Aveva suscitato vive reazioni nel mondo birrario, in occasione dell'ultima edizione del Vinitaly, la presentazione della "Carta dei Prosecchi" per le pizzerie su iniziativa del Consorzio tutela del Prosecco doc - ben descritta in questo articolo di Repubblica. E fino a qui sarebbe stata semplicemente un'iniziativa di promozione e di marketing come tante altre; se non fosse che, quantomeno dal taglio dell'articolo (e qui da giornalista ricordo che il titolo di solito non lo fa chi scrive, quindi non prendetevela né con l'autrice né con chi ha presentato il progetto, che per quanto ne sappiamo potrebbero non aver mai usato quelle parole) era trasparso un chiaro intento polemico nei confronti della birra, più che la semplice proposta di un'alternativa. Avevo letto ed ero anche passata oltre, derubricandola a querelle che sarebbe durata il tempo di leggere e commentare. Poi però mi è comparso, come post suggerito sulla mia bacheca Facebook, questo pezzo - peraltro non datato, ma il post su Fb è del 10 maggio, quindi posteriore al Vinitaly - di WineDo, in cui si affronta il tema dell'abbinamento pizza-vino (e anche in questo caso le righe di presentazione del post avevano toni assai più polemici di quelli dell'articolo, per cui di nuovo faccio salva, a costo di essere ingenua, la buona fede dell'autore). Al che mi sono detta: ohibò, ma tutti adesso?
Di proporre la birra come bevanda da pasto in alternativa al vino si parla da anni, ed è sempre più spesso comunemente accettato; però nella massima parte dei casi l'ho visto fare non ponendo la birra come superiore al vino, ma come bevanda con pari dignità ma erroneamente non considerata. Anche di pizza e vino si parla da tempo; così come di abbinare diversi tipi di birra a diversi tipi di pizza perché, diciamocelo, la classica bionda con la margherita non è esattamente l'accostamento più indovinato. Si potrebbe dire, anzi, che siamo già oltre il conflitto e stiamo andando verso la sintesi: basti dire che esistono percorsi per sommelier del vino che includono anche lo studio della birra e viceversa (ad esempio il corso di primo livello dell'Ais che vi dedica l'undicesima lezione, o il master "Beer&Wine fusion della Doemens Akademie) e ristoranti e pizzerie che per ciascun piatto propongono sia un vino che una birra da abbinare. Aggiungiamoci pure che diverse aziende agricole che producono vino hanno iniziato a produrre anche birra - il che naturalmente non è reato, ma altrettanto naturalmente va fatto con le giuste competenze per non risultare una discutibile operazione di business fine a se stesso. Ancora, potremmo citare come le Iga abbiano in più casi aperto interessanti collaborazioni tra birrifici e cantine. Perché dunque tutta questa acrimonia?
La prima spiegazione potrebbe essere, molto banalmente, che sia nel mondo della birra che in quello del vino non tutti sposano la linea della conciliazione: siamo in tanti con tante idee, e quindi c'è chi sceglie di difendere le proprie posizioni andando all'attacco. E qui si innesta la seconda spiegazione che molti hanno citato: i produttori di vino iniziano a sentirsi braccati a fronte dell'avanzata della birra nella ristorazione, peraltro con una rosa (almeno potenzialmente) assai più ampia di opzioni gustative, e quindi risponde screditando l'avversario in quello che è stato tradizionalmente il suo campo - la pizza - così da recuperare le quote perse nel resto della ristorazione. A parte il fatto che reagire denigrando è tipico di chi non ha argomenti, se così fosse davvero staremmo assistendo ad uno stravolgimento non da poco: nell'Italia del vino, dove non è mai stato necessario spiegare il perché del vino a tavola - ma piuttosto quello della birra -, che il vino abbia bisogno di aggrapparsi all'unico settore della ristorazione in cui è in minoranza (per quanto sia un settore estremamente popolare, con un giro d'affari di oltre 6 miliardi di euro annui secondo i dati Doxa/Assobirra 2017) è sintomo di un cambiamento significativo. E' anche vero che, se allarghiamo al mondo, il giro d'affari è dieci volte tanto (dati Fipe): e con l'export che ha il vino italiano (21 milioni di ettolitri annui, secondo i dati presentati a Vinitaly), la cosa non è secondaria.
Rimanendo in casa nostra, per quanto si possa collaborare tra birra e vino, la questione tutt'altro che peregrina è comunque quella che i birrifici artigianali ben conoscono: se siamo sempre di più a spartirci la stessa torta, le fette sono sempre più piccole. E in Italia sia i consumi di vino che quelli di birra, pur essendo in leggera risalita, non stanno comunque registrando una crescita impetuosa: dai 30 litri procapite annuali del 2015 ai 31 del 2016 per la birra secondo Assobirra, e dai 34,5 ai 36 per il vino nello stesso periodo secondo OIV. In questo caso però va detto che, pur risalito dal minimo di 33 del 2014, il vino è ancora ben lontano dalla quota 43 del 2008; mentre la birra ha fluttuato meno, rimanendo in generale abbastanza stabile attorno a quota 30. Va anche detto che il vino ha conosciuto un andamento assai più diversificato al suo interno: i dati Censis appena presentati a Federvini portano crescite a doppia cifra per vini doc e igp, cosa che non si può dire di altre fasce. Per cui anche parlare di "tonfo" dei consumi di vino non sarebbe esaustivo.
Insomma, la realtà come sempre è molto sfaccettata, ed è difficile trarre una lettura univoca da tutte queste considerazioni. Sicuramente birra e vino dovranno sempre più confrontarsi sullo stesso terreno, mentre un tempo viaggiavano su binari perlopiù separati: sarà da vedere se sceglieranno di farlo combattendo per le proprie posizioni nella logica del gioco a somma zero, o se la collaborazione potrà essere la chiave per cambiare la somma del gioco risvegliando un maggior interesse da parte del pubblico.
Ti è piaciuto questo post? Condividilo!
Nessun commento:
Posta un commento