mercoledì 25 marzo 2015

La birra "come una volta"

Avete mai assaggiato una lambic? O una geuze? O una kriek? Beh, dimenticatevela. Al di là del fatto che vi possano piacere di più o di meno rispetto a quelle classiche, le birre a fermentazione spontanea del birrificio Oud Beersel sono "tutta un'altra cosa" rispetto alle omologhe, come ho avuto modo - e piacere, devo dire - di constatare di persona visitando il birrificio.

La storia di Oud Beersel è tanto lunga quanto curiosa. Il birrificio è stato fondato nel 1882 da Henri Vandervelden, raccoglitore di frutti e dipendente del birrificio De Kroon. Il birrificio è rimasto proprietà di famiglia per oltre un secolo crescendo ed innovando, tanto da fondare nel 1973 il primo museo della birra del Belgio situato in uno stabilimento; ma nel 1991 l'ormai anziano birraio Henri Vandervelden II è andato in pensione, e Danny Draps, proprietario del pub accanto al birrificio, dopo aver preso in mano anche l'attività di quest'ultimo ha prima esternalizzato la produzione del mosto al birrificio Boon, ed infine chiuso entrambe le attività nel 2002. E' così che l'allora venticinquenne Gert Christiaens, nello scoprire una sera nella sua birreria preferita che quella davanti a lui era una delle ultime bottiglie disponibili, ha deciso di dimenticare i passati studi di economia e informatica e rispondere all'appello del vecchio birraio per trovare un successore. Dopo due anni di studi a Lovanio e la pratica sotto la guida di Henri, Gert ha riavviato la produzione nel 2005 - di qui lo slogan "Beer traditions reborn", tradizioni birrarie rinate - insieme a Roland de Bus: prima con la Bersalis Tripel - una bionda ad alta fermentazione di produzione più "rapida" per raccogliere liquidità, dato che le birre acide necessitano da uno a tre anni di maturazione -, e l'anno successivo le prime lambic giovani e kriek hanno visto la luce - pardon, la bottiglia. Oggi la produzione è arrivata a 2800 ettolitri annui, e gli attestati dei premi appesi alle pareti - "il Wall of fame", l'ha battezzato Gert - non si contano. Una onlus locale organizza visite guidate ogni settimana - finanziando così l'associazione e portando clienti al birrificio al tempo stesso -, che si concludono nel fornitissimo spazio vendita e degustazione - notevoli anche i cioccolatini da abbinare, prodotti da un'altra associazione. Insomma, qui si fa business, e lo si fa in maniera coordinata e ragionata.


Gert ci ha guidati in una lunga passeggiata tra le botti - da quelle più antiche in cui era conservato in vino porto, sbarcate ad Anversa, alle più recenti prodotte dal coneglianese Garbellotto - raccontandoci della situazione attuale e dei progetti futuri: per ora il mosto è ancora prodotto da Boon, perché il vecchio impianto non è più utilizzabile e "vogliamo fare un passo alla volta: prima cresciamo, poi facciamo l'investimento". La soglia critica, secondo Gert, è quella - ormai vicina - dei 3000 hl/anno, che permetterebbe di aggiungere un terzo dipendente; "ma non ho fretta, ho voluto salvare questa birra, ed è questo che mi interessa". Una birra che, appunto, è ancora prodotta all'antica maniera e secondo l'antica ricetta, miscelando i lambic dalle varie botti - dato che non sono tutti uguali - per equilibrare il risultato finale, ed ottenere il giusto tono di acidità - "perché di fare aceto sono capaci tutti, basta lasciare lì la bottiglia e aspettare che il tempo passi". Altra caratteristica peculiare è l'assenza di zuccheri aggiunti, anche nel caso della kriek e della framboise: "Tanti addolciscono la birra con lo zucchero per renderla più gradevole ed usare meno frutta - ha spiegato Gert -, ma noi nelle nostre lambic usiamo 400 g di ciliegie per litro e nient'altro. Proprio come si faceva una volta".

Il risultato finale, in effetti, è qualcosa che ammetto di non aver mai sentito prima: un equilibrio encomiabile tra le note dolci e quelle acide, e un gusto di ciliegia particolarmente intenso che si sposa con entrambi i sapori lasciando un finale in cui l'acidulo del frutto si confonde con quello della birra. Anche il lambic liscio di due anni che ho provato aveva un'acidità morbida e non aggressiva, intensa senza essere pungente; mentre la geuze rivela profumi ed una dolcezza inaspettata al palato, quasi fruttata, che rende poi giustizia alla sua natura di birra a farmentazione spontanea con un tocco di acidità finale.

Anche se non siete appassionati di birre acide, qui vale la pena provare: se non altro per la soddisfazione di poter dire di aver bevuto la birra "come una volta"...

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