Ho colto l'occasione di una delle serate a tema organizzate dal birrificio B2O - per la precisione la "Serata veneta", una cena con piatti di pesce della tradizione locale rivisitati secondo la "sensibilità birraria" ed abbinati alle birre della casa - per provare la cucina del nuovo chef, Galdino Aggio. Nell'intervistarlo per conto del birrificio - intervista che trovate a questo link - mi era infatti sorta di conseguenza la curiosità di provare le sue creazioni; tanto più che, in questo caso, c'era anche l'effetto sorpresa, avendo Galdino e collaboratori scelto di non rendere noto come la birra sarebbe stata usata nelle preparazioni e come sarebbe stata abbinata ai piatti.
La serata è iniziata con un aperitivo di benvenuto, la Helles Sibilla accompagnata dal baccalà mantecato. Una birra semplice e delicata per un baccalà che in effetti lo era altrettanto; e anche se personalmente avrei osato una blanche, la Terra - che lo staff del birrificio mi ha però riferito di aver scartato perché, data la sua speziatura abbastanza importante, andava a sovrastare il baccalà stesso - devo dire che si è trattato di un gradevole connubio tra i due sapori. Nota di merito anche per il pane artigianale del forno di Lugugnana, che tiene insieme in maniera magistrale la croccantezza saporita della crosta con la morbidezza neutra dell'interno.
Più elaborato l'antipasto, un bis di sarde - in saor, come da tradizione veneta, e "rivisitate" alla blanche e scorza di limone - abbinate alla weizen Jam Session. Ottima l'idea di far sposare la tradizionale ricetta veneta con l'agrumato e lo speziato della blanche, che fa molto bene il paio con il frumento della weizen - della quale in questo caso non risultava nemmeno troppo percepibile l'amaro finale più netto per la media dello stile, "marchio di fabbrica" della Jam Session. Per quanto l'abbinamento non risultasse fuori luogo nemmeno per le sarde in saor, ho ammesso che le avrei viste meglio con la red ale Brussa, così da accompagnare l'agrodolce del pesce con il corpo maltato e "pulire" con l'amaro finale; Brussa che mi è stata gentilmente fornita in assaggio, e che - almeno per quella che è la mia personale sensibilità - ha confermato ciò che avevo pensato.
La portata più sorprendente è però risultata essere il primo, i tagliolini al nero di seppia abbinati alla Grodziskie - un accostamento al quale ammetto che non avrei mai pensato. L'affumicato della birra si accompagnava infatti benissimo alla pastosità della seppia, dandole un tocco di sapore del tutto peculiare, e "tagliando" al tempo stesso la persistenza del pesce. Nota di merito peraltro ai tagliolini in sé e per sé, di cui si coglieva bene la freschezza.
Di nuovo un bis di pesce della tradizione per il secondo - classico baccalà alla vicentina da un lato, e quello alla veneziana sfumato con la Helles dall'altro - accompagnati dalla polenta e abbinati alla apa Edgard. Un abbinamento con cui direi che si è riusciti nella non facile impresa di coniugare due preparazioni così diverse, in quanto al baccalà alla vicentina rendeva meglio giustizia il taglio amaro agrumato sul finale, e a quello alla veneziana la componente maltata del corpo discretamente robusto ma scorrevole. Cruciale poi il ruolo della polenta nell'amalgamare tutti i sapori e fare da ponte.
Da ultimo il dolce, i biscotti al radicchio di Treviso abbinati alla natalizia xmaStrong. Ammetto di non aver colto moltissimo l'amaro del radicchio; ad ogni modo la frolla può accompagnare bene una birra importante come questa - con figo moro di Caneva Igp e maturata in botti di rovere, dai sentori fruttati e liquorosi -; così come ancor meglio potrebbe accompagnarsi ad un panettone.
Nel complesso, non posso che definirla (e con piacere) una cena degustazione ben costruita, in cui lo staff ha dato prova di competenza sia sotto il profilo culinario che sotto il profilo brassicolo; e c'è da augurarsi che questo filone possa sempre meglio svilupparsi - in B2O nello specifico, data la nuova avventura appena intrapresa, ma anche nelle tante altre realtà che si sono avviate su questa strada.
Concludo con un ringraziamento a tutto il personale per la sua cordialità e disponibilità; e congratulazioni al nuovo cuoco, che sono certa porterà interessanti novità alla cucina del birrificio.
Il mio blog di avventure birrarie, descrizioni di birre, degustazioni, e notizie dal mondo della birra artigianale.
domenica 16 dicembre 2018
venerdì 7 dicembre 2018
Proposta di emendamento sulla riduzione delle accise: alcune considerazioni
E' rimbalzata con grande impeto l'approvazione dell'emendamento alla legge di bilancio avanzato dall'on. Chiara Gagnarli, che prevede una riduzione del 40% sulle accise per tutti i birrifici al di sotto dei 10.000 hl annui di produzione. Manca ancora l'approvazione del Senato, ma si attende con trepidazione quello che è un traguardo agognato da tempo: per quanto la proposta originale fosse più articolata - prevedeva infatti diversi scaglioni di riduzione, di cui alla fine ne è stato accolto soltanto uno - si tratta comunque di un passo avanti di grande portata per il settore.
In primo luogo, si può dire che "temperi" in qualche modo il limite palesemente "in crescita" posto dalla legge sulla birra artigianale del 2016 - 200.000 hl, da molti considerato eccessivo - accostando, all'attenzione per l'artigianalità, quello per la tutela dei produttori "effettivamente piccoli". In secondo luogo, è di vasto impatto perché riguarda la stragrande maggioranza dei birrifici artigianali operanti: stando all'ultima edizione della guida Slow Food, quelli al di sopra dei 10.000 hl si contano letteralmente sulle dita di una mano - sono infatti 5: Amarcord, Baladin, Salento, Tenute Collesi e Flea. Una platea quindi estremamente vasta, coinvolgendo oltre 700 birrifici veri e propri, più tutti i brewpub e beerfirm.
C'è però chi si è chiesto se questo limite possa agire in qualche misura da freno alla crescita, ponendosi come "deterrente" per fare il grande salto produttivo per tutti quei birrifici poco al di sotto di questa soglia - o che comunque pianificano un incremento produttivo tale da porla come realisticamente raggiungibile. Anche qui: buona parte dei birrifici artigianali italiani è comunque lontana da questi quantitativi, per cui non è un problema che si porrà nel breve termine; ma se continuerà la (pur lenta) crescita dell'incidenza della quota di mercato delle birre artigianali sui consumi totali di birra (in crescita ancor più lenta), unitamente alla presumibile chiusura di diversi microbirrifici nati sull'onda del boom ma senza un solido progetto imprenditoriale alle spalle, la questione prima o poi si porrà. Già alcuni sono sulla buona strada: Lambrate con 8200 hl, Birrificio Italiano con 7500, Elav e San Gabriel con 6000 (e fermiamoci qui, giusto per non arrivare a pronosticare un raddoppio della produzione). Davvero l'accisa aumentata può fungere da deterrente?
Verosimilmente, come spesso nella vita, la risposta è "dipende": ogni piano industriale che si rispetti mette in conto, insieme agli investimenti per la crescita, anche i costi strutturali che ci saranno poi per "foraggiare" una produzione più ampia - che si auspicano però più che compensati dalle economie di scala. Stando allo studio realizzato da Mobi nel 2016 (fonte che al momento trovo ancora la più completa, per quanto datata, e del quale avevo già scritto qui), a seconda delle dimensioni del birrificio, le accise arrivano a pesare da un decimo a un settimo dei costi totali di produzione - su cui si avrebbe ora un risparmio che ammonterebbe a circa il 45%, considerando l'ulteriore riduzione dell'accisa generale; arrivando dunque ad incidere per una percentuale media che possiamo stimare sul 4-5% dei costi. Numeri significativi, certo, ma che non appaiono tali da essere ingestibili all'interno di un piano di crescita ben concepito. Certo una disciplina a più scaglioni, come richiesto anche da Unionbirrai, avrebbe consentito di assorbire meglio questi costi grazie ad un aumento graduale: e questo è sicuramente uno degli aspetti problematici della mancata applicazione. Rimane comunque importante che i birrifici più piccoli possano, grazie a questa riduzione dell'accisa, avere una maggior marginalità da destinare agli investimenti legati all'avvio dell'attività e alla crescita.
Se davvero questo emendamento si manterrà tale all'interno del gran balletto della manovra a cui stiamo assistendo in questi giorni, si tratterà di una pietra miliare per il settore della birra artigianale in Italia: non resta che stare a vedere...
In primo luogo, si può dire che "temperi" in qualche modo il limite palesemente "in crescita" posto dalla legge sulla birra artigianale del 2016 - 200.000 hl, da molti considerato eccessivo - accostando, all'attenzione per l'artigianalità, quello per la tutela dei produttori "effettivamente piccoli". In secondo luogo, è di vasto impatto perché riguarda la stragrande maggioranza dei birrifici artigianali operanti: stando all'ultima edizione della guida Slow Food, quelli al di sopra dei 10.000 hl si contano letteralmente sulle dita di una mano - sono infatti 5: Amarcord, Baladin, Salento, Tenute Collesi e Flea. Una platea quindi estremamente vasta, coinvolgendo oltre 700 birrifici veri e propri, più tutti i brewpub e beerfirm.
C'è però chi si è chiesto se questo limite possa agire in qualche misura da freno alla crescita, ponendosi come "deterrente" per fare il grande salto produttivo per tutti quei birrifici poco al di sotto di questa soglia - o che comunque pianificano un incremento produttivo tale da porla come realisticamente raggiungibile. Anche qui: buona parte dei birrifici artigianali italiani è comunque lontana da questi quantitativi, per cui non è un problema che si porrà nel breve termine; ma se continuerà la (pur lenta) crescita dell'incidenza della quota di mercato delle birre artigianali sui consumi totali di birra (in crescita ancor più lenta), unitamente alla presumibile chiusura di diversi microbirrifici nati sull'onda del boom ma senza un solido progetto imprenditoriale alle spalle, la questione prima o poi si porrà. Già alcuni sono sulla buona strada: Lambrate con 8200 hl, Birrificio Italiano con 7500, Elav e San Gabriel con 6000 (e fermiamoci qui, giusto per non arrivare a pronosticare un raddoppio della produzione). Davvero l'accisa aumentata può fungere da deterrente?
Verosimilmente, come spesso nella vita, la risposta è "dipende": ogni piano industriale che si rispetti mette in conto, insieme agli investimenti per la crescita, anche i costi strutturali che ci saranno poi per "foraggiare" una produzione più ampia - che si auspicano però più che compensati dalle economie di scala. Stando allo studio realizzato da Mobi nel 2016 (fonte che al momento trovo ancora la più completa, per quanto datata, e del quale avevo già scritto qui), a seconda delle dimensioni del birrificio, le accise arrivano a pesare da un decimo a un settimo dei costi totali di produzione - su cui si avrebbe ora un risparmio che ammonterebbe a circa il 45%, considerando l'ulteriore riduzione dell'accisa generale; arrivando dunque ad incidere per una percentuale media che possiamo stimare sul 4-5% dei costi. Numeri significativi, certo, ma che non appaiono tali da essere ingestibili all'interno di un piano di crescita ben concepito. Certo una disciplina a più scaglioni, come richiesto anche da Unionbirrai, avrebbe consentito di assorbire meglio questi costi grazie ad un aumento graduale: e questo è sicuramente uno degli aspetti problematici della mancata applicazione. Rimane comunque importante che i birrifici più piccoli possano, grazie a questa riduzione dell'accisa, avere una maggior marginalità da destinare agli investimenti legati all'avvio dell'attività e alla crescita.
Se davvero questo emendamento si manterrà tale all'interno del gran balletto della manovra a cui stiamo assistendo in questi giorni, si tratterà di una pietra miliare per il settore della birra artigianale in Italia: non resta che stare a vedere...
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