai birrifici britannici più due birrifici italiani ospiti (BioNoc' e Antica Contea) e una ventina appannaggio di altri marchi ospiti; e un flusso di pubblico meno consistente, conferendo al tutto una dimensione più raccolta. In secondo luogo, il focus specifico: produzioni "estreme" da oltremanica e non necessariamente acide, al di là del nome scelto per la manifestazione, che difficilmente arrivano nei nostri lidi. Infine, la scelta di dare spazio a due ospiti italiani ritenuti di spessore: ed è su questi che mi sono personalmente focalizzata, relazionandomi principalmente con i birrifici di casa nostra.
Di Antica Contea ho provato due birre che mi mancavano, la Gose#7 e la Casa Rossa. La prima è per l'appunto una Gose con due anni di maturazione, su cui sono stati effettuati 7 travasi (di qui il nome) in piccole botti da 20 litri in ginepro. Già all'olfatto è assai intensa la nota balsamica del ginepro, che ben si sposa con quella salata; mentre la componente lattica rimane molto discreta, anche appunto in virtù dei notevoli aromi e sapori di ginepro. Una birra fresca e piacevole, non invasiva né eccessivamente persistente nonostante l'aromatizzazione, apprezzabile anche da chi non è avvezzo a questi stili. Di tutt'altra pasta invece la Casa Rossa, una flemish red ale invecchiata tre anni in botti di rovere. Ammetto di avere purtroppo un rapporto difficile con le flemish, dovuto essenzialmente ai sentori acetici, che fatico ad apprezzare; ma in questo caso ho trovato interessante come agli aromi tipici dello stile - tra il legno e il vinoso - si accostino, con la variazione di temperatura, note di frutti rossi sempre più complesse. Per intenditori ed amanti del genere, ai quali può riservare grandi soddisfazioni.
Nuova scoperta è invece stata il trentino BioNoc' , birrificio certificato Green Way, che utilizza interamente luppoli trentini di 12 varietà nati dal progetto BioLupo. E qui la cosa è stata impegnativa, perché Fabio mi ha condotta in una degustazione di tutte e cinque le birre disponibili in quel momento. Siamo partiti con la Staion, una saison (come dice il nome stesso, "stagione" in dialetto locale) dalla schiuma pannosa, densa e persistente. All'aroma appare piuttosto grezza, lasciando trasparire - ancor più che l'aromatizzazione con buccia d'arancia e coriandolo - la componente più "verace" del cereale; in bocca si rivela però inaspettatamente setosa, senza spigolosità, con una buona carbonatazione che sostiene la freschezza. Abbiamo poi proseguito con la "Le mie Gose", una Gose aromatizzata alle ciliegie, che armonizza in maniera delicata la componente lattica, salata e fruttata - una sorta di incrocio tra una Gose, una berliner weisse e una kriek - per un finale salato discretamente persistente (sale rosa dell'Himalaya, per l'esattezza).
È stata poi la volta della Albicoppe (una delle birre nate, come il nome stesso dice, dal progetto "Asso di Coppe" portato avanti dal tecnologo alimentare Nicola Coppe), una fermentazione spontanea con il 35% di frutta. La definirei una birra dall'anima belga, con una brettatura ben percepibile ma non pungente, mentre le albicocche restano delicate e morbide in bocca prima di un finale in cui l'acidità fruttata la fa da padrona. Una birra che mi ha colpita molto positivamente, ancor più dell'iperblasonata "Impompera" - una framboise con lamponi locali che si è aggiudicata il primo posto a Birra dell'anno - in cui la frutta, pur contando per "solo" il 25%, risulta assai più intensa dando un'impressione decisamente più zuccherina - ma comunque equilibrata. Un'impressione che ad ogni modo svanisce presto, dato che chiude senza sconti in maniera simile alla Albicoppe. Una fama e un premio senz'altro meritati, ma mi sono trovata a chiedermi se, nel caso in cui al concorso fosse stata presentata anche la Albicoppe, non sarebbe stata scalzata dalla concorrenza in casa: l'armonizzazione tra futta e corpo della birra raggiunta in quel caso è infatti, a mio parere, ancor più degna di nota. Da ultimo la Lipa Porca, una ipa invecchiata 22 mesi in barrique in rovere di Refosco, in cui la componente acida di tono vinoso e quella del legno non arrivano a sovrastare del tutto il potente corpo maltato. Un primo approccio con BioNoc' quindi del tutto positivo, prova - se mai ce ne fosse bisogno - di come la collaborazione tra un birrificio e un "professionista dei lieviti" possa portare frutti ragguardevoli.
Naturalmente ci sarebbe molto altro da dire sulla parte dei birrifici britannici, di fatto il focus della manifestazione: dalla rauch con chipotle "Fire" di Weird Beard Brewery (curioso il colore chiaro, a differenza di altre affumicate), alla Citrus Tart con limone e lime di Fierce Brewery, all'eccentrica "Breakfast of champignons" (con lieviti selvaggi, funghi disidratati, pepe nero, timo e sale marino) di Wild Beer; ma mi fermo qui per amor di sintesi. Senz'altro si coglie un notevole sforzo organizzativo dietro all'evento, soprattutto contando che la squadra che lo porta avanti non è numerosa, e di questo va dato atto. Definirei quindi Acido Acida una manifestazione "di genere" che può fare la felicità di chi ama i birrifici inglesi, le produzioni fuori dagli schemi (acide o meno che siano) e ama gustarle in contesti non troppo affollati, in tutta tranquillità.