domenica 6 novembre 2016

Mastro Birraio a Pordenone, secondo weekend: le altre novità

Il mio secondo fine settimana in Fiera è iniziato con una visita dai ragazzi di Chianti Brew Fighters, birrificio - come dice il nome stesso - della zona del Chianti, aperto da quattro mesi. Quattro come le birre che hanno portato - insieme ad una ventata di simpatia, bisogna riconoscerlo - e che, nella loro volontà di "mettere la toscanità" anche nelle loro birre, hanno stampato una citazione dalla Divina Commedia su tutte le etichette: basti dire che la loro stout, e quindi "oscura", è stata battezzata Selva. Ho iniziato dalla Serpe, una California Common, stile non molto battuto dai microbirrifici - che ha la particolarità di utilizzare un lievito da bassa fermentazione a temperature elevate: profumo di mou in cui è ben percepibile anche il lievito - forse un po' troppo per i miei gusti in realtà, ma non a livelli esagerati - , corpo pieno sempre su questi toni, seguito da un finale più secco di quanto ci si sarebbe potuti aspettare. E infatti la buona attenuazione per amor di bevibilità - oltre che la carbonatazione sobria - è uno dei capisaldi dei Chianti Brew Fighters: anche nel caso della Bestemmia, una belgian strong ale da otto gradi a cui se ne darebbero sì e no la metà, con profumi tra la crosta di pane, il fruttato e lo speziato da lievito come d'ordinanza, per un corpo in cui i toni dolci di caramello e frutta secca rimangono comunque moderati prima di un finale secco e pulito per lo stile. A colpirmi è stata però più di tutto la Selva, una stout che - mi avevano avvisato - "non è per niente dolce, abbiamo voluto farla così": nonostante il corpo non eccessivamente robusto, in un secondo momento arrivano in bocca intensissime note tostate tra il caffè, la liquirizia e i semi di cacao "puri", che già all'aroma si erano fatti sentire, ma solo verso la chiusura - e nella buona persistenza, nonché al retrolfatto - esprimono tutta la loro forza pur mantenendo l'equilibrio. Amanti del caffè rigorosamente senza zucchero e del cioccolato rigorosamente fondente nero, fatevi avanti. Scherzi a parte, i ragazzi del Chianti mi hanno dato l'impressione di essere sì ai primi passi ma di aver posto buone basi per una futura crescita, anche perché - eccezione forse per la California Common - hanno saputo lavorare su stili sì classici e consolidati, ma dando la loro interpretazione senza pasticciarla: dote non sempre scontata in chi ha appunto iniziato da poco. Nei loro progetti per il futuro, venendo da una terra di vino "a cui però vogliamo proporre anche la birra", manco a dirlo c'è una Grape Ale: che a questo punto attendo con fiducia.

Sono poi passata da Della Granda, per il quale non basterebbero tre post dato che il parco birre che mi ha tirato fuori il buon Luca era di quelli da far impallidire. Mi limito quindi a citarne un paio, nella fattispecie la Lips - una gose semplice e delicata (stile originario di Lipsia, da cui il nome), accessibile anche a chi si accosta a questo genere per la prima volta, e che si è aggiudicata il titolo di miglior gose italiana ai World Beer Awards - e la Alchemy, una Grape Ale con Moscato: man mano che si scalda emergono sempre più evidenti e intensi i profumi caldi e dolci del vino, ma al palato i sapori dati dal mosto fanno più da sfondo e accompagnamento al vigoroso corpo maltato che da protagonisti: insomma, rimane una birra, in un equilibrio tra le due componenti - malto e mosto - che personalmente ho apprezzato; così come è apprezzabile l'attenuazione relativamente buona per una birra di questo genere, tanto che i nove gradi non si sentono affatto. Luca ha anche preannunciato un'altra novità barricata, per cui non resta che attendere con ansia.

Sosta successiva è stata al Santjago dove ho provato la nuova Doré Royal, una red ale aromatizzata al coriandolo: personalmente ho trovato che, sia all'aroma che poi in particolare nel retrogusto e retrolfatto, la spezia fosse un po' troppo intensa tanto da arrivare a cozzare - mentre al palato, nella parte centrale della bevuta, tende più ad amalgamarsi con la dolcezza caramellata del malto; opinione che, naturalmente, potrebbe non essere condivisa dagli amanti del coriandolo. Da Barbanera ho invece trovato la Ora d'Ora, una apa dagli aromi delicati tra il fruttato e l'agrumato come da manuale, e dal corpo più scarico e finale più evanescente rispetto ad altre dello stile: caratteristica che mi è stata presentata come voluta, nell'intento di garantire maggior bevibilità - anche se personalmente avrei gradito magari un po' più di vigore, giocando su altri fattori per "pulire" la chiusura. Comunque fresca e dissetante, su questo non c'è dubbio.



Da ultimo - ma non per importanza - Rattabrew, dove mi sono lanciata in una curiosa degustazione all'incontrario: perché - complici le chiacchiere con Chiara, che ringrazio - tutto è iniziato volendo assaggiare la birra natalizia e quindi la più forte, ma poi le novità erano anche altre e quindi "come non approfittarne". La DeNadae, infatti, è ciò che in maniera un po' triviale si potrebbe definire "tanta roba": una base di dark ale con miele di acacia e millefiori, maturata in botti di whisky del 73. E all'aroma infatti escono in tutta la loro forza le note liquorose e di legno, con una lieve ossidazione di fondo; mentre in bocca arrivano i toni dolci di whisky e quasi di vaniglia, complice il miele, prima di un finale liquoroso e ben persistente. Per palati forti, ma che può dare grandi soddisfazioni agli amanti del genere. A seguire c'è stata la Imperatrice, una una Imperial Ipa equilibrata e secca, che sotto i profumi agrumati e resinosi cela un corpo beverino che maschera bene i suoi 8 gradi; e infine - eresia! - la nuova versione della Jesse White, una Belgian Wheat con pepe rosa macinato, in cui la spezia non risulta invasiva grazie all'armonizzazione con la scorza d'arancia e il coriandolo.

E qui mi fermo, almeno per ora: da Pordenone mi è infatti rimasta "in eredità" qualche bottiglia da provare...per cui rimanete sintonizzati!

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