venerdì 19 agosto 2016

Definizione di birra artigianale: la voce dei birrai

Quando il 6 luglio scorso era stata diffusa la notizia dell'approvazione in Senato della definizione legale di birra (e birrificio) artigianale, avevo diramato una mail a tutti i birrai di mia conoscenza per ricevere un parere in merito. Nell'immediato erano stati in pochi a rispondere, per cui ho atteso di avere più materiale prima di scrivere qualcosa; ed ora che, a onor del vero, ne ho in quantità tale da doverlo riassumere, direi che il momento fatidico è giunto.

Le prime impressioni a caldo sono tutte state abbastanza in linea: da chi, come Gabriele del birrificio Valscura (nella foto), assicura che di sicuro non cambierà le etichette solo per il gusto di scrivere "birra artigianale"; a chi, come Alessandro Giuman de Il Birrificio Del Doge, afferma che "definire la birra artigianale non poterà cambiamenti al nostro lavoro", nessuno si aspetta miracoli. Al massimo ci si augura che - per dirla sempre con Alessandro, ma è naturalmente un punto citato da tutti - questa norma non funga da "apriporta" per l'accisa differenziata.

Altri poi, come Patrice di Sognandobirra, si soffermano sui parametri - non pastorizzazione, non filtrazione e quantitativo limitato - usati per definire i birrifici e la birra artigianali: "Ognuna di queste caratteristiche perché deve identificare l'artigianalità? - si chiede - E se un'azienda industriale ne producesse una piccola quantità con le medesime caratteristiche? Per me si parte dando troppa importanza al termine artigianale: la birra va descritta andando al sodo elencando i pregi e spiegando ai consumatori le caratteristiche, e questi decideranno se ciò che bevono è buono o no. La birra o è buona o non lo è, che sia un piccolo o un grande produttore a farla. Se Sognandobirra un domani crescerà e produrrà un quantitativo che va oltre i limiti imposti mantenendo le stesse caratteristiche di ora, la birra perderà di valore? Il problema sta nella nostra italianità: è più importante mettere paletti che dare il peso alla protagonista, la birra. Ora mi tirero' dietro gli insulti di molti cultori o colleghi che tengono a questo termine. Usatelo pure ora che potete, io continuo a lavorare come ho sempre fatto".

Su una linea di pensiero simile si pone anche Ivan Borsato: "Certamente è importante identificare il prodotto artigiano sull'etichetta, e pretendere che i grandi produttori non usino a sproposito il termine - afferma -; ma questa legge saprà tirare fuori gli strumenti giusti per identificare il prodotto di qualità? Perché se birra artigianale non è un sinonimo di birra di qualità, allora cosa l'abbiamo identificata a fare? Chi ha scritto questa legge si è dimenticato di
un concetto basilare: fare la birra a mano. Un artigiano è tale se lavora con le proprie mani, se il prodotto che ne esce contiene estro e creatività per i quali siamo internazionalmente riconosciuti. Ci sono imposizioni con la microfiltrazione che sono tecnicamente labili: cos'è la microfiltrazione? Filtrare una birra per stabilizzare il suo shelf life? Allora è fondamentale per i produttori che si vogliano affacciare all'export, specie per lidi lontani. Poi resto impressionato dalle grandezze di riferimento per identificare i birrifici artigianali: 200.000 hl l'anno, quando la media dei birrifici artigianali italiani è 750 hl anni (fonte Assobirra). Ritengo la legge un'ottima base, anche perché fissa il requisito dell'indipendenza dei birrifici, ma dovremo fare un passo in più verso la qualità oggettiva, l'artigianato, l'export". Dubbi simili in quanto alla definizione di microfiltrazione e alla necessità di stabilizzare il prodotto per la spedizione li ha espressi anche Lorenzo Serroni di The Lure, che si augura che - con tutte le incertezze ancora esistenti sulla norma - non si sia "chiuso un buco, ma aperto un burrone".

Altra questione scottante è infine quella dei beerfirm, che la legge parrebbe escludere dalla definizione di birrifico artigianale in quanto non possiedono impianti propri: e su questo fronte l'unica voce che ho ricevuto è quella di Paolo Costalonga, di Birra di Naon. "Ai beerfirm credo vada riconosciuto il merito culturale di contribuire al fenomeno della birra artigianale italiana di questi ultimi anni - afferma -. Dal punto di vista economico-produttivo poi, credo che il merito maggiore sia quello di aiutare ad ammortizzare gli impianti dei piccoli birrifici artigianali e ad aumentare il loro potere contrattuale (per esempio l'acquisto di fusti, bottiglie, etichette, scatoloni). Cose che aiutano non poco. Detto ciò, al di là della definizione legislativa, la mia domanda è se sia più artigianale una birra fatta in uno stabilimento non di proprietà che produce meno di 1000 ettolitri anno, utilizzando materie prime a filiera corta, oppure una birra fatta in uno stabilimento di proprietà che produce 199.000 ettolitri anno utilizzando materie prime comperate esclusivamente all'estero e processi che escludano quasi completamente l'intervento umano. In ogni caso credo che i consumatori, anche se non vedranno nell'etichetta la scritta “birra artigianale”, riusciranno a percepire l'artigianalità del prodotto. La definizione normativa è stata creata, è vero, per riconoscere finalmente il lavoro di molti, ma potrebbe porre le basi di una nuova discrimminazione nei confronti del lavoro di molti altri".

Da ultimo, l'opinione di un veterano del settore come Tullio Zangrando, che nella sua lunga esperienza ha avuto modo di conoscere in prima persona realtà sia artigianali che industriali: "Che cosa c‘entra la definizione legale dei criteri che distinguono le birre artigianali da quelle industriali con la semplificazione, la razionalizzazione, e la competitività nel settore agroalimentare che sono l‘oggetto del DDL S 1328-B del 6 luglio? - si chiede - Non lo so. E neppure posso immaginare importanti cambiamenti o miglioramenti per i consumatori. Come unico (peraltro apprezzabile) vantaggio vedo che nei birrifici non potranno più presentarsi funzionari statali a sequestrare le etichette con l‘incriminata scritta "artigianale". Nell‘Allegato allo Statuto di Unionbirrai, come lo leggo in internet, al punto a) è già menzionato il divieto di pastorizzare, ed al punto c) sono vietati i conservanti ed i coadiuvanti utili alla stabilizzazione del prodotto (dimenticati nel DDL!). Il DDL aggiunge il divieto di utilizzare la microfiltrazione (ma senza definirla con la necessaria precisione tecnica...forse per lasciar spazio a contenziosi idonei ad intasare ancor più i tribunali?). Nebulose (o meglio: probabilmente aggirabili dai furbastri) sembrano (e non solo a me) le indicazioni riguardanti la "assoluta indipendenza" dei birrai artigianali". Il timore che, fatta la legge, si trovi non "l'inganno", ma anche più d'uno, pare insomma concreto tra i birrai.

1 commento:

  1. Bell articolo, vedremo gli sviluppi perché come sempre le leggi son fatte da chi non conosce la materia.

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