Come sempre quando conosco un nuovo birrificio, ancor prima che la degustazione delle birre apprezzo il fatto di fare una chiacchierata con il birraio o con il titolare (e possibilmente con entrambi, nel caso in cui non coincidano); in questo caso mi ha accolta un membro della famiglia Zanin, Massimo, che mi ha raccontato come - dopo un passato nel settore del marmo - sia giunto infine all'agricoltura e alla birra. Massimo non fa mistero di come utilizzi per la birra la stessa filosofia che utilizza per il prosecco: tanto è vero che non ha avuto peli sulla lingua nel dire che cosa pensa della birra in lattina o delle birre particolarmente audaci sotto il profilo della luppolatura - "Tu lo berresti mai un buon vino in lattina? No, per una questione d'immagine ci vuole una bella bottiglia"; "Con le luppolature forti sono capaci tutti di nascondere i difetti: per capire se uno fa un buon vino bevo il prosecco col fondo, perché su quello non menti, e lo stesso vale per le birre".
Massimo mi ha spiegato di aver puntato a birre di estrema semplicità e facilità di beva, secche e sobrie sotto il profilo sia dell'aroma che dell'amaro, essendo questi i gusti del pubblico a cui La Piave si rivolge; ed è quindi su queste linee che si è mosso Enrico per le sei birre fisse, che prendono tutte il nome da luoghi significativi per il fiume. Ne ho provate quattro, di cui per prima la blanche Fontanebianche: all'aroma speziato d'ordinanza estremamente delicato, accompagnato da una punta acidula da frumento; corpo scorrevole che, se in prima battuta appare evanescente, esibisce poi un ritorno di frumento prima di un finale neutro, senza persistenza alcuna. Sono poi passata alla pils Peralba, che pur utilizzando il luppolo Saaz come da tradizione ne fa un uso assai sobrio, coerentemente con i profumi appena accennati del cereale; anche nel corpo questa componente rimane molto meno robusta rispetto alla media delle pils, così come l'amaro finale, sufficiente sì a chiudere la bevuta ma ricordando piuttosto quello più delicato delle Helles.In terza battuta la apa Veneta: cascade ben percepibile con il suo aroma di pompelmo, ma anche qui misurato e sostenuto dal leggero tostato da cereale. Tostato che, dopo un corpo scorrevole per quanto non così esile come i precedenti, ritorna sul finale, avendo quasi la meglio sul taglio amaro citrico che chiude la bevuta. Da ultimo la red ale Isola Rossa, che con i suoi aromi caramellati e di biscotto, con una punta di legno e frutti rossi, farebbe pensare ad una birra che esuli dalla filosofia delle precedenti esibendo maggior forza: invece anche in questo caso il corpo - pur non esilissimo - scorre al pari dei precedenti, con però la sorpresa di un amaro erbaceo e secco finale un po' più evidente che non lascia indulgere al palato le note di caramello a beneficio del sorso successivo.
Ammetto di essere abituata a birre più caratterizzate, e che ai palati di alcuni quelle de La Piave potrebbero apparire creazioni fin troppo "misurate" sotto il profilo gustativo; ma non posso non riconoscere che sono state costruite in maniera perfettamente rispondente alle intenzioni dichiarate, e che il birraio lo ha saputo fare in maniera pulita ed equilibrata - senza creare cioè alcuna discrasia tra aroma, corpo e chiusura, ma rimanendo leggero e pulito su tutte le componenti - a beneficio appunto di una beva facile e senza pensieri. Rimango curiosa di vedere futuri sviluppi, magari riguardanti qualche birra in edizione limitata: con Massimo ho provocatoriamente sollevato l'idea di una iga, data la produzione di prosecco della casa, e lui mi ha confermato che anche il birraio aveva avanzato la stessa proposta. Indubbiamente potrebbe essere un percorso interessante per unire i gusti della clientela - sicuramente ben disposta verso il Prosecco, essendo una produzione tipica locale -, sperimentazioni che esulano dagli stili "storici" e creatività del birraio
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